Migranti: l’esperimento del prof che lascia i ragazzi muti e…

… con gli occhi lucidi

di Enrico Galiano

«Ieri ho detto ai ragazzi: “Domani venite a scuola con una bottiglietta d’acqua vuota”.
Sui loro volti, lampante che neanche le insegne di Las Vegas, la domanda “E che cavolo si inventerà stavolta il prof?”
“Lo vedrete domani”.

Oggi sono entrato in classe. Con un secchio.
Ho detto ai ragazzi di sedersi in cerchio. Ho dato a ciascuno di loro un piccolo foglio di carta. Gli ho detto: “Adesso pensate alla persona a cui volete più bene al mondo. Poi disegnate un omino stilizzato e vicino ci scrivete il suo nome”
“Ma io posso scriverne due?”
“Certo, anche tre se vuoi!”
E dopo ho chiesto loro di riempire la bottiglietta, di versarla nel secchio e di tornare a sedersi.
L’idea me l’ha data un libro: Ammare di Alberto Pellai e sua moglie Barbara Tamburini. Perché domenica è la Giornata della Memoria, e sinceramente a me di parlare solo di Shoah non mi va più.
Perché per pensare che il passato si stia ripetendo identico bisogna essere un po’ miopi. Ma per non vedere pezzi di quel passato nel nostro presente, bisogna essere proprio ciechi.

Davanti ai loro occhi ho fatto una grande barca di carta e gli ho detto di metterci ciascuno il proprio foglietto sopra. Poi ho appoggiato la barca sulla superficie dell’acqua. Infine ho iniziato a far vacillare il secchio, fino a che la barchetta non si è ribaltata, facendo cadere giù tutti i foglietti. Tutti quei nomi, quegli omini, giù in fondo al secchio.

C’era chi aveva messo il papà, chi la migliore amica, chi il cuginetto di un anno.

Si è creato un silenzio incredibile. Più di un minuto senza che nessuno fiatasse. E se qualcuno sa come sono i ragazzi di terza media, sa che avere un minuto di totale spontaneo silenzio è quasi un miracolo.
C’erano anche degli occhi lucidi. Oltre ai miei, dico.

E allora ho raccontato loro del naufragio del 18 aprile 2015, in cui nel Canale di Sicilia sono morte più di mille persone, tante quasi come nel Titanic. La loro barca, un peschereccio fatiscente che di persone ne poteva contenere al massimo duecento.
E ho raccontato loro di una di quelle: un bambino più piccolo di loro, originario del Mali, che è stato ritrovato con la pagella cucita sulla giacca.
“Secondo voi perché un bambino dovrebbe salire su una barca così?”
“Per far vedere che aveva studiato!”
“Per dire a tutti che era bravo a scuola!”
E poi un ragazzino macedone, di fianco a me, a bassa voce ha detto:
“Forse per far vedere che non era cattivo, come molti pensano di tutti quelli che arrivano”.

La campanella è suonata. Anche per non appesantire troppo il momento, ho detto loro di mettere a posto tutto, di andare a ricreazione. Sono usciti, e piano piano hanno ricominciato a parlare, a chiedersi la merenda, le solite cose.
Sono rimasto solo a sistemare la mia roba.

Poi è successa una cosa.
A un certo punto sento dei passi dietro di me.
Tre ragazze.
“Scusi prof”
“Sì?”
“Noi vorremmo…”
“Voi vorreste…?”
La più coraggiosa delle tre prende il coraggio e dice tutto in un fiato:
“Possiamo tirare fuori quei fogli da lì?”.

Ci siamo chinati, li abbiamo tirati su uno per uno, insieme.
E intanto io le guardavo, e dentro di me pensavo che finché tre ragazze decidono di saltare la ricreazione per tirare su dal fondo di un secchio dei fogli di carta, c’è ancora motivo per credere in un mondo diverso».

da qui

 

Solo due cose.
La prima è grazie. Un grazie infinitamente grande a tutte le persone che in questi giorni mi hanno scritto, che hanno condiviso con me il proprio stato d’animo riguardo al mio esperimento con la barchetta. Ho cercato di rispondere a tutti i messaggi ma non so se ci sono riuscito. In quel caso chiedo scusa, appena ho un secondo provvedo.
Grazie perché non è un momento facile per essere ottimisti, ma tutto questo affetto per me e i miei ragazzi aiuta. Tanto.

La seconda è per quei pochi commenti intrisi di odio, carichi di offese, che ho avuto la sfortuna di leggere.
Ecco, volevo solo dirvi che il modo in cui questa piccola storia è rimbalzata dappertutto in pochissime ore mi ha fatto capire che potete urlare quanto volete, ma non farete mai il rumore che possono fare tre ragazzine di tredici anni chinandosi a raccogliere dei foglietti di carta da un secchio.
Non vincerete voi. State vincendo, sì. Ma non vincerete.

da qui

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

2 commenti

  • La prima cosa che mi è venuta in mente leggendo è stata:
    “Voi che vivete sicuri
    nelle vostre tiepide case,
    voi che trovate tornando a sera
    il cibo caldo e visi amici:…”

    Grazie!

  • Con gli occhi lucidi…. Grazie Enrico

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