Milano: sindacati di base contro la sanità privata

Il cattivo esempio del San Raffaele

di Coordinamento Lavoratori/trici Autoconvocati per l’unità della classe

LA SOLIDARIETA’ E’ UN’ARMA, USIAMOLA!

SOSTENIAMO LAVORATRICI e LAVORATORI IN LOTTA AL SAN RAFFAELE

Le lavoratrici e i lavoratori del San Raffaele di Milano – rappresentati per la maggioranza dai sindacati di base SGB e USI che hanno saputo promuovere unità d’azione fra i lavoratori – da tempo proclamano scioperi e altre forme di lotta contro la gestione privatistica della sanità, per il rinnovo del contratto di lavoro della sanità privata fermo da 13 anni, per migliori e sicure condizioni di lavoro. Lo sciopero già programmato per il 27 febbraio (obiettivo il rinnovo contrattuale mantenendo le retribuzioni dei lavoratori pari a quelle della sanità pubblica) era stato volontariamente sospeso il 24 febbraio, ossia prima che la normativa emergenziale lo imponesse, di fronte all’urgenza che proprio in quei giorni si stava evidenziando nel settore sanitario. La risposta della proprietà del san Raffaele è stata invece attaccare i diritti dei lavoratori: non solo ha manifestato di voler applicare un contratto peggiorativo a tutti i neoassunti (con retribuzioni inferiori mediamente dell’8%, cancellazione di molti diritti come quelli legati alla maternità, taglio delle ferie, diritto allo studio e alla contrattazione sindacale) ma ha dichiarato anche di voler aprire la procedura del FIS – Fondo di Integrazione Salariale – per ben 782 amministrativi. Contro tutto ciò il 9 aprile i lavoratori hanno messo in atto un flash mob: per denunciare la mancanza di sicurezza in cui devono lavorare, dei tamponi al personale che ha avuto esposizioni, di DPI (soprattutto nei reparti non Covid in cui alcuni pazienti risultano positivi dopo il ricovero) e turni di 12 ore che aumentano i rischi per tutti, operatori e pazienti.

Il 20 aprile, il San Raffaele ha attivato il Fis per 782 lavoratori.

L’Ospedale San Raffaele – che offre un servizio attingendo a risorse pubbliche per il 70% – è parte del gruppo San Donato che in Lombardia possiede anche gli Istituti Clinici Zucchi, il Policlinico San Marco, gli Istituti Clinici Beato Matteo, Villa Aprica e S. Anna, solo per citarne alcuni. La proprietà è nelle mani della famiglia Rotelli. Una famiglia e un’impresa che, al San Raffaele, hanno un fatturato di oltre 600 milioni di euro e che ora pensano di approfittare dell’emergenza coronavirus per aumentare ancor di più il profitto sulle spalle della collettività e dei lavoratori.

L’emergenza sanitaria impone il divieto di sciopero nei servizi essenziali sulla base dei Decreti Legge che proibiscono anche qualsiasi forma di assembramento e manifestazione collettiva. Nell’emergenza tutte le ordinarie prestazioni .ambulatoriali sono state rinviate mantenendo solo le prestazioni urgenti, per evitare il contagio e per avere personale disponibile per le cure ai malati di Covid-19. Secondo la proprietà del San Raffaele quindi è necessario applicare nuovi contratti e inoltre i lavoratori dei settori amministrativi sarebbero in esubero; mantenere il livello occupazionale attuale potrebbe mettere a rischio “la solidità dell’impresa”. La soluzione viene ovviamente offerta dal Decreto Cura Italia con il FIS, a cui la proprietà ha deciso di accedere per i 782 amministrativi, non considerando neppure il tanto sbandierato clima di “unità nazionale” per cui sarebbe opportuno, quantomeno, lasciare le risorse esigue del Fis a lavoratori e aziende realmente in crisi. Alla proposta dei sindacati in lotta di ritirare la procedura e, in subordine, di integrare ai lavoratori la quota di reddito che verrebbe a mancare con il Fis (con un costo aziendale irrisorio mentre la riduzione di reddito per lavoratore può arrivare a 300 euro al mese) la proprietà ha risposto un secco no, fregiandosi però di voler «riconoscere in modo unilaterale un bonus a una parte dei dipendenti per l’impegno profuso». Un bonus di 1000 euro agli infermieri e di 500 euro al personale di supporto. E il restante personale? E i tecnici che entrano direttamente a contatto con i malati per le lastre? E il personale di ingegneria clinica che ha lavorato giorno e notte per realizzare reparti di TI inesistenti perché fino ad ora non convenienti per le strutture private? E il personale delle pulizie o del ritiro dei rifiuti speciali che, essendo esternalizzati e non essendo riconosciuti come operatori sanitari, non lavorano neppure con le condizioni minime di sicurezza? Tutti costoro per la proprietà, evidentemente, non profondono impegno sufficiente.

Ma tutto ciò non basta. L’Ospedale San Raffaele – che dice di essere in difficoltà per il calo delle prestazioni ordinarie tanto che Aris e Aiop regionali affermano che «in questo momento non sono in grado di prevedere quali saranno le conseguenze economiche di quanto sta accadendo nel settore» – riceve in tempo record da Regione Lombardia l’accreditamento di nuovi posti letto su cui potrà lucrare alla fine dell’emergenza. E il San Raffaele lascia a casa in Fis gli amministrativi che invece necessitano in grande quantità per garantire il distanziamento lavorativo e sociale e la sicurezza di lavoratori e utenti, smaltendo le lunghe code che normalmente si affrontano nelle sue aree di accettazione. Ma non basta ancora. Il San Raffaele può fare tamponi a privati e aziende al costo di 120 euro l’uno mentre sui tamponi la Regione Lombardia aveva garantito che la priorità sarebbe andata a tutti i lavoratori impegnati nei settori che affrontano direttamente l’emergenza.

Evidentemente dalla vicenda delle lavoratrici e dei lavoratori del San Raffaele dobbiamo trarre un immediato insegnamento: nelle loro mani “nulla è andato bene e niente andrà bene”. Nell’epidemia tutte le Istituzioni, centrali e territoriali anche quando vagamente accennano alla necessità di maggiore attenzione alla sanità (peraltro ne parlano gli stessi che l’hanno distrutta) contrappongono sempre centralismo a regionalismo senza mai mettere in discussione la privatizzazione della sanità e la necessità di una sanità totalmente pubblica e gratuita. L’emergenza ha ampiamente dimostrato che i morti, lavoratori e cittadini, sono OMICIDI DI STATO.

La classe padronale si è già preparata a trarre il maggior beneficio possibile dal “coronavirus”, con il cinismo che la contraddistingue. Il tutto con la complicità di una classe politica subalterna agli interessi del capitale e che legifera a favore dei padroni, soprattutto attaccando il diritto di sciopero e l’agibilità sindacale. E i padroni fanno il loro, permettendosi di non rinnovare i contratti e di imporre accordi peggiorativi, non trattando con le rappresentanze dei lavoratori e non accogliendo le loro proposte per affermare con chiarezza e spregiudicatezza che non le riconoscono come controparte, giocando al dividi et impera con i lavoratori elargendo bonus a piacimento e per “bontà loro”, permettendosi di utilizzare gli ammortizzatori sociali per collettivizzare perdite ipotetiche e massimizzare i profitti privati, di usare la crisi per rigenerarsi licenziando discrezionalmente i lavoratori più combattivi per poi sostituirli con giovani precari ricattabili, in definitiva di costringere i lavoratori – con la minaccia della crisi – in condizioni di sempre maggior insicurezza lavorativa, di salute e di vita.

Solidarietà, unità, lotta e organizzazione sono gli strumenti che abbiamo per costruire una risposta all’attacco padronale. Oggi più che mai è necessario sostenere tutte le lotte e unire i lavoratori.

Coordinamento Lavoratori/trici Autoconvocati per l’unità della classe (CLA)

per contatti: coordautoconvocat2019@gmail.com

 

Redazione
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