Marco Opipari e il mostro di Erba decostruito

«Uccide e brucia tre donne e il figlio. L’assassino era libero per l’indulto» e  «Stermina la famiglia, era libero per l’indulto»: così aprono «La repubblica» e «Il corriere della sera», i due quotidiani più venduti in Italia. Il 12 dicembre 2006 la vicenda di Erba inizia con un colpevole designato – Abdel Fami Azouz Marzouk, lo straniero – il quale  però è innocente.

Sul «caso Azouz Marzouk e la costruzione della notizia» [così il sottotitolo] il pedagogista Marco Opipari ha scritto – Città aperta editrice,  124 pagine, 12 euri – «Il mostro quotidiano», un libro importante. Perché un libro solo sul caso «Azouz»? Non sono tanti [purtroppo] gli errori/orrori giudiziari, conditi da linciaggi a mezzo stampa? «Presi per caso», un’insolita band-rock, ricorda in questi giorni gli 80 anni dall’assoluzione del «mostro» Gino Girolimoni. In libreria si trova ancora «20 anni in attesa di giustizia» [Memori editore, ottobre 2006] dove Luigino Scricciolo racconta come finì dal sindacato al carcere, accusato di spionaggio e terrorismo, per essere poi del tutto assolto. Ci si rammenta di Enzo Tortora, non di vicende simili dove le vittime erano “signor nessuno”. Gli inglesi hanno un detto che suona così: «l’errore del giudice finisce in galera, l’errore del medico al cimitero, l’errore del giornalista in prima pagina»

Nel caso di Azouz si sottrassero al linciaggio – nota Opipari – solo «il manifesto» e «Liberazione». Se la memoria non mi inganna, fra i media che avevano accusato l’innocente pochi si scusarono [«Il corriere della sera»] e molti no [«La repubblica»]. Non si trattò solo di una scelta politica e queste pagine ci aiutano a capirlo. Si può leggere il libro a due livelli o forse bisogna sia letto due volte. La prima lettura parte da pagina 25 e si ferma alla 98, prima dell’ultimo paragrafo: l’autore ricostruisce la vicenda e offre lunghe citazioni dei giornalisti, prima che si sappia dell’innocenza di Azouz e dopo. Una lettura veloce, magari saltando le note: tanto per ricordarsi i fatti e il clima, per verificare come una pioggia di «nulla» nei mass media possa trasformarsi in certezze assolute. Bisogna poi riaprire il libro partendo dalla bellissima prefazione di Raffaele Mantegazza, meditando sul «prologo», ripercorrendo testo e note per approdare alle considerazioni di Opipari sulla non-eccezionalità del «caso Azouz». Taglio pedagogico per ragionare sulle radici e sui possibili frutti di chi costruisce notizie in base agli automatismi; senza indagare sui fatti e anzi, quando sono in contraddizione con la tesi dominante, provando a farli scomparire [come recita il titolo di un utile saggio di Marco Travaglio].

Giornalisti e politici – Borghezio, Gasparri, Stiffoni – sono i pilastri della prima lettura; filosofi e pedagogisti [Anders, Barthes, Batheson, Dal Lago, Foucault, il citato Mantegazza, Peter Brook] ci aiutano nella seconda.  I «maestri negativi» tornano utili come quelli positivi. Un esempio utile è l’intervista «falsamente riparatoria» [quando appare indubitabile che Azouz è innocente] di cui «Il mostro quotidiano» racconta alle pagine 47 e 48.

Il proscioglimento giudiziario di «Azouz» è fuor di ogni dubbio eppure a livello mediatico si é, di recente, insistito su un suo arresto per spaccio e la notizia viene enfaticamente ripetuta in questi giorni di processo. Cosa abbia a che vedere una vicenda minore di criminalità con i quattro corpi straziati la sera dell’11 dicembre 2006 sarebbe difficile da intendere se Opipari non ci aiutasse. Potrebbe subentrare anche una spiegazione psicanalitica: mostrando che «Azouz» era/è un pessimo soggetto, molti giornalisti pensano [più o meno consciamente appunto] di giustificare i loro errori, accuse e offese rovesciate su una persona a torto accusata di strage.

Da qui potrebbe iniziare un lungo discorso su come sciogliere quel nodo dove convergono le paure del nostro tempo e la cattiva informazione mescolandosi con ignoranza e stereotipi che spesso mutano in razzismo. E’ un meccanismo complesso che Opipari più volte mette in luce. Se chi si appassionerà a questo «Il mostro quotidiano» volesse proseguire su questo impervio sentiero… due consigli. Il primo, da reperire forse in biblioteca, è un bel saggio  [Edup, 2004] di Ribka Sibhatu: «Il cittadino che non c’è: l’immigrazione nei media italiani».  Secondo consiglio: il reportage di Gabriele Romagnoli «Non ci sono santi», uscito l’estate scorsa negli Oscar, che soprattutto nel secondo e nel terzo capitolo, spiega perché la cattiva informazione si diffonda; come nel celebre «Delitto sull’Orient Express» di Aghata Christie, Romagnoli fa capire che a volte c‘è un solo cadavere – reale o metaforico –  ma l’arma omicida è stata impugnata da parecchie persone… che poi si danno l’alibi l’una con l’altra.

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