Margaret Mead: i ruoli sessuali nascono…

dalle culture e non dalla biologia

di Daniela Pia

Il 15 novembre 1978 ci lasciava Margaret Mead, antropologa statunitense (nata a Filadelfia nel 1901).

Allieva di Ruth Benedict e Franz Boas si occupò di sviscerare il ruolo svolto dai fattori biopsicologici, culturali e individuali nella strutturazione della personalità individuale e sociale. Giunse alla conclusione che la variabilità naturale dei caratteri congeniti basilari è universalmente identica, ma ogni cultura seleziona e plasma poi un numero limitato di forme.

Alla Columbia University divenne docente di antropologia culturale, intraprese viaggi etnografici nelle Samoa (dal 1925), nelle Isole dell’Ammiragliato (1928-29) e in Nuova Guinea (1931-33) con Reo Fortune, il suo secondo marito. 

Durante le sue ricerche a Bali (1936-38) – in compagnia del terzo marito, Gregory Bateson – utilizzò la fotografia e i film come significative tecniche di indagine etnografica: alcuni di questi filmati sono stati poi divulgati dalla figlia Mary Katherine Bateson.

Antesignana della nascita del movimento femminista diceva del suo lavoro: «Io sono stata allevata a credere che la sola cosa degna di essere fatta era di aggiungere qualcosa alla somma dell’informazione accurata nel mondo», Per raggiungere questo risultato spese l’intera esistenza studiando, in diverse società, i processi culturali della costruzione del maschile e del femminile, i “ruoli sessuali”, una tappa fondamentale nella formazione della nozione di genere.

La sua ricerca più conosciuta fu «L’adolescente in una società primitiva» (Coming of Age in Samoa) del 1928, risultato di una ricerca effettuata fra il 1926 e il ’28 in Samoa. Scopo del suo lungo lavoro fu capire se la crisi tipica del periodo adolescenziale in Occidente fosse legata allo sviluppo naturale e biologico o se fosse l’effetto di interferenze da parte dell’ambiente. Per questo studiò lo sviluppo dei giovani samoani e lo mise in relazione con quello dei bambini occidentali. Ne derivò che le differenze tra il mondo occidentale e il mondo orientale erano molteplici, a partire dalla maniera in cui erano cresciuti ed educati i più piccoli. I piccoli samoani, allattati fino a 2 o 3 anni, una volta svezzati venivano affidati alle cure di una bambina della famiglia di sei o sette anni, la quale aveva il compito di accudire costantemente il bimbo sino a quando, cresciuta, avrebbe lasciato il compito a una bambina più piccola per dedicarsi al lavoro. Mead scoprì che le relazioni familiari non erano esclusive come in Occidente: i bambini infatti non vivevano sempre con i genitori ma venivano accolti e accuditi anche da parenti. Parenti di sesso opposto, giunti all’età della ragione, avevano il divieto di abbracciarsi, sedersi vicini o toccarsi. A occuparsi della gestione della cucina erano gli uomini mentre alle donne toccava occuparsi delle colture: ne derivava che i ruoli sessuali differivano fra le diverse società ed erano influenzati da aspetti culturali e non biologici. Per quanto riguardava le amicizie dei piccoli samoani potè constatare che non erano frequenti in tenera età, infatti maturavano verso i 15-16 anni ed erano in particolare i ragazzi ad avere un amico e confidente. Ragazzi e ragazze si interessavano al sesso opposto intorno ai 16-17 anni, ogni ragazzo sceglieva un confidente che lo accompagnava nella fase di corteggiamento fino a quando il padre della ragazza si dichiarava disposto ad accettarlo: e solo allora poteva essere combinato il matrimonio. I rapporti sessuali prima del matrimonio erano accettati, non era contemplato l’amore romantico e nemmeno la monogamia; l’adulterio non provocava sempre la rottura del matrimonio. Si poteva divorziare senza formalità ed era sufficiente che uno dei due coniugi tornasse dai genitori. La nascita del primogenito era uno dei momenti più significativi, quelle successive invece non rivestivano particolare importanza. La sterilità invece poteva diventare oggetto di disprezzo da parte dell’intero gruppo sociale. La Mead giunse alla conclusione che l’età adolescenziale non era all’origine di tensioni. Se gli studiosi occidentali avevano dedotto che i momenti di crisi in età puberale erano legati allo sviluppo biologico dei giovani, la Mead si rese conto che bisognava far risalire all’ambiente la causa dei conflitti. Crescere in un clima flessibile, fare molte esperienze fin da bambine/i non provocava grandi turbamenti. I rapporti sociali, individualizzati in Occidente, diventano in Samoa di gruppo.

I bambini samoani non sviluppano l’attaccamento verso un’unica figura di riferimento come accade ai piccoli occidental per cui la loro crescita risultava priva delle tensioni e degli strappi con i genitori.

Margaret Mead affermò dunque che il modello educativo samoano era positivo per una società semplice come quella dell’isola di Tau ma non lo sarebbe stato ugualmente in Occidente. Giunse alla conclusione che i conflitti potevano essere contenuti, se non eliminati, se non si fossero imposte scelte prestabilite a bambini e adolescenti. Educare alla scelta poteva essere la soluzione: solo avendo la possibilità di adottare autonomamente le vie da percorrere, ognuna/o era libero di individuare quella più giusta per sé e per la propria vita. Insomma il disagio adolescenziale era appreso e non naturale, originando da aspetti culturali e non biologici.

Margaret Mead fu autrice prolifica: scrisse 44 libri e più di 1.000 articoli pubblicati in diverse lingue. Fra i suoi tanti libri è di particolare attualità «Dibattito sulla razza», una lunga conversazione che ebbe, nel 1971, con lo scrittore afroamericano James Baldwin.

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

Daniela Pia
Sarda sono, fatta di pagine e di penna. Insegno e imparo. Cammino all' alba, in campagna, in compagnia di cani randagi. Ho superato le cinquanta primavere. Veglio e ora, come diceva Pavese :"In sostanza chiedo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedo la pace nel mondo, chiedo la mia".

3 commenti

  • due sole osservazioni
    1) fermo restando che la Mead è stata una grande antropologa, è interessante osservare che quello che lei osserva a Samoa non è diverso da quanto si poteva osservare e ancor oggi talvolta si può osservare in alcune zone agricole persino dell’Italia oltre che di regioni vicine del Mediterraneo (il bambino che viene di fatto affidato alla ragazzina più grande o a parenti ecc., la compagnia particolare fra ragazzi ecc. ecc.)
    2) oltre alla Mead, uno dei famosi autori che dimostra come la sessualità sia una costruzione sociale è Garfinkel con il suo racconto della storia di vita di Agnese (pubblicato anche in italiano in un piccolo libretto)

  • Grazie per la segnalazione, Turi Palidda

  • Differenza e dominazione.*

    Noemi Fuscà, Coordinamenta femminista e lesbica

    *Intervento alla presentazione di “Quattro passi” del 5 ottobre 2019 al Nido di Vespe

    https://coordinamenta.noblogs.org/post/2019/10/20/differenza-e-dominazione/

    Colette Guillaumin, femminista materialista francese, già nel 1980 scriveva che dietro l’idea di differenza si cela la dominazione. Chi è infatti che stabilisce le differenze che siano sessuali o culturali? Chi è l’Altro-a? E poi quali sono le regole per essere integrata/o? Un discorso mascherato da altruista ha occupato tutto il discorso mediatico e sociale diventando parte del pensiero comune. Questo pensiero politicamente corretto ha stravolto non solo l’uso del nostro linguaggio ma le nostre pratiche e il modo con cui guardiamo il mondo. Ha cambiato, appunto, il nostro senso comune. Un esempio per tutti: il concetto di legalità/illegalità è diventato un cappio soffocante e la sua ridefinizione ha agito pesantemente proprio in contesti quali quello dell’integrazione e dell’emancipazione. Se rispetti le regole SEI UNA-O DI NOI. Il ricatto della cittadinanza è uno strumento abbastanza logoro del potere ma che con le dovute modifiche ancora funziona proprio perché ridefinendo il senso comune sono stati ridefiniti i ruoli, i rapporti di forza e soprattutto cosa è lecito e cosa non lo è. La consuetudine finisce per superare la legge e così siamo libere con il guinzaglio a strozzo, se tiri non respiri quindi, se non respiri, è colpa tua. Il sistema ti ha solo messo un guinzaglio, se non lo sai gestire non sai usare il tuo pezzetto di libertà. E così tutte/i vogliono essere integrate/i. E chi tenta di sottrarsi soffre pesantemente l’esclusione perché non ci sono più spazi di mediazione, di contrattazione o di manovra. Una specie di American dream pervade la società, devi dimostrare di meritartelo questo sogno e il merito è peggio della prostituzione perché non c’è neanche remunerazione. Forse prima ancora pagava qualcosa, ora non c’è più un vero scambio c’è solo il miraggio di far parte dei Primi o dei più Saggi. È il paternalismo del genitore che pretende che il figlio gli dimostri il suo valore, che si dia da fare, per il suo bene naturalmente. E chiaramente il valore è anche affossare gli altri che non ce la fanno.

    C’è un reciproco rimando all’interno del concetto d’integrazione tra l’oppressione di razza e quella di genere. In tutti e due i casi viene richiesta la partecipazione e l’adesione al pensiero dominante e alla filiera gerarchica, adesione e partecipazione che possiamo quindi definire auto-addomesticamento. Questa sudditanza mascherata da partecipazione è, quindi, una concessione del potere e non una vittoria della controparte. È mangiare dalle mani del padrone e scodinzolare. Questo meccanismo non viene minimamente incrinato nelle contrattazioni, nei tavoli di confronto… integrazione ed emancipazione dovrebbero essere uno strumento non il fine. Cercare accordi non significa solo accettare briciole, perché solo queste si ottengono in un contesto come quello neoliberista in cui unilateralmente il potere ha chiuso gli spazi di contrattazione, ma fondamentalmente riconoscere al sistema nelle sue varie articolazioni la dignità di interlocutore.

    La ragione rivoluzionaria dovrebbe smascherare questi meccanismi, non assecondarli.

    Bisognerebbe cercare di scardinare le modalità che perpetuano l’asservimento e impostare diverse categorie di valutazione dei comportamenti in un’ottica di classe. Tutte e tutti pensiamo di essere liberi-e, ma chi rifiuta l’integrazione o l’adeguamento alle modalità di vita e di giudizio imperanti viene perseguito e demonizzato. Ne sono un esempio più di ogni altro le popolazioni native d’America e il popolo Rom. La storia di Mary Crow Dog della tribù Sioux e quello che è successo a Wonded Knee oppure al popolo rom in Europa è esemplare. Quando davvero un popolo non si piega, viene perseguitato. Se i rom dichiarano di volersi integrare, che vogliono vivere come “noi” allora va bene, altrimenti vengono etichettati come inferiori. Troppo spesso anche nella sinistra di classe ha preso il sopravvento una visione “umanitaria” per le questioni che riguardano il razzismo e una visione “culturale” per quanto riguarda il sessismo invece di una visione politica. La ricerca di soluzione immediata di problematiche urgenti e magari emergenziali ha una sua dignità, così come è importante tenere sempre presente la visione solidale, ma tutto questo deve essere sempre ricondotto alla visione politica altrimenti si finisce per mettersi al servizio di quel sistema che è la causa diretta dei problemi.

    Per quanto riguarda l’emancipazionismo i meccanismi sono gli stessi ma trovo molto irritante che ogni volta che si parla di questo argomento siamo costrette a chiarire che noi non siamo certo contro l’emancipazione perché l’indipendenza economica è fondamentale come è anche importante che una donna faccia e possa fare quello che desidera in ogni ambito. Detto questo penso però che l’emancipazionismo sia un altro tipo di maschera bianca, quella cioè che sono costretti ad indossare i non bianchi per farsi accettare. Ma il sistema usa sempre il meccanismo BUONI VERSUS CATTIVI per affossare ogni spirito critico.

    Questo solo per essere precisa e perché mi sembra il contesto giusto in cui portare alla discussione anche questo aspetto.

    Torniamo all’emancipazione. Partiamo dall’inizio, dalle suffragette. L’esempio più chiaro che possiamo portare è quello di Emmeline, Christabel e Sylvia Pankhurst., madre e figlie suffragette e attive politicamente in Inghilterra. Allo scoppio della prima guerra mondiale succede che i politici vicini al movimento delle donne chiedono di interrompere momentaneamente la lotta per il voto per il bene della nazione in guerra. Mentre Emmeline e Christabel, convinte nazionaliste e colonialiste, accettano, Sylvia si dissocia e fonda con altre compagne la Women’s suffrage federation con una visione comunista e anticolonialista.

    L’idea, però, che è passata riguardo alle suffragette è che hanno lottato per il diritto al voto e comunque per il voto alle donne e vengono fatte dimenticare le differenze ideologiche e i posizionamenti soprattutto in questi tempi bui dove si sono scoperti tutti femministi, dove si auspica il racconto della storia delle donne, una storia però addomesticata dove tutte le suffragette vengono accomunate dal fatto di aver lottato per gli stessi diritti. Ma il diritto è un’arma a doppio taglio, può essere rivendicato come strumento oppure può essere usato per INTEGRARSI in una società maschile facendo propri i valori patriarcali. E questa è una grande truffa perpetrata ai danni delle donne dalle donne stesse.

    Ai tempi delle suffragette si parlava ancora di “questione femminile”, vale a dire che siccome era evidente che le donne erano svantaggiate nella società sotto tutti i punti di vista, uomini e donne, dotati/e di sensibilità, insieme avrebbero dovuto darsi da fare per risolvere questa questione appunto. Certo nella prima fase borghese le donne erano accomunate dall’esclusione dai ruoli attivi nella vita politica e sociale. Con l’apertura del lavoro all’esterno cambia qualcosa anche per noi, ma attenzione a non fare passi falsi, l’esclusione e lo stigma sono sempre dietro l’angolo!

    La lettura della condizione femminile cambia radicalmente negli anni 60 e 70 del novecento soprattutto con il femminismo materialista francese. Christine Delphy nel suo articolo “L’ennemi principal” arriva alla conclusione che il nemico è il sistema non l’UOMO in sé. E’ il sistema che costruisce i ruoli sessuati perché questi sono funzionali allo sfruttamento e il patriarcato è un modello economico che il capitalismo ha assunto. Però, allo stesso tempo, i ruoli sessuati sono volutamente gerarchizzati e il maschile è investito di un ruolo di dominio. Da qui il separatismo. Cambiare la concezione che si aveva fino a quel momento della condizione delle donne è stato come ribaltare davvero il mondo. Non si tratta di oppressione culturale, quindi, non è etnografia ma una questione socio-economica fondata sui ruoli sessuati. La visione di classe non può quindi prescindere più da questo, pena fornire un’interpretazione parziale del mondo. Il fatto che ora si stia dimenticando il passaggio fondamentale dell’essenza strutturale dell’oppressione delle donne fornisce un’idea del livello di spoliticizzazione che ha messo in atto il neoliberismo.

    Ma il neoliberismo ha fatto di più. Una sua caratteristica è la strumentalizzazione della nostra oppressione attraverso la cooptazione nelle sue file sia delle donne che sono disposte a farlo per la propria promozione sociale sia delle diversità sessuali. Tutti e tutte, gay, lesbiche, trans, bisex, intersex…tutto può essere cooptato attraverso una luccicante forma di emancipazione, purché ci si presti a supportare questo sistema e quindi a diventare ingranaggio dell’oppressione nei confronti di tutti gli altri e le altre. Tutti/e potranno essere uguali, avere accesso agli stessi diritti se…una forma rinnovata e ripulita di patriarcato. Collaborazionismo è la nuova parola d’ordine. E’ imprescindibile recuperare la lettura di classe nel femminismo e l’analisi materialista del femminismo nella lettura di classe.

    A questo proposito mi viene in mente quello che abbiamo scritto sulle lotte contro la violenza maschile e per l’aborto in America Latina e in Polonia dove ci si è dimenticate che le scelte politiche generali non possono essere scisse da quelle femministe e mi viene in mente anche il documento scritto da un gruppo di compagne messicane che hanno prodotto delle lotte estremamente interessanti, di cui qui da noi, tra l’altro, non si sa praticamente nulla, opponendosi alla strumentalizzazione del femminismo ed arrivando a mettere un ordigno esplosivo sulla porta della Casa delle donne a Città del Messico. Ma per questo vi rimando alla lettura dei documenti nel nostro libro.

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