Mark Adin: «Tonino Guerra se ne è andato»

Il meglio del blog-bottega /195…. andando a ritroso nel tempo (*)

Nessuno sa dove si trovi la valle del Marecchia, nessun esploratore vi è mai giunto. Non intendo il luogo geografico dove scorre il fiume da cui prende il nome, ma la lussureggiante valle favolosa cantata da Tonino Guerra, la valle che non c’è. Il poeta che ne ha scritto, attingendo a visioni alle quali, vecchio mago, ci ha invitato, se n’è andato.

I poeti non muoiono, i poeti, al massimo, se ne vanno. Dove? Chi lo sa. D’altronde, nemmeno si può sapere dove fossero, i luoghi in cui si sono svolte le sue storie, non meno veri di quelli segnati sulle carte, fatti di verità non oggettive, .

Tonino Guerra, da qualche giorno, non è più di questo mondo, ma non lo fu neanche prima. Abitò luoghi perduti. Il suo viaggio fu di spaesamento. Non cercava mete, punti di arrivo, il suo obiettivo era, se mai, smarrire la strada. Le sue storie non si realizzavano in terra, ma neanche in cielo. Forse per questo si inverarono nel cinema. Lavorò ai soggetti e alle sceneggiature di Fellini, suo perfetto conterraneo, ma anche di altri numerosissimi maestri. Fu congeniale al cinema forse perché sullo schermo la parola, quando compie la sua metamorfosi verso l’immagine, arriva ancora prima di quella scritta.

Tonino Guerra rese inutile il tempo, non necessario per accedere alla dimensione dello stupore e dell’assenza, che infatti ne è priva e non lo prevede. I mondi da lui descritti non ne avevano bisogno. Ha avuto il merito, nelle sue pagine, di renderci dunque liberi dalla più grande paura, perché per l’uomo la prima correlazione di “tempo” è: “morte”.

Descrisse l’indescrivibile, guardò oltre. Non lo spiegò, il mondo: lo raccontò. E non interpellò Dio per renderlo più comprensibile. Da ateo, pensava che la spiegazione, la soluzione del mistero, non fosse così necessaria. Eppure davanti al mistero si incantava, dava voce alla meraviglia, soffiava nell’ocarina, provava a ripetere una melodia, si commuoveva per una nuova armonia, interpretava le forme dell’amore. Persino la carnalità romagnola, l’erotismo onnipresente e sapido, ha saputo sublimarlo nel paradosso dell’assenza che riempie più della presenza.

Come Attilio Bertolucci, Franco Loi, Pasolini e Zavattini, seppe estrarre dall’uso del dialetto i colori mancanti alla tavolozza. Con tutto il biasimo dei poeti laureati.

Dalla sua ricca aneddotica, materia prima del sapiente affabulatore che era, riporto il seguente episodio, da lui stesso narrato e pubblicato dal Corriere della Sera, svoltosi nella Roma dei primi anni Sessanta. A bordo della sua auto, nel traffico difficile dell’Urbe, Tonino si trovò improvvisamente davanti a una macchina dai vetri oscurati, rischiando la collisione.

Feci un salto all’indietro – racconta Guerra – quando quell’auto di grossa cilindrata mi venne quasi addosso. Alzai le braccia e dissi qualcosa di peggio di una parolaccia. Una di quelle frasi che tagliano in due i cieli di Romagna.” 

Lo stupore fu più grande, quando a cinque centimetri di distanza si ritrovò il Pontefice. “Io ateo e comunista – continua – davanti al Papa buono. Ricordo che mi stampigliò in faccia un segno della croce come a spaccare un cocomero”.

Come dicevo, con tutto l’affetto, non era un poeta laureato.

Qualche miserabile tenta, ancor oggi, di sporcarne l’immagine andando a uno spot pubblicitario, quello dell’ottimismo, per capirci, nel tentativo di cogliere la macchia di una vita. Il comunista che si vende al consumismo, che si assoggetta alla dittatura della merce. Come se fosse possibile, con un calunnioso espediente, storpiarne l’innocenza. Una specie di metodo Boffo, però più sgangherato. Tentarono, curiosamente, anche con il suo grande amico Federico. Quando realizzò la pubblicità del Campari e quell’altra della pasta, “rigatoni”, qualcuno jettò ‘o vveleno nascondendo la mano.

I prigionieri della loro stessa miseria, umana e intellettuale, sono sempre in agguato: pronti a lordare con la loro saliva disgustosa i rarissimi portatori di genio, nostra ultima ricchezza. Vogliono eliminare l’antidoto alla volgarità, la bellezza, l’estremo diaframma che impedisce loro di vincere la battaglia decisiva. Per questo la notizia, nel giorno della sua partenza, è liquidata dal Tg in meno di venti secondi, per questo si dedica più tempo alla partita della Juve.

Caro Tonino, non lo so dove sei, ma so che vivi nei tuoi libri, e tutti potranno ritrovarti.

At salòt, burdèl.

Mark Adin

L’IMMAGINE QUI SOPRA E’ DI JACEK YERKA.

(*) Anche quest’anno la “bottega” ha recuperato alcuni vecchi post che a rileggerli, anni dopo, sono sembrati interessanti. Il motivo? Un po’ perché quasi 16mila articoli (avete letto bene: 16 mila) sono taaaaaaaaaaanti e si rischia di perdere la memoria dei più vecchi. E un po’ perché nel pieno dell’estate qualche collaborazione si liquefà: viva&viva il diritto alle vacanze che dovrebbe essere per tutte/i. Vecchi post dunque; recuperati con l’unico criterio di partire dalla coda ma valutando quali possono essere più attuali o spiazzanti. Il “meglio” è sempre soggettivo ma l’idea è soprattutto di ritrovare semi, ponti, pensieri perduti… in qualche caso accompagnati dalla bella scrittura, dall’inchiesta ben fatta, dalla riflessione intelligente: con le firme più varie, stili assai differenti e quel misto di serietà e ironia, di rabbia e speranza che – lo speriamo – caratterizza questa blottega, cioè blog-bottega. [db]

 

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