Migranti, santi pezzi di ricambio

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di Daniela Pia

Un mare generoso, questo nostro di mezzo. Mediterraneo carico di merci che vanno: armi esportate, che anche la nostra bella isola si avvantaggia di questi edificabili commerci di cui il paese intero beneficia: “Attualmente l’Italia è al nono posto per quanto riguarda l’esportazione di armi nel mondo, con un totale di 786 milioni di dollari (circa 700 milioni di euro) di entrate per il solo 2014. Il principale acquirente è l’Algeria, che nello scorso anno ha fatto entrare nelle casse dello Stato italiano ben 184 milioni di dollari (163 milioni di euro), seguita da Turchia (102 milioni di dollari equivalenti a 90 milioni di euro) e Israele con 77 milioni di dollari (68 milioni di euro). L’Italia ha venduto all’Algeria otto elicotteri Aw139, 25 missili terra-aria, due pistole navali, un sistema di localizzazione, sei radar Ags, una nave cacciamine. Alla Turchia quattro pistole navali super rapide, 16 compatte e nove elicotteri da combattimento A-129C Mangusta; a Israele 30 M-346 (aerei di addestramento militare transonici).” Così testimonia Lettera 43 in un articolo del 10 maggio 2015. 

Carichi umani giungono da questo chiuso mare. Mediterraneo.

Che mare generoso! foriero di guadagni incredibili per trafficanti di anime in fuga, cacciate a forza su barconi, gommoni, legni improbabili destinati a correre sulle onde: mezzi  che rigettano donne bambini, uomini indifesi sulle acque infide che si nutrono di questa follia. Mezzi pronti a farsi liberi di traghettare altra cane umana da spacciare alla bava invereconda soprattutto di razzisti rabbiosi. 

Che bel mare il Nostrum. Mare solcato dai Nessuno, Odissea per centinaia di migliaia di creature in balia delle onde della disumanità crescente.

Ma non tutti i carichi sono tremendi, da respingere, da additare come ladri di terra, di lavoro, di hotel nei quali godere del vuoto ricco di immaginarie prebende. Ci sono carichi che anche nella nostra amata Ichnusa portano qualcosa che non fa schifo nemmeno a chi, guardando all’uomo nero e alle anime schiarite dalle onde, sbava la sua rabbia. 

Ci sono migranti che muoiono nei nostri Motel, e che non fanno più paura a questi difensori del “prima noi”  a tutti i costi. Quando l’uomo o la donna neri che giungono dal mare si fanno “pezzi di ricambio” per i nostri civilissimi e fragili corpi allora la musica cambia.

È il caso di Alizar Brhane, vent’anni, partito dall’Eritrea e arrivato a Cagliari. Scampato alle onde, così credeva lui che a causa della croce appesa al collo, in Libia, ha dovuto subire le angherie dei brutali miliziani dell’Isis dei quali è stato in balia per tre anni ingabbiato in una  prigione dalla quale, per volontà di Dio, si era liberato. Il 21 marzo giunge in Sardegna e ormai il più è fatto. Arriva anche la liberatoria che gli consentirà di lasciare l’hotel-centro di accoglienza. Eppure il destino baro non aveva ancora terminato di giocare con lui: martedì 1 novembre è stato trovato agonizzante, pare caduto da un albero; che a volte sono le onde che si cibano di uomini e donne, altre anche la terra e le sue fronde. Ed ecco che Alizar improvvisamente è divenuto un santo ha fatto la scelta che molti, troppi di noi occidentali stentano ad abbracciare: ha donato suoi organi, questo dono giunto dal mare di mezzo ha allungato la vita a cinque persone, gente che da tempo attendeva un trapianto e che viveva  una personale Odissea. Il suo cuore e il suo fegato sono giunti a Bologna, i suoi reni sono rimasti in Sardegna, i polmoni sono approdati a Padova. Cinque vite ha salvato questa sua morte. Per questo lo santificano anche coloro che abbaiano contro i suoi fratelli, definendoli fortunati, accuditi, coccolati. Ma se avessero bisogno di un organo, questi individui che proliferano come un’ epidemia impestante, fosse anche una manciata di materia grigia, allora li farebbero subito santi questi migranti. Che un “pezzo di ricambio” non ha colore di pelle, non ha padri, non ha madri, non ha Alba ma solo un tramonto utile.  Che gli dei accolgano Alizar in qualunque paradiso lui scelga di dimorare, finalmente libero da ogni logica che ha il fetore di profitto.

Daniela Pia
Sarda sono, fatta di pagine e di penna. Insegno e imparo. Cammino all' alba, in campagna, in compagnia di cani randagi. Ho superato le cinquanta primavere. Veglio e ora, come diceva Pavese :"In sostanza chiedo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedo la pace nel mondo, chiedo la mia".

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