L’uomo-singolarità

Un racconto di Riccardo Dal Ferro

uomo singolaritàIn mia discolpa posso dire che di storie così è pieno l’universo.

Al centro di ogni disastro, nel cuore di ogni apocalisse c’è un punto di densissima sofferenza, un minuscolo centro in cui si sono accalcate tutte le pesantezze, tutte le negatività, tutte le crudeltà del cosmo. E da quel punto tutto inizia a finire.

Io mi chiamavo Ascanio Coletti, professore di fisica presso l’istituto professionale Alighieri di Bartella. Vivevo da solo, mangiavo da solo e andavo a dormire da solo, senza che questo fosse un peso. Anche se adesso ormai ho qualche milione di anni, all’epoca in cui insegnavo avrò avuto sì e no trentatré anni e tanto amore per ciò che insegnavo. Ma non avevo amici. Avevo colleghi, studenti, conoscenti, amici no, non ne avevo mai avuti. Non pensavo fosse una colpa.

Che cosa posso dire a riguardo? Non dovrei dire nulla, ma a quell’epoca mi si chiedeva spesso: «Perché non hai amici?» e io rispondevo sempre: «Non sono il tipo.» Ed era vero, anche se poi mi guardavano come un alieno. Io non ero il tipo. Non ero il tipo da pizzata in compagnia né da caffè con la prof di lettere. Amavo le mie equazioni di campo, i gatti di Schrödinger, gli elettroni sfuggenti. Mi piaceva lo sport della relatività, la corsa a ostacoli del cervello, i quiz sulla teoria delle stringhe.

Ero solo curioso e mi sarebbe piaciuto rimanere tale.

Degli esseri umani m’interessava molto meno che delle particelle o dei movimenti cosmici. Sapete che il tempo dei vostri piedi scorre più lentamente rispetto a quello della vostra testa? Le vostre particelle lo sanno, voi no. Ecco, questo mi interessava.

Presto hanno iniziato a farmi pesare come una colpa questo mio comportamento, anche se io ero diligente e impeccabile in tutto. Il mio lavoro lo svolgevo meglio di chiunque, nei rapporti umani espletavo il giusto numero di input utili a non rimanere totalmente isolato. Discutere con un essere umano? Ma a chi interessa l’opinione di una creatura il cui metabolismo è talmente elementare da non percepire lo sfasamento temporale quando viaggia su un mezzo in accelerazione costante? Ma questo mio atteggiamento ha cominciato ad attirare antipatie, tanto da colleghi quanto da studenti.

Il Ratto, così mi avevano iniziato a chiamarmi gli studenti. Prima timidamente, sussurrando l’epiteto senza farsi sentire, poi sfacciatamente, quando mi trovavo costretto ad affibbiare un quattro perché uno di quei trogloditi confondeva la massa con la massa potenziale di un oggetto nel vuoto. Erano scimmie, e io ero il Ratto. I colleghi mi deridevano alle spalle, i loro inviti a cena si trasformarono da gentili in sarcastici, le insinuazioni sulla mia vita sessuale, sulla mia presentabilità sociale diventarono ogni giorno più pesanti. Sempre più cattivi, sempre più pesanti. A me, che con loro ero sempre stato gentile ed educato. Disponibile e sincero. Le cattiverie, che dapprima mi rimbalzavano addosso con scarsi risultati, presto diventarono macigni da inghiottire a fatica.

Il Ratto, il Sorcio. La Checca Infinita, il Calimero della Sfiga. Questi nomi designavano sempre lo stesso individuo: me. Sapete che sull’orizzonte degli eventi potete vedere la vostra nuca? I fotoni vengono spaghettificati fino a raggiungere il punto di origine di ogni punto possibile, et voilà il paradosso: guardatevi la nuca. Ma che ne volete sapere voi dell’orizzonte degli eventi? Che ne sapete del rallentamento del tempo, della spaghettificazione di un fotone, della morte dell’universo? A voi interessa l’anima, la poesia, il peccato, il bene e il male. Voi non siete curiosi, voi siete solo i piccoli robot di un modo di pensare, di un potere, di una malvagità che si impaurisce di fronte alla curiosità e vuole schiacciarla, se non la può irretire.

Così io, Ascanio Coletti, mi sono lasciato schiacciare. Letteralmente.

Studenti e colleghi mi urlavano addosso i peggiori insulti, senza curarsi delle conseguenze che questo avrebbe comportato. Trovavo messaggi di insulti in segreteria: «Verme solitario, se muori non se ne accorge nessuno!», così dicevano i piccoli bastardi. Mi calpestavano i piedi passando, ma io non ero interessato alla rissa, non ero interessato a dare peso alle loro angherie. Inghiottivo e procedevo, un “Sorcio” dopo l’altro, un “Verme Schifoso” dopo l’altro. I colleghi mi deridevano, mi chiamavano “ritardato” e “maniaco sessuale”. Frocio, checca, asessuato, ameba, mitocondrio. A volte lo sussurravano tra loro, a volte me lo dicevano ridendo, come fosse una battuta.

Sapete che la massa si può convertire in pura energia? L’ha detto Einstein, poi l’ho provato io, molto meglio di Oppenheimer e la bomba atomica. Ma in mia discolpa sappiate che di storie così è pieno l’universo.

Sapete che qualsiasi corpo, se compresso in un punto sufficientemente piccolo, una singolarità, può diventare un buco nero? La vostra mano può diventare un buco nero, e così vostro figlio, la vostra casa, il vostro insegnante di fisica. E sapete che cos’è un buco nero? Io, per esempio, sono un buco nero. Il buco nero Ascanio Coletti, ex professore di fisica trasformato in singolarità. Se state strabuzzando gli occhi è perché non siete mai stati attenti a scuola, mentre qualche professore preparato vi spiegava come si forma una singolarità e voi pensavate a chiamarlo ratto, sorcio, idiota.

Quello che ho scoperto io è che per comprimere un corpo fino ai suoi limiti non serve una quantità di energia così immensa come si immaginava. Bastano pochi ingredienti, così abbondantemente presenti su quel pianeta che una volta era la Terra. Ecco la ricetta per produrre il perfetto disastro cosmico: prendete un uomo piccolo e indifeso, un uomo che davvero non ha mai fatto male a nessuno. Mettetelo in mezzo a una comunità malfidente, rancorosa e priva di alcuna intelligenza. La reazione psichica di questo connubio creerà diffidenza ingiustificata, offese gratuite, umiliazioni insopportabili, angherie innominabili e violenza totale. Il piccolo uomo verrà schiacciato da questo coacervo di crudeltà, come una piccola stella che implode in sé per la troppa gravità. Quell’uomo, che fino a poche settimane fa camminava dritto per i corridoi dell’istituto professionale Alighieri, si incurverà, rimpicciolirà, si accartoccerà mano a mano che la densità di violenza intorno a lui cresce. Pian piano la gente lo vedrà sparire, e per questo aumenterà le angherie e le offese, come se volesse far scomparire del tutto quell’entità troppo diversa dal loro frastuono, troppo lontana dalle loro insicurezze, ma ciò che la gente non ha calcolato è che dall’universo nulla sparisce.

Sapevate che tutta la materia prodotta durante il Big Bang è ancora presente nel cosmo, solo che cambia costantemente di stato? Ecco, io ho cambiato stato, mi sono compresso fino ai limiti ultimi della mia materia, sono diventato prima grande come un nano, poi come un cane, poi come una formica, infine sono quasi scomparso, sotto quella valanga di ignoranza e crudeltà, diventando una capocchia di spillo, un atomo, un elettrone, un quark. Minuscolo come una particella elementare, denso come il Sole in un bicchiere.

Sapete che tutto quello che un buco nero inghiotte viene triturato e restituito sotto la forma di ioni? Questo lo sapete perché quando io mi sono trasformato in singolarità ho inghiottito voi e la vostra arroganza, le vostre belle facce, le vostre opinioni con cui ammorbate il cosmo. Vi ho mangiati come l’ultimo pasto del condannato, ho inghiottito le auto, i paesi, le famiglie e le mamme di bella speranza, ho divorato le università, le storie davanti al camino, i diplomi, le crudeltà, la stupidità e purtroppo anche l’intelligenza, le persone pacate, le donne libere, i laboratori di ricerca. Mi sono tramutato nel mostro della galassia, consumando il sistema solare e tutto ciò che stava al suo interno: biciclette, quaderni scarabocchiati, terroristi, giornali, internet, musei, la costituzione italiana, le opinioni degli stupidi, le parole vuote del mondo, il presidente del consiglio e quello degli Stati Uniti d’America. La Cina, la storia umana e l’enciclopedia DeAgostini. Ho triturato nella mia buia pancia tutti i “Ratto”, tutti i “Verme”, i sorcio, i bastardo, i checca, i frocio, tutte le angherie e le umiliazioni subite dai deboli durante la debole storia dell’umanità. Mi sono saziato con i dinosauri, con i vegani, con i razzisti e con i saggi, con quelli che devono sempre averla vinta e con quelli che soccombono sempre, con quelli che riversano le proprie frustrazioni su chi non può difendersi. Ho mangiato il vostro schifo e l’ho tramutato in particelle. Innocenti, neutre, insignificanti particelle.

Ho distrutto il mondo, dopo che il mondo aveva distrutto me. Siete contenti?

Non avremmo mai potuto essere amici, io non ne avevo bisogno, ecco tutto. Avremmo potuto però evitare di essere nemici. Ma voi non l’avete voluto e la sofferenza inflitta a me si è riversata sul cosmo in misura esagerata forse per un solo uomo, ma probabilmente non sufficiente di fronte a tutta la cattiveria inflitta nel corso della storia.

Almeno ora sappiamo che, al centro di ogni buco nero, c’è un uomo che ha sofferto a sufficienza da divorarsi un pezzo di universo. E non è questione di giusto o sbagliato. La questione è che la prossima volta è meglio che ve ne stiate zitti a studiare.

Speriamo che almeno stavolta l’abbiate imparato, in vista della prossima occasione.

Riccardo DAL FERRO

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