Michael Moorcock: «I.N.R.I»

«Il visionario, il profeta, Karl Glogauer, il viaggiatore nel tempo, il nevrotico psichiatra mancato, il ricercatore di significati, il masochista, l’uomo con il desiderio di morte e il complesso messianico, l’anacronismo». Così Michael Moorcock fotografa il protagonista di «I.N.R.I», romanzo choc del 1967 che la Collezione Urania rimanda in edicola (186 pagine per i soliti 5,50 euri) dove rimarrà ancora pochi giorni.

Muovendosi tra fantascienza e altre ramificazioni del fantastico, l’inglese Moorcock (oggi 72enne) ha conquistato – negli ani ’70 soprattutto – folte schiere di sostenitori e qualche detrattore; in Italia è stato tradotto poco e male. Questo romanzo è un’ottima occasione di incontrarlo e farsi conquistare, specialmente per chi soffre di inquietudini religiose.

Se non volete conoscere la trama nei dettagli ma preferite leggere il libro cullandovi nel dubbio – Moorcock porterà la provocazione sino in fondo? – quando troverete tre asterischi (* * *) smettete di leggere.

L’inizio è folgorante con una macchina del tempo, piuttosto malmessa, che piomba da qualche parte; Karl (l’unico occupante) sviene: «probabilmente ci sarà qualche costola rotta».

Il paragrafo successivo ci fa sapere che siamo nel «secondo trimestre dell’anno scolastico 1949» e che Karl ha 9 anni. Si trova al centro di uno scherzo che svolta verso il sadismo: i suoi amici «lo avevano legato, con le braccia aperte, contro la rete metallica dello steccato». Posizione scomoda ma quando Karl chiede di essere tolto di lì gli altri cominciano a ridere. Per mettere fine allo scherzo pesante (e al dolore delle corde che gli segano i polsi) Karl si finge svenuto. Ed è in una sorta di auto-ipnosi che si sente sollevare ma il flash-back si interrompe ed è il Karl adulto, quello della macchina del tempo, che nelle righe successive viene trasportato da qualcuno. Sbirciando intravede «un sudicio panciotto di pelle di pecora e un perizoma di cotone». Quasi certamente – pensa – sono in Medio Oriente. Bene. Ma si è davvero mosso nel tempo? Karl sa bene che esistono luoghi dove i modi di vivere e la povertà assoluta nei secoli sono ben poco cambiati. Lui aveva predisposto la macchina del tempo per «approdare nel 29 d. C. nel deserto al di là di Gerusalemme»: avremo poi la conferma che il suo obiettivo è verificare la verità di certi eventi che riguardano Gesù Cristo.

Flashback e qualche versetto del Nuovo Testamento si alternano mentre chi legge assiste ai tentativi del sofferente Karl di farsi intendere dai suoi soccorritori: non parlano inglese e così tenta nell’aramaico che ha studiato, per 6 mesi, al Museo Britannico. Fa centro. Per capire se è proprio finito in quello che per lui è il 29 dopo Cristo chiede da quanti anni regna l’imperatore Tiberio ma la risposta è assai incerta.

Un nuovo venuto arriva per conoscere (o interrogare?) Karl: da dove viene? Come si chiama? Ovviamente il viaggiatore nel tempo non può dire la verità. Anche il nome Karl suonerebbe strano, così usa il nome di suo padre: Emanuele. L’interlocutore pare soddisfatto e anche lui rivela il nome: Giovanni detto il battista. Ed è contento quando capisce che lo sconosciuto – dolorante, misterioso, reticente – ha già sentito parlare di lui.

Avanti e indietro nel tempo. Chi legge da un lato impara a conoscere le nevrosi (tentativi di suicidio inclusi) del giovane Glogauer e dall’altro lo accompagna nei suoi faticosi tentativi di farsi accettare dalla gente che lo ha soccorso dopo il viaggio verso il 29 dopo Cristo. Le buone conoscenze storiche di Karl gli consentono di dedurre che si trova fra gli Esseni: «una setta che praticava l’auto-mortificazione e il digiuno doveva essere abituata ad avere visioni, in quel deserto rovente» il che spiega la relativa calma con la quale hanno accolto il suo strepitante arrivo dal nulla; «secondo la logica del XX secolo sarebbero stati considerati dei nevrotici, con il loro misticismo quasi paranoico, che li portava a inventare linguaggi segreti».

Saltando ancora nei ricordi, ecco Karl alle prese con i primi turbamenti erotici: una croce d’argento che pende nel seno di una ragazza lo sconvolge come il ricordo della croce di legno cui, a 9 anni, era stato legato per quel gioco troppo pesante. Ed eccolo, più grande, a fare i conti con la sua disistima.

Là dove la mdt (macchina del tempo) lo ha trasportato e dove sta guarendo dalle ferite, Karl si sta facendo accettare degli Esseni. A incalzarlo è però Giovanni Battista: «Sei o non sei uno stregone, arrivato in quell’arnese da non so dove?».

Moorcock ci riporta ancora nel tempo da cui Karl è partito: amori eterosessuali difficili, qualche avventura omosessuale con sensi di colpa, l’ossessione per Jung. L’altro Karl, quello che gli Esseni hanno accettato come Emanuele, quando finalmente è in condizioni di camminare va a vedere cosa resta della mdt: fuori uso. Il suo futuro è lì, dove è arrivato.

La recensione sfuma sui passaggi di questo tempo alternato di allucinazioni, incertezze e sentimenti che si confondono nella testa di Karl-Emanuele. «Perchè distruggo tutto ciò che amo?»

La prima parte si chiude con Giovanni il battista che chiede, anzi impone, al «mago» piovuto dal cielo di battezzarlo «per far vedere al popolo che Adonai è con noi».

Inconcepibile – si dice Karl – «che dovesse essere proprio lui, con Giovanni Battista, a preparare la strada a Cristo». Ma se la storia che lui conosce è vera può essere mutata dalla sua presenza? Deve mettere in guardia Giovanni Battista?

Lettori e lettrici meno ingenui già si stanno chiedendo in che trappola finirà Karl-Emanuele per dare conferma agli eventi nei quali si ritrova non più da semplice spettatore. Sarà uno degli apostoli oppure Giuda? O piuttosto gli toccherà prendere posto su quella croce?

S.e volete gustare in tutti i suoi passaggi la risposta di Moorcock, smettete di leggere questa recensione e andare a cercare il libro in edicola o in libreria.

* * *

Al momento di battezzare Giovanni, il panico e il male fisico invadono Karl, lo squassano. Uscendo dal fiume «cominciò a correre (…) sotto il sole che dardeggiava, allontanandosi sempre di più».

Perduto e sofferente, più che mai carico di angosce, l’uomo chiamato Emanuele sa solo che deve trovare Gesù: «a quanto pareva Giovanni non ne aveva mai sentito parlare, sebbene avesse citato l’esistenza di una profezia secondo la quale il messia sarebbe stato un nazareno».

Nella citazione di Matteo – che Moorcock inserisce fra il confuso presente di Emanuele e i ricordi martellanti di Karl – «Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo» e dopo questa frase il libro riparte: non con Karl o con Emanuele ma con un visionario.

«Il visionario entrò in città, camminando con passo incerto.

Fissava il sole con occhi roteanti, aveva le braccia penzoloni lungo i fianchi e le labbra in movimento senza emettere suoni.

I suoi piedi sollevavano la polvere e si aveva l’impressione che danzasse e i cani gli latravano appresso. Alcuni bambini lo sfotterono, gli tirarono sassi e poi frullarono via.

Il visionario cominciò a parlare.

Le sue parole, per i cittadini, sembravano pronunciate in una lingua sconosciuta ma erano pronunciate con tanta intensità e convinzione da dare l’impressione che Dio medesimo si stesse servendo di quella creatura nuda ed emaciata come Suo portavoce.

Si chiedevano da dove fosse venuto quel povero visionario».

Anche i romani incontrano quell’uomo strano e si chiedono, come già per altri “profeti”, se la religione nasconda o peggio alimenti una ribellione o al contrario se possa distrarre il popolo.

Il visionario ha trovato Nazareth. Ora cerca «un falegname di nome Giuseppe, un discendente di David con una moglie che si chiama Maria e parecchi bambini, uno di essi si chiama Gesù». Lo trova, «il viso segnato dalla miseria» e amareggiato. Gli chiede di Gesù. «Quel buono a nulla» è la risposta.

Il lungo passaggio narrativo che segue non m’azzardo a riassumerlo: dovete leggerlo nelle parole di Moorcock e provare, con il visionario, lo choc di scoprire un Gesù «deforme», un «imbecille congenito» che dunque non sembra poter essere il protagonista della storia che ci è stata tramandata.

La terza parte si apre con Karl che, all’interno di un gruppo junghiano, incontra sir James Headington che va facendo qualche progresso con una macchina del tempo. Dopo gli esperimenti con i conigli, bisognerà trovare un volontario. Karl accetta a condizione di essere spedito dal 1970  nel 29 dopo Cristo. Per la verità c’è qui una piccola incongruenza, un refuso o un errore di traduzione: infatti (a pagina 131) si parla del 28 d. C. mentre nel resto del libro si cita sempre il 29.

Avanti e indietro nel tempo. Le angosce di Karl nel XX secolo e quel nuovo profeta, indietro quasi 2mila anni, che viene convinto a «imporre le mani sui malati» e in un’occasione («gli sembrava un caso lampante di cecità isterica») guarisce una donna. Ormai parecchi seguono quel visionario e lui comincia a rendersi conto che deve «vivere una menzogna per creare la verità». Ormai ha dimenticato di essere Karl: «non era la sua vita che stava vivendo, stava dando vita a un mito»

Di nuovo non voglio riassumere con le mie parole quello che, con tanta sapienza, Moorcock costruisce nelle ultime 25 pagine. E’ lui, l’uomo che un tempo (futuro) si chiamò Karl a organizzare il suo martirio, ora che molti lo cominciano a chiamare maestro o Gesù; è lui che ordina a Giuda di tradirlo ed è lui che, chiedendosi se stia bestemmiando o seguendo il corso di una storia già scritta, muore su quella croce.

Questa è la contro-storia, il mito riscritto che Moorcock propose, nel 1966, dando scandalo. In altri tempi, certi seguaci di Cristo avrebbero bruciato lui e il suo libro. Oggi possiamo leggerlo riconoscendogli il merito di avere inventato un Karl, poi Emanuele e infine Gesù, di sconvolgente umanità. Non una semplice provocazione e meno che mai una barzelletta o una bestemmia: c’è in «I. N. R. I.» una inquietudine religiosa autentica.

Come scrive Giuseppe Lippi nella scheda biografica che chiude questo Urania, molti romanzi di Moorcock – a partire da questo – ci mettono «di fronte al fatto che non esiste una vera separazione fra realtà e fantasia, tra “oggi” e “domani”, fra mito e storia. Ogni cosa è parte del Multiverso e può apparire ai nostri occhi in forme cangianti».

NOTA QUASI VACANZIERA

Sono qualche giorno in vacanza (che lusso) con il camper di Tiziana detta igdm-i9g-èuor (ovvero: il giro del mondo in 9 giorni è un obiettivo raggiungibile) e il blog è gestito perlopiù da Pabuda e mi pare magnificamente. Però non ho resistito a indserirmi da una panchina connessa, durante la festa di Alessano (vicino Lecce). Domattina troverete un’altra rec su “Nel Paese delle donne” di Gioconda Belli. al più tardi il 9 agosto conto di essere a Imola. pronto a una nuova stagione di guai eperepè. (db)

Redazione
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