Mi chiamo Ibrahim, ho ventiquattro anni

di Ex Opg occupato – Je so’ pazzo (*)

Mi chiamo Ibrahim, ho ventiquattro anni, sono nato in Costa d’Avorio e vivo a Napoli da sette anni. Conosco cinque lingue. Dicono che sono un ragazzo molte gentile: a me piace dare una mano ai rifugiati e ai ragazzi appena arrivati nei Centri di accoglienza straordinaria. Domenica mattina mi sono sentito male, sono andato a un ospedale dove mi hanno subito rimandato a casa. Nelle ore successive ho chiesto più volte soccorso: i miei amici hanno invano chiamato un’ambulanza, poi sono stati rifiutati da un taxi e sono stati allontanati dai carabinieri. Per fortuna ho amici che mi vogliono bene: alla fine mi hanno portato loro sulle spalle fino alla guardia medica più vicina dove soni arrivato alle 2,30 di lunedì e mi hanno portato subito in sala operatoria. Peccato che non possa ringraziarli: poche ore dopo l’arrivo alla Guardia medica di Loreto Mare sono morto per un’appendicite. O per razzismo?

Ibrahim Manneh, ventiquattro anni, di nazionalità ivoriana, uno dei tanti ragazzi che assistiamo allo sportello legale dell’Ex OPG, è morto lunedì al Loreto Mare, pare per una peritonite. Ibrahim ha iniziato ad accusare i dolori domenica, si è subito recato in ospedale dove è stato trattato con superficialità e rimandato a casa. Nelle ore successive ha chiesto più volte soccorso: i suoi amici hanno invano chiamato un’ambulanza, sono stati rifiutati da un taxi, sono stati allontanati dai Carabinieri, alla fine hanno dovuto portare il loro amico sulle spalle fino alla guardia medica più vicina… Poche ore dopo l’arrivo al Loreto Mare Ibrahim è morto.

Suo fratello e gli amici non hanno potuto ricevere informazioni per quasi dieci ore. E una volta scoperta la morte di Ibrahim, non hanno potuto vedere il corpo né parlare con i medici… Insomma, siamo davanti a un caso palese di omissione di soccorso e di malasanità!

Ibrahim era un ragazzo gentile, era in Italia dal 2010, parlava cinque lingue, quando veniva allo sportello dava una mano a tradurre le informazioni ad altri rifugiati e ai ragazzi appena arrivati nei CAS.

Non si può morire così a ventiquattro anni, non è giusto quello che è successo! Questa morte non deve essere coperta dal silenzio, ci uniamo al grido di dolore della famiglia e degli amici e pretendiamo verità e giustizia per Ibrahim.

***

QUESTA LA CRONACA DEI FATTI:

Domenica 9 Luglio 2017

H 12: Ibrahim lamenta forti dolori all’addome e si reca al Loreto Mare dove, senza che sia fatta alcuna analisi e, in seguito a un’iniezione, viene rimandato a casa, sebbene le sue condizioni fossero molto gravi. Una volta a casa, si aggrava e sopraggiungono dei forti dolori articolari. Resta a casa per tutto il giorno, aspettando che le “cure” mediche riservategli facessero effetto.

H 22:30: le condizioni di Ibrahim peggiorano in maniera definitiva e il ragazzo chiama in aiuto suo fratello e alcuni amici. E, mentre loro fanno di tutto per aiutarlo, l’odissea che attraverserà prima di morire è una lunga e cruenta storia di razzismo, pregiudizi e disumanità.
I ragazzi decidono di portarlo in farmacia, e così si rivolgono alla prima farmacia di turno aperta a Piazza Garibaldi. Il farmacista non apre nemmeno la porta, ma rendendosi conto della gravità della situazione, chiama ripetute volte un’ambulanza che non giungerà mai.
Ibrahim è riverso a terra e i suoi amici chiedono aiuto a una pattuglia dei Carabinieri che si trovava sul posto, ma questi gli intimano di allontanarsi, sebbene fosse palese la gravità della situazione: Ibrahim era a terra e chiedeva aiuto.
Dopo più di un’ora di attesa, gli amici di Ibrahim, si rivolgono dunque a un tassista a Piazza Mancini, lo stazionamento più vicino. Il tassista chiede dieci euro per la corsa fino all’ospedale più vicino, i ragazzi rispondono che i soldi non sono un problema, ma che è necessario sbrigarsi. Ma a quel punto il tassista si rifiuta di accompagnarli perché «non ha l’autorizzazione della Polizia». Perché per accompagnare un “negro” in ospedale bisogna avere l’autorizzazione delle forze dell’ordine.
I ragazzi si rivolgono dunque ad una seconda farmacia di turno in zona: il farmacista, senza alcuna visita medica, gli suggerisce di acquistare farmaci per un importo di 15 euro. In seguito all’assunzione di tali farmaci, i ragazzi si recano a casa. Ibrahim comincia a vomitare.

H 24: veniamo contattati dagli amici di Ibrahim che ci chiedono di essere aiutati, in seguito alle ripetute omissioni di soccorso che fino a questo punto si sono succedute. A nostra volta, chiamiamo un’ambulanza, chiedendo di recarsi presso l’abitazione del ragazzo. Dal 118 ci dicono che non possono inviare il mezzo di soccorso “per un ragazzo che vomita” nonostante fosse stato precisato che Ibrahim non era in condizioni di muoversi e recarsi in ospedale. Ci forniscono così i contatti della Guardia Medica. Ci confermano che non può essere inviata nessuna ambulanza per un caso simile e che il ragazzo deve essere portato a Piazza Nazionale per poter essere visitato.
Così, di peso, i suoi amici trascinano il ragazzo, in stato di incoscienza, verso Piazza Nazionale. Nel tragitto, per una seconda volta, incontrano una volante dei Carabinieri, chiedono nuovamente aiuto, ma la volante li evita e rifiuta di soccorrerli.
Una volta raggiunta la Guardia Medica, il medico di turno visita Ibrahim e immediatamente si rende conto delle gravissime condizioni in cui versa il ventiquattrenne. Viene così chiamata, ancora una volta, un’ambulanza che, a questo punto, arriva in maniera celere.

Lunedì10 luglio

H 2:30: Ibrahim arriva, infine, in ospedale. Viene trasportato in sala operatoria. A questo punto, nessuno, neanche suo fratello sa più niente di Ibrahim.

H 11: solo dopo un’intera notte passata ad attendere notizie di suo fratello e senza averlo più visto, Bakary apprende della morte di Ibrahim.

H 21:30: Nonostante fosse morto parecchie ore prima, a causa, pare, di una perforazione all’addome, senza che si facesse nemmeno in tempo ad operarlo (a quanto hanno dichiarato in serata i medici presenti nella struttura), le persone a lui vicine non erano state informate su nulla. Perché in sala operatoria, dove in mattinata avrebbero potuto salvarlo, Ibrahim ci è arrivato troppo tardi.
A suo fratello e ad i suoi amici, fino alla sera, non era stato detto niente. E, adesso, ancora aspettano di sapere la verità, di sapere cosa sia successo dalle 2:30 in poi.

H 22:30: Nel frattempo, insieme ai familiari e agli amici, decidiamo di denunciare questa situazione vergognosa. Dopo aver scritto il deposto e raccolto le testimonianze di quanti ieri notte sono stati vicini a Ibrahim, decidiamo di depositarlo al posto di guardia dell’ospedale. Ma il posto di guardia è stato dismesso, quindi ci rechiamo in Questura. Lì i funzionari si rifiutano di accogliere la denuncia, sostenendo che deve essere depositata a Loreto Mare.

H 23: Una volta che la notizia si è diffusa, nell’arco della giornata, gli amici di Ibrahim sono accorsi sul posto. A causa della loro presenza davanti al Loreto Mare, la direzione dell’ospedale decide di allertare la Polizia. Arrivano immediatamente, questa volta, per intimidire i ragazzi e intimarli ad andarsene.
Contestualmente, torniamo sul posto per poter sporgere denuncia presso il suddetto e fantomatico drappello giudiziario.
I poliziotti accorsi sul luogo, con atteggiamento aggressivo, identificano il nostro avvocato e, testuali parole: «Dovete farli andare tutti quanti a casa, altrimenti interveniamo noi, poi non vogliamo sapere niente di video e reato di tortura».
E aggiungono: «La denuncia deve essere depositata presso la Questura Centrale, li abbiamo informati, vi stanno aspettando».
Nonostante fossero presenti dieci poliziotti e potessero accogliere in loco la denuncia sul luogo, non è stato possibile farlo.

L’omicidio colposo di Ibrahim, causato da una serie di assurde ed evitabili cause, è stato denunciato così presso la Questura, allungando i tempi di una già macchinosa giustizia, in una situazione in cui la giustizia è stata già vilipesa e offesa e che è costata la vita di un ragazzo di ventiquattro anni.

Chiediamo giustizia e verità per Ibrahim!
Non si può morire così, di razzismo, fra atroci dolori, pur avendo tutta la vita davanti.

MERCOLEDÌ PRESIDIO ALLE 16 IN PREFETTURA

(*) tratto da http://comune-info.net

Redazione
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2 commenti

  • Chelidonio Giorgio

    60 anni fa anch’io ho sfiorato, vomitando nero per una notte, quella stessa morte. Non avevo fratelli ma un padre premuroso che pagò perché l’ambulanza mi portasse all’ospedale, che si trovava ad appena un quarto d’ora di cammino. Ma in un paese di pseudo-cristiani Ibrahim non ha trovato fratelli né buoni samaritani, solo ipocriti professionisti dell’egoismo razzista.

  • Storia atroce, che descrive bene l’abisso di indifferenza in cui stiamo precipitando. La figura peggiore qui la fanno le forze dell’ordine…

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