Mc Coy e la tortura “inevitabile” dei governi Usa

Arriva finalmente anche nei cinema italiani «Taxi to the Dark Side», premiato con l’Oscar 2008 per il documentario. Ottima occasione per parlare del saggio di Alfred Mc Coy che lo ha ispirato, «Una questione di tortura» (340 pagine per 16 euri) finalmente tradotto da Socrates: un libro importante quanto scomodo su cui i giornalisti – si fa per dire – italiani scelgono il bavaglio. La lotta alla tortura è, fin dal secondo giorno di presidenza con una raffica di decreti, al centro dell’impegno di Obama. Eppure arrivare a una svolta sarà difficile perché Guantanamo e Abu Ghraib non nascono da eccessi “bushisti” anzi – scrive McCoy – «tutti noi, favorevoli o contrari alla tortura, abbiamo recitato un copione scritto oltre 50 anni fa».

Fra i maggiori esperti della Cia (e del suo coinvolgimento nel narco-traffico), McCoy racconta qui una lunga storia: le ricerche con le droghe negli anni ’50; le diverse tecniche sperimentate in America latina, in Asia o nelle Filippine; le bugie di Bush e soci fino ai voli clandestini – «extraordinay rendition» in gergo – per spostare terroristi (veri o presunti) in Paesi amici dove la tortura è prassi. Ricorda anche i precedenti storici, dai deliri di Mussolini alla tortura di massa in Algeria. «Con le fotografie di Abu Ghraib, l’americano medio ha visto da vicino le tecniche di interrogatorio che l’intelligence ha propagato per quasi mezzo secolo» scrive McCoy. Nel periodo 1950-1962 la sola Cia investì un miliardo di dollari l’anno su «controllo mentale, guerra psicologica e ricerche segrete sulla coscienza umana»: un nuovo approccio alla tortura, più psicologica che fisica ma egualmente distruttiva. Si usano “etichette” ingannevoli, come quando nel 1983 le lezioni di tortura (per funzionari di governi “amici”) vengono stampate sotto il titolo «Manuale di addestramento delle risorse umane». Sino al 1976 la tortura è insegnata a centinaia di funzionari sudamericani nella «Scuola delle Americhe», una base dell’esercito statunitense a Panama, e applicata a livello di massa in mezzo mondo. Sotto la presidenza Carter la Scuola delle Americhe viene chiusa ma riapre quasi subito, trasferendosi in Georgia. Anche prima del “bushismo”, gli Usa adottano «definizioni ristrette» di tortura il che ha consentito «ampia tolleranza» prima per la tortura psicologica poi per quella fisica.

Nella prima parte McCoy spiega come, nello studiare «la storia sommersa della tortura in America», abbia incontrato 5 aspetti «della sua psicologia perversa, tutti collegati fra loro». Il primo è che essa scatena «una capacità incredibile di crudeltà e inebrianti illusioni di onnipotenza». Il secondo è che, quando gli Stati decidono di usarla, questa pratica sfugge di mano, diventa quasi incontrollabile. Il terzo punto è che chi usa la tortura è incapace di vedere persino la sua limitata utilità “militare” e di comprendere gli alti costi politici-umani. Quarto: gli esecutori di torture, anche quando scoperti e condannati, finora sono rimasti impuniti e questo ha aumentato il loro potere concreto e nell’immaginario collettivo. Infine una nazione che autorizza o tollera la tortura paga un prezzo terribile di delegittimazione democratica come mostrano esempi recenti (la Francia in Algeria e la Gran Bretagna in Ulster). Molte pagine sono dedicate all’oggi per spiegare nei dettagli come l’amministrazione Bush abbia garantito impunità a chi usa la tortura ma anche per ricordare l’opposizione di giudici coraggiosi e attivisti dei diritti umani, di qualche giornalista fuori dal coro e persino di alcuni militari. Mc Coy è una lettura «indispensabile» ha scritto Naomi Klein. Un saggio su un argomento così scabroso di solito è classificato come “importante ma illeggibile” se non per motivi di studio o militanza. Invece Mc Coy è eccellente narratore oltre che topo di biblioteca. Ma il punto centrale è politico: la pretesa di impunità degli Usa è una questione centrale dei nostri tempi e non una questione legata alla famiglia Bush o alle buone intenzioni di Obama.

questa mia recensione è uscita sul quotidiano «Liberazione» il 13 giugno 2008

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