Modena, il tallone di ferro contro chi va in piazza

Le riflessioni di «Red Driver» dopo i fattacci del 15 dicembre

Venerdì nero in terra modenese, il 15 dicembre con donne e uomini picchiati mentre sono in terra o fermi davanti alle vetrine; presi a calci, calpestati; con un giovane uomo, un compagno, con il gomito spezzato con frattura scomposta; con compagne e compagni rincorsi, arrestati, processati, condannati.

Eppure nulla era successo che potesse giustificare in qualche modo questa mattanza.

Perché allora? Qual è il messaggio che si legge tra le righe del comportamento istituzionale?

Vediamo di rifare il quadro della situazione.

LA PROVOCAZIONE.

Si sapeva benissimo che dietro l’ipocrisia di «Terra dei Padri» (circolo aperto da mesi in città sotto il manto del pluralismo, della “libertà di pensiero”) si nascondeva un covo fascista. Non lo dicono apertamente ma in ogni città i fascisti aprono sedi fingendo di esser altro da ciò che sono. Venerdì 15 dicembre il velo si squarcia e dietro la manifestazione contro lo Ius Soli compaiono le sigle dell’estrema destra che aderiscono e partecipano al presidio autorizzato.

UNA CITTA’ CHE RISPONDE.

Addirittura alcune parti delle istituzioni si trovano costrette a prendere formalmente le distanze. Dopo aver fatto comunella con Forza Italia a livello governativo, dopo aver portato avanti coalizioni con uomini politici dichiaratamente di destra (che sempre hanno strizzato l’occhio alle frange più estreme) anche brandelli delle istituzioni locali fingono di indignarsi o magari si indignano, dimenticando di essere portatori da anni di politiche che rappresentano “il brodo di coltura” del pensiero della destra reazionaria. La mai abrogata legge Bossi-Fini unita al Jobs Act è nei fatti una accoppiata per costruire uomini e donne di prima, seconda e terza scelta. Lo stesso concetto di “contratti a tutele crescenti” significa pensare a esseri umani che partono come non uomini e aspirano al miraggio di qualcosa di un po’ meglio.

La vita non è lì. Piuttosto nei tre/quattrocento antifascisti che si ricollegano alla memoria storica della Modena che si ribellò al tallone di ferro fascista. Tutte e tutti in largo Porta Bologna. Differenze di impostazione e di lettura del modo di stare a sinistra non hanno impedito alla galassia dei movimenti presenti in città di saper riconoscere la differenza fra un avversario e un nemico. In nome dell’antifascismo ci incontriamo nello slargo che si affaccia su piazza Garibaldi e sulla strada che porta verso il presidio fascista.

LO SCHIERAMENTO ISTITUZIONALE.

Le istituzioni danno ben chiara l’idea che sono lì per una prova muscolare: una grande dislocazione di forze di polizia, carabinieri, vigili urbani e quant’altro mostra a tutta la città la disponibilità illimitata di fondi pubblici per garantire la manifestazione dei fascisti. In altri termini: le strutture che dovrebbero garantire la legge fondamentale dello stato di diritto, la Costituzione, sono tutte a disposizione di coloro che si richiamano al fascismo.

Nessuno ha notizia di scioperi indetti dagli organismi sindacali dei vigili urbani o della polizia contro quello che si sta verificando, a dimostrare la connivenza ideologica di questi organismi… se ancora qualcuna/o avesse dubbi.

L’INTELLIGENZA DELLA MILITANZA

Due le provocazioni iniziali. La prima è il divieto a portare l’impianto-voce in manifestazione. La seconda è il numero esiguo di “forze dell’ordine” (mentre tutt’intorno è pieno) sulla strada dei fascisti, quasi un invito a “forzare”. Eppure compagne e compagni presenti non cadono nella trappola. Nella mente di tante/i ci sono ancora le ferite – materiali e simboliche – dopo un’altra provocazione fascista presso l’hotel Europa, a poca distanza da dove si stanno svolgendo i fatti. Pur rivendicando a gran voce la macchina con l’impianto voce e l’agibilità della via verso il presidio fascista, decidiamo di indietreggiare: con la chiara intenzione di non avere contatti con la repressione istituzionale.

Come in mille altre occasioni compagne e compagni si limitano a innalzare la soglia del rumore con petardi e fumogeni lanciati verso il cordone poliziesco, tutte cose di carattere simbolico. Ogni video girato quella sera mostra chiaramente come la situazione sia assolutamente “sotto controllo” ed è evidentissimo che la carica parte per via di un disegno preparato a tavolino, in cui l’ordine di calpestare, arrestare e massacrare prescinde totalmente da quanto messo in atto dai manifestanti. Sembra anzi che si sia voluto cogliere al volo una possibilità prima che si concludesse: infatti la carica parte nella fase discendente dello scoppio dei petardi, come se si volesse cogliere l’opportunità che stava per sfuggire di mano.

Le donne e gli uomini colpiti più duramente ai bordi dei marciapiedi sono evidentemente – come Genova ha insegnato – le persone più indifese e isolate.

Il messaggio è chiaro: nessuno deve alzare neppure la voce contro il fascismo, a Modena può tornare il tallone di ferro.

INNALZAMENTO DEL LIVELLO DI VIOLENZA ISTITUZIONALE.

A memoria di chi milita da tempo, non si ricorda a Modena tanta ferocia negli ultimi trent’anni: è evidentemente un messaggio nuovo, una serata di fascismo realizzato con l’appoggio delle istituzioni di oggi.

Lo sappiamo, quel che è accaduto si iscrive in una tendenza: persecuzioni contro chi si è ribellato all’apertura e all’esistenza del CPT (poi in tanti modi ribattezzato) e sgomberi – armi in pugno – di spazi sociali (Guernica in primis per quantità, ma anche Stella Nera) e di case occupate. E poi i divieti a manifestare in centro storico ai movimenti per la casa, ai lavoratori del SiCobas. Gas ai picchetti davanti alle fabbriche come si è verificato più volte a Castelnuovo. Nel distretto modenese delle carni deve regnare la totale omertà e l’inazione istituzionale; ne consegue la reazione persecutoria verso le lotte che hanno avuto ovviamente anche funzione di denuncia sociale.

Dunque il quadro purtroppo era chiaro. Tuttavia quello di venerdì 15 è stato un innalzamento della ferocia che corrisponde a una volontà precisa, proprio perché non si può spiegare in alcun modo la necessità di tanto sadismo. E’ chiaro che le istituzioni si erano preparate per la classica “caccia all’uomo” e non hanno potuto fare di più perché non ne è stata fornita l’occasione. Eppure quel che si è visto è fuori da ogni logica.

IL RUOLO DEI MASS MEDIA.

Bisogna differenziare: il Local Team (un’agenzia di media non istituzionale) ha svolto un duplice ruolo:

– garantista verso le violenze peggiori, testimoniando la carica poliziesca,

– però alcuni primi piani forse dovrebbero essere usati con più cautela, visto che talvolta vengono strumentalizzati dalle forze repressive.

Non si può negare che senza la presenza del Local Team le cose sarebbero andate peggio.

Invece il ruolo dei mezzi di informazione che possiamo definire “istituzionali”, a livello nazionale e locale, è stato cruciale nel far crescere quel brodo di coltura fortemente deviante nel descrivere il fenomeno neofascista, farneticando al solito di opposti estremismi e tessendo lodi “agli apparati democratici” che invece sono conniventi con l’estrema destra.

Per esempio il quotidiano “Il resto del Carlino” definisce il pestaggio «una carica di alleggerimento”. Alleggerire cosa se i poliziotti hanno dovuto fare cinquanta metri di corsa prima di incontrare una persona? Le “forze dell’ordine” hanno le orecchie sensibili e i petardi erano troppo rumorosi? Sul sito dello stesso giornale si son visti sassi e due bottiglie vuote accatastate vicino a un cassonetto nei pressi del comizio fascista insieme a una BANDIERA NERA e si è accusato di questo i manifestanti antifascisti. Ma esiste il senso di realtà al “Carlino”?

Non che “La gazzetta di Modena” sia il regno dell’obiettività, al punto da vedere solo gli anarchici, ma almeno le cose vengono raccontate in modo apparentemente asettico: il che però è grave, perché la mancanza di informazione (e magari di indignazione) su donne e uomini massacrati a freddo è comunque una presa di posizione reazionaria.

IL PRESENTE E IL FUTURO.

Grave l’assenza di figure istituzionali di garanzia che si presentino alla questura modenese per chiedere la liberazione degli arrestati. E’ evidente che la repressione conosce molto bene questa debolezza, perché le conseguenze legali messe in campo sono assurde e sproporzionate.

Però le antifasciste e gli antifascisti di Modena non faranno un passo indietro e si sapranno riorganizzare contro i padroni di turno. La ribellione – contro la riduzione in miseria e la mancanza di futuro, contro la distruzione dell’ambiente attraverso la cementificazione selvaggia – passa certamente attraverso le centinaia di uomini e donne che erano in quella piazza. ORA E SEMPRE RESISTENZA!

Redazione
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2 commenti

  • Avrei preferito un’analisi maggiore delle dinamiche dei due gruppi, e della situazione politica e culturale locale, altrimenti sembra leggere un copione solito, i buoni da una parte e i cattivi dall’altra, come nelle fiabe (per adulti)

  • Ciao Franco,
    io ero li e non capisco cosa intendi per “dinamiche dei due gruppi”: polizia e antifascisti? Fascisti e antifascisti? Polizia e fascisti?
    Sulla situazione politica locale in effetti l’articolo è carente: più una cronaca di vita vissuta, che uno spaccato per spiegare le caratteristiche della città. Questo è effettivamente il limite maggiore, specie in questo spazio di dibattito che non ha un respiro locale.
    Il copione che ho visto anche io però era veramente il solito, sicuramente noioso e piuttosto preoccupante: fascisti da una parte e antifascisti dall’altra.
    Gli antifascisti non sono necessariamente buoni: sono antifascisti e questo mi pare già un merito. Ma di per sè, Parma docet, non basta.
    Non so se era a quello a cui ti riferivi.

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