«Mi lavo le mani con ritmi da psicosi»

Daniela Pia riflette (con un pizzico d’ronia) sul 5 maggio, «Giornata mondiale per il lavaggio delle mani» che quest’anno arriva in piena emergenza

Mi sono preparata per tempo per questa celebrazione: sono due mesi e mezzo che mi attrezzo con una vasta gamma di detergenti e disinfettanti.

La mia reclusione è iniziata il 3 marzo, con un problemino d’avanguardia sorto per fregare i virus. Ed è così che ho iniziato una routine con ritmi da psicosi.

Alle sette e trenta sveglia. Impiego circa tre minuti a capire dove sono e chi sono, mi fiondo in bagno e, concluse le abluzioni di rito, mi lavo accuratamente le mani: mi concedo la libidine di dilungarmi in questo sfregamento per non lasciare alcuno spiraglio a quei demoni incoronati che albergano, dicono, soprattutto fra le dita.

Alle otto colazione, al temine lavaggio della tazza e mi lavo le mani col detersivo per i piatti.

Scendo in giardino e dopo aver pulito corro a lavarmi col detersivo per i pavimenti, quello che c’è a portata di… mani.

Prima di accingermi a iniziare la famigerata DAD – la didattica a distanza – pulisco lo schermo e la tastiera del computer con l’apposito disinfettante.

Alle 10 e trenta, pausa caffè, mi lavo le mani – non sia mai che dalla tastiera sia evaso qualche microbo – e, riempito l’imbuto a montagnetta, mi lascio cullare dall’aroma bevendo. Lavo tazzina e … mani.

Riprendo a correggere compiti: alcuni pieni di belle cose, altri pieni di internet. 

Alle 12 lavo bene le mani e le verdure, preparo il pranzo. Mi lavo le mani e mangio.

Al termine mi dedico con passione e compassione al lavaggio di stoviglie e mani: il pollice sta iniziando a opporsi, mi guarda con quel volto a favetta bollita e mi chiede silenzioso “perché?”.

Lo ignoro mi dirigo verso il divano e mi guardo un film: «Sunshine Cleaning» per rimanere in tema.

Si sono fatte le 16, conclusasi la fase di poltronite inizio a vagare per casa in cerca di cose da fare. Oggi, per esempio, la libreria mi mandava messaggi muti: così, presa da un raptus, ho tirato giù tutti i libri … tanto che il pavimento è scomparso. Ho iniziato a spolverare e a disinfettare il legno, poi con una miscela di bicarbonato e alloro ne ho accarezzato il dorso, aperto pagine e spiragli di mondi. Conclusa la titanica impresa sono corsa a fare la doccia e ho disinfettato tutto con l’Amuchina.

A questo punto mi sono seduta a riflettere su questa frenesia, forse ingiustificata e patologica. Infatti quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ogni anno promuove – per il 5 maggio – la «Giornata Mondiale per il lavaggio delle mani» lo fa per ricordare l’importanza di un gesto semplice, ma essenziale per la prevenzione delle infezioni trasmissibili, soprattutto negli ambienti ospedalieri e di cura. Così pensavo all’attenzione che riservano gli operatori sanitari a questo gesto, per tutelare la salute dei pazienti e loro, e a come in questo difficile periodo passi soprattutto per un’attenta igiene delle mani il controllo della pandemia. Ricevere cure sanitarie “pulite” – che ci si tovi in un ospedale da campo, una casa di cura o in sala operatoria – è un dovere è un diritto. Il semplice gesto di lavarsi le mani fa parte di «un quadro più ampio di interventi che includono piani di risposta alle emergenze, il controllo delle epidemie e la lotta alla resistenza antimicrobica». È quanto si legge sul sito dell’Oms nello speciale dedicato alla pulizia delle mani in ambito sanitario.

L’Oms afferma infatti che:

– un paziente su 10 contrae un’infezione mentre riceve cure sanitarie;

– i protocolli per la prevenzione e il controllo delle infezioni possono ridurre del 30% i casi legati alle cure sanitarie. 

Allora forse diventa chiaro che se «Chiamiamo pulizia la rimozione di ciò che è indesiderabile» lo facciamo perché «il ristabilimento dell’ordine» passa attraverso la «pulizia (che) significa ordine» – così Zygmunt Bauman. E oggi di quest’ordine  abbiamo assoluta necessità. 

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

 

 

Daniela Pia
Sarda sono, fatta di pagine e di penna. Insegno e imparo. Cammino all' alba, in campagna, in compagnia di cani randagi. Ho superato le cinquanta primavere. Veglio e ora, come diceva Pavese :"In sostanza chiedo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedo la pace nel mondo, chiedo la mia".

2 commenti

  • Daniele Barbieri

    Anche io, come Daniela Pia, certi giorni mi sono fatto prendere dalla psicosi lavandomi le dita ripetutamente: come fossero 20, anzi 30, anzi 88 (credo sia il sogno dei pianisti “pigri” avere 88 dita per raggiungere cooooomodamente tutti i tasti).
    In realtà il discorso del lavarsi le mani è serissimo ovunque, drammatico nei luoghi dove l’acqua non c’è oppure è inquinata.
    Dal punto di vista storico c’è stata una lunga battaglia per convincere i medici a pulirsi le mani mentre visitavano e operavano: siccome non vedevano i microbi… molti non ci credevano (curioso però che tanti invece credessero in dio, il quale è più invisibile dei virus).
    Come ricorda Daniela – citando Bauman – avere le mani pulite corrisponde a un sottinteso bisogno di ordine. Attenzione però ai bisogni fittizi e all’ordine fasullo che nasconde altro (magari i “disordini privati”). Tanti anni fa lessi un libro geniale quanto ironico: in «Purezza e pericolo» l’antropologa Mary Douglas fece «un’analisi dei concetti di contaminazione e tabù» mettendo anche a confronto i rituali dei popoli primitivi con le nevrosi delle casalinghe statunitensi. Aggiungo: chi abusa di detersivi, cosmetici e disinfettanti – spesso cancerogeni – ha sempre messo in pericolo se stessa (o stesso) e i propri cari più che se lasciasse qualche macchietta in giro o mezza rughetta.
    Quello di Mary Douglas è un libro che davvero vi consiglio; emergenza o no. Però continuate a pulirvi le mani (e il resto)… magari con il buon vecchio sapone di Marsiglia. E ricordando che l’impegno politico per una sanità pubblica – e per un pianeta “pulito” – di certo salverà più vite della migliore Amuchina.

    • Corrado Seletti

      Come in tutte le cose, serve la giusta misura; la regola è usare il buon senso, non si sbaglia mai.
      L’epidermide va si detersa, ma non “detersificata”; così facendo la si rende ancora più aggredibile (esposta all’azione) da parte di eventuali germi o virus.
      Ricordo uno studio fatto tra gli anni 80′ e 90′ in alcuni reparti ospedalieri, dimostrò che pulire “a specchio” ed in modo aggressivo (vedi reparti di rianimazione, ove il paziente è inerme e non solo) si, si eliminavano germi, ma, se ne fortificavano altri; come dire, chi ha dimestichezza di microbiologia, non tutti i germi (anche virus) sono uguali.

Rispondi a Daniele Barbieri Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *