Massacro di Ayotzinapa: indagine indipendente svela le bugie del governo

False confessioni ottenute sotto tortura per nascondere le responsabilità dello stato. La verità della Procura generale della Repubblica caratterizzata da menzogne e omissioni.

di David Lifodi (*)

La recente sceneggiata dei deputati priisti (Partido Revolucionario Institucional – Pri) per nascondere il massacro di Ayotzinapa e, più in generale, l’ondata delle desapareciones forzadas in Messico, alcuni giorni fa ha raggiunto il colmo quando il partito del presidente Enrique Peña Nieto ha innalzato le barricate pur di boicottare il Día Nacional de Condena a la Desaparición Forzada, previsto inizialmente per il 26 settembre.

A proporre la giornata di commemorazione di tutte le vittime della sparizione forzata era stato addirittura il Pan (Partido Acción Nacional), l’altro partito di destra del paese di certo non esente da colpe nella lunga agonia che sta vivendo il Messico. E così, mentre in tutte le città del paese, dalla capitale al Chiapas, ogni giorno si possono leggere sui muri scritte quali Fue el Estado, Faltan los 43, Escucha tu corazón, haga la revolución e Peña Nieto asesino, il Pri si è adoperato per far cancellare il termine desaparición forzada dalla proposta del Pan, con buona pace dei desaparecidos della Escuela Normal Rural Isidro Burgos, dei loro familiari e tutti coloro che hanno perso i loro cari, scomparsi nel nulla e inghiottiti dal sistema perverso di narcotraffico-repressione-malaffare che infesta il Messico. A plaudire all’ostruzionismo e alle manfrine del Pri il famigerato 27 Batallón de Infantería, di stanza a Iguala (stato del Guerrero), guarda caso la città dove poco più di un anno fa ha avuto inizia la caccia ai normalistas. “Non si può istituire il 26 settembre come Día Nacional de Condena a la Desaparición Forzada perché esiste già una giornata internazionale dedicata alle vittime della sparizione forzata, che è il 30 agosto”, hanno obiettato i priisti. Ciò che è certo, per il momento, è che sarà Morena (Movimiento de Regeneración Nacional) a tentare di costituire una nuova commissione d’inchiesta sui fatti di Iguala, ma ciò che ha scosso il paese è stato il meritorio e coraggioso rapporto del Gruppo interdisciplinare di esperti indipendenti (Giei) della Commissione interamericana per i diritti umani, divulgato solo pochi giorni fa, ma capace di alzare un polverone. In pratica, la verdad histórica sbandierata dall’ex procuratore generale della Repubblica Jesús Murillo Karam, che in una conferenza stampa a nemmeno un mese dai fatti si diceva “stanco” di dover tornare continuamente sul caso, è stata smontata, pezzo dopo pezzo, dal Giei. Sulla versione ufficiale, che sosteneva la teoria della cremazione dei 43 normalistas nella discarica di Cocula (poco distante da Iguala) dopo la loro esecuzione a sangue freddo, in molti hanno nutrito dubbi fin dall’inizio, a partire dalla stampa non allineata. Il settimanale Proceso ha dato ampio spazio all’analisi del Gruppo interdisciplinare di esperti indipendenti, da cui sono scaturite una serie di novità che rendono ancora più traballante il governo presieduto da Peña Nieto. In particolare, è emerso che sono stati minacciati e torturati testimoni chiave allo scopo di costruire una verità precostituita. Ad esempio, la Procura generale della Repubblica (Pgr) ha imposto il silenzio ai due netturbini di Cocula, Rosí Millán e Wenceslao Rifas, quando questi ultimi avevano smentito la versione di Murillo Karam, secondo il quale dei narcotrafficanti si erano impadroniti del loro camion di raccolta dei rifiuti. Ciò che voleva dimostrare il potere, infatti, era la responsabilità del massacro attribuita esclusivamente ai narcos e non alle forze di sicurezza dello stato. Ad entrambi i netturbini è stato imposto di firmare versioni dei fatti che non riconoscevano (Rifas è addirittura analfabeta), sebbene insistessero nell’affermare che alla discarica di Cocula non si era svolta alcuna cremazione. A questo proposito, a smascherare le versione della Procura, impegnata a far quadrare la propria versione con quella di Murillo Karam, ci ha pensato anche l’Equipo Argentino de Antropología Forense, secondo la quale i frammenti di ossa recuperati nei pressi della discarica di Cocula non avevano niente a che fare con i resti di Alexander Mora Venancio, uno dei normalistas massacrati, come invece sosteneva la Pgr. E ancora, permangono molti dubbi sugli autori del massacro. Anche in questo caso Murillo Karam, soprannominato ironicamente “el cansado” (sui social network ha spopolato l’hashtag #yamecansé, in segno di ripudio del procuratore generale) si è adoperato per sostenere la versione governativa: i responsabili della mattanza sarebbero stati i Guerreros Unidos, un gruppo di narcotrafficanti molto attivo nello stato del Guerrero.  I narcos, probabilmente, hanno coperto il lavoro sporco del 27 Batallón de Infantería, ma coloro che sono stati arrestati con l’accusa di essere esponenti di spicco del gruppo sembrano essere in realtà dei poveri diavoli che quotidianamente cercano di sbarcare il lunario in condizioni di estrema povertà. Patricio Reyes Landa Salgado, descritto come il capo del cartello, è un muratore proveniente da una famiglia che da anni campa grazie agli aiuti della Secretaría de Desarrollo Social (Sedesol). Nel novembre 2014 fu segnalato dalla Pgr come l’uomo che, insieme ad altri tre compagni, sarebbe stato autore dell’assassinio e della cremazione dei normalistas presso la discarica di Cocula. Murillo Karam convocò subito una conferenza stampa per dichiarare che Landa, insieme a Jonathan Osorio Cortez, Augustín García Reyes e Felipe Rodríguez Salgado avevano confessato le loro responsabilità. Ciò che l’ineffabile procuratore generale si era guardato bene dal dire, però, riguardava le modalità con cui i quattro presunti sicari avevano confessato, e cioè sotto tortura. Nessuno dei presunti colpevoli, infatti, aveva sostenuto di aver triturato i resti degli studenti, una volta uccisi, e di aver messo le loro ceneri nelle borse per poi buttarli nelle acque del vicino Río San Juan, come sosteneva Murillo Karam. Al contrario, nonostante le bugie governative, il settimanale Proceso, insieme al Programma di Giornalismo d’inchiesta dell’Università di Berkeley (California), rivelò fin dall’inizio la partecipazione di Esercito e Polizia Federale nell’attacco condotto contro gli studenti di Ayotzinapa. Intervistata da Proceso, la madre di Patricio Reyes Landa Salgado, Eliodora, racconta che il figlio quel 25 settembre 2014 era tornato a Cocula per riposare: quando non trovava lavoro come muratore guardava il bestiame nella rancherías nei dintorni per tirare su qualche soldo. Il giorno dopo, quello del massacro, era stato a cenare insieme alla madre dalla sorella e poi non era uscito di casa. Il 20 ottobre 2014 agenti della Pgr fecero irruzione nella casa di Patricio Reyes Landa Salgado e sua madre e si portarono via il muratore con l’accusa di far parte dei Guerreros Unidos. Utilizzando le tecniche tipiche della dittatura militare argentina, Patricio fu picchiato per quattro ore, gli bendarono gli occhi e lo torturarono tramite scariche elettriche su tutto il corpo dopo averlo bagnato con l’acqua. Una sorta simile è toccata ai suoi compagni di sventura. Jonathan Osorio, giovane di venti anni, faceva la spola tra Cocula e Città del Messico, dove si recava, come molti altri ragazzi della sua città, in cerca di lavori stagionali. Accusato anche lui di far parte dei Guerreros Unidos, ha raccontato che, al pari di Patricio, fu torturato da persone in abiti civili: perse i sensi tre volte, dopo aver corso il rischio di essere soffocato per esser stato costretto a mettere la testa in una busta di plastica, e infine fu costretto a vedersi infilare una pistola dentro alla bocca. Con estos pendejos vamos a tapar el caso, ha sentito dire Jonathan tra una tortura e l’altra, altro segno evidente che si voleva cercare un capro espiatorio per salvare l’onore dell’Esercito e della polizia federale. E ancora, Felipe Rodríguez Salgado, venticinquenne che sognava di emigrare negli Stati Uniti per trovare lavoro, ha subìto lo stesso destino. Quando la polizia fece irruzione presso la sua abitazione trovò solo la moglie poiché Felipe era a Sonora: sperava di trovare un impiego migliore negli Usa, ma fu arrestato dalla polizia di frontiera. Il giovane è stato costretto a registrare una video-denuncia in cui si dichiarava colpevole  contro la sua volontà. Come ha anticipato il dossier del Giei, sono ex militari e poliziotti in servizio i responsabili della scomparsa dei normalistas. Tra i personaggi chiave a cui è imputata la desaparición degli studenti troviamo Flores Velázquez, comandante della polizia municipale di Iguala, César Nava González, funzionario di alto livello della polizia di Cocula e José Martínez Crespo: quest’ultimo ricevette l’ordine di reprimere gli studenti dal colonnello Rodríguez Pérez. L’attacco nei confronti dei normalistas fu scatenato dal Grupo de Análisis de Orden Interno (Gaoi), che di solito agisce solo nei casi in cui ritiene necessario reprimere gruppi ritenuti apertamente sovversivi o comunque armati, come accaduto nei casi dell’Ezln e dell’Erpi (Ejército Revolucionario del Pueblo Insurgente), radicato nel Guerrero. Nel caso della Escuela Normal Rural Isidro Burgos, pare che da tempo membri del Gaoi fossero riusciti ad infiltrarla. Il Gaoi, che opera solo in alcuni stati del Messico, tra cui Guerrero, Chiapas, Michoacán e Oaxaca, dove i focolai di insurgencia sono all’ordine del giorno, dipende direttamente dallo Stato maggiore del Ministero della Difesa e sembra aver svolto un ruolo di coordinamento delle polizie di Iguala, Cocula e dei paramilitari che parteciparono alla caccia agli studenti. Inoltre, pare che César Nava González faccia parte dei Los Bélicos, un gruppo di agenti della polizia di Cocula al servizio (loro sì, al contrario dei muratori arrestati ingiustamente) del cartello dei Guerreros Unidos. Al tempo stesso, risulta quanto meno sospetta la carriera folgorante del generale Alejandro Saavedra Hernández, comandante di quel 27 Batallón de Infantería addestrato secondo le tecniche di controinsurgencia già messe in pratica dal militare in occasione del levantamiento zapatista in Chiapas, senza dimenticare che si laureò sottotenente nel 1974, quando l’esercito inviato nel Guerrero provocò la morte del maestro-guerrigliero Lucio Cabañas sulla Sierra de Atoyac. Sotto la presidenza di Peña Nieto, Alejandro Saavedra Hernández ha ottenuto una promozione dopo l’altra: quasi un messaggio di appoggio del presidente a seguito dei fatti di Iguala.

Secondo il Giei, solo nel Guerrero, negli ultimi otto anni sono sparite 148 persone e in Messico fosse comuni, sparizioni forzate e sequestri sono all’ordine del giorno. La Procura Generale della Repubblica, dove nel frattempo non siede più Murillo Karam, continua a distinguersi per appoggiare il potere e sostenere verità precostituite in base alla convenienza dello stato e dei suoi vertici (in questo caso l’ordine di scuderia è quello di scagionare forze armate e polizia e far uscire pulito il presidente Peña Nieto). Per questo, ancora una volta, non si può far altro che fare proprio lo slogan degli studenti messicani: Fue el Estado.

(*) tratto da Peacelink – 27 settembre 2015

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *