Modena: la vertenza della Castelfrigo

Venerdì 4 marzo (ore 20.30) alla Cgil di Modena assemblea pubblica – indetta da «Il sindacato è un’altra cosa» sulla vertenza della Castelfrigo e le sue implicazioni. Un articolo di Paolo Brini (ripreso da www.rivoluzione.red)

PAOLOBRINI-castelfrigo

Sull’accordo Castelfrigo e il giudizio di Si Cobas in merito

di Paolo Brini (Comitato Centrale Fiom-Cgil)

Nelle scorse settimane la ditta Castelfrigo di Castelnuovo Rangone è stata protagonista di una lotta molto dura messa in campo dai 130 “facchini” delle cooperative che vi lavorano. Per la prima volta lavoratori di etnie diverse e che non si erano mai nemmeno parlati tra loro con uno sciopero di oltre 10 giorni e un picchetto molto duro hanno vinto assieme una battaglia importante. La vertenza ha assunto un significato ancora maggiore se si pensa che nei primi 3 giorni di sciopero anche i lavoratori diretti sono stati davanti ai cancelli mentre durante l’ultima giornata anche i facchini delle aziende limitrofe, iscritti al Si Cobas, sono scesi in sciopero di solidarietà.

Le condizioni di partenza erano drammatiche: oltre 13 ore di lavoro al giorno, sottoinquadramento, straordinari e istituti vari calcolati come trasferte, quindi esentasse e fuori dalla paga base, minaccia della non continuità lavorativa con il solito meccanismo del cambio di appalto. I lavoratori si sono ribellati a tutto questo e hanno ottenuto miglioramenti molto importanti.

Chi scrive ha definito l’accordo siglato dalla Cgil alla Castelfrigo un accordo acquisitivo. Naturalmente come ogni accordo è un compromesso e come tale presenta dei limiti che non vogliamo certo nascondere.

Dal punto di vista strettamente sindacale il testo presenta rispetto al passato miglioramenti evidenti. Dal punto di vista politico rappresenta il punto da cui partire per impostare una nuova stagione rivendicativa e di riconquiste per tutti i lavoratori. La rottura dello sfruttamento schiavistico imposto dalle cooperative e dalla logica degli appalti è ormai un punto di partenza imprescindibile. La Castelfrigo è un precedente molto importante che ha smentito nei fatti i tanti (troppi) dirigenti della Cgil che in questi anni, volendo scaricare sui lavoratori le colpe della propria arrendevolezza, si sono lamentati perché “non c’è il clima”, “siamo deboli”, “siamo frammentati”. Alla Castelfrigo siamo consapevoli che non è stato un fulmine a ciel sereno che ha mosso la Cgil, ma la determinazione dei lavoratori che hanno suonato la sveglia ai dirigenti della Cgil, che dormivano da troppo tempo. Tuttavia almeno in questa occasione la determinazione dei lavoratori ha costretto la Cgil ad organizzare una lotta vera. Questa collocazione del sindacato confederale non inficia un giudizio doverosamente negativo in relazione ai comportamenti gravissimi assunti dalla Cgil contro i facchini della Bormioli di Fidenza in lotta organizzati dal Si Cobas e su cui rimandiamo ad articoli precedenti, oppure un’astensione dalla critica ad accordi a perdere come l’ultimo firmato proprio nel settore alimentare.

Tuttavia è proprio Si Cobas, in un recente comunicato, a dare dell’accordo Castelfrigo un giudizio molto negativo liquidandolo come “una bufala” e commettendo così un grossolano errore di settarismo. Per quanto ci riguarda, la critica ad un accordo, se puntuale e costruttiva, può senz’altro aiutare non solo la discussione ma soprattutto a orientare in maniera più corretta ed efficace i militanti e i delegati sindacali nelle loro battaglie. Tuttavia la critica a un’intesa sindacale, per avere efficacia, deve possedere due requisiti di fondo. Deve essere articolata con precisione sul merito e deve implicare coerenza e rigore nella pratica contrattuale di chi la avanza. Ci pare che entrambi questi requisiti manchino agli autori del comunicato in questione.

Sul merito dell’accordo Castelfrigo

Il primo punto dell’accordo riguarda l’impegno che committente e appaltatrici si sono assunti a non adottare provvedimenti ritorsivi o discriminatori nei confronti dei lavoratori in lotta. Il punto non è di poco conto dato che non più tardi del giorno prima, al momento della carica sul picchetto, la polizia aveva minacciato di togliere il permesso di soggiorno a qualsiasi lavoratore immigrato venisse identificato e/o denunciato. Evitare il rischio che arrivassero provvedimenti giudiziari ai danni dei facchini era quindi la prima preoccupazione. Questo ha implicato come scambio che anche la parte sindacale abbia dovuto impegnarsi a propria volta nel non avanzare cause legali inerenti la vertenza. Tale rinuncia ha avuto una valenza piuttosto limitata. Era infatti già noto che di lì a breve sarebbe intervenuto l’ispettorato del lavoro su sollecito dell’interrogazione parlamentare presentata la sera precedente all’accordo. L’esito dell’ispezione si sta già palesando in questi giorni sui giornali. “La relazione di Cassano conferma infatti in maniera ufficiale, dopo le accuse lanciate dalla Cgil durante la contestazione, che nelle due cooperative appaltatrici della Castelfrigo (Ilia e Work Service) sarebbero state commesse diverse irregolarità nel rapporto con i dipendenti. Arriveranno i provvedimenti del caso” («Il Resto del Carlino» del 23 febbraio 2016). A fronte della premessa e degli esiti ottenuti, può davvero definirsi questo punto un compromesso a perdere per i lavoratori? Ci pare di poterne seriamente dubitare.

Il secondo punto è quello che riguarda il rispetto da subito del contratto nazionale cooperative logistica e il passaggio graduale a quello delle cooperative di trasformazione alimentare entro il 31 luglio 2017. Il dubbio avanzato da Si Cobas che comunque possa non sparire la voce retributiva fraudolenta cosiddetta “Trasferte Italia” risulta essere sinceramente gratuito. Il testo recita: “ai lavoratori operanti in virtù del contratto di appalto è garantita, a partire dal 1 febbraio 2016, l’applicazione integrale del CCNL cooperative logistica, trasporto merci e spedizione del 1 agosto 2013”. Una tale formulazione non può lasciare adito a interpretazioni. Ricordiamo che il CCNL in questione, nonostante presenti forti limiti, a oggi non vede la firma delle tre principali centrali cooperative perché troppo oneroso. Pertanto il suo richiamo esplicito, così come attesta quanto accaduto in Motovario dove è presente un accordo con la medesima dicitura, significa rimuovere ogni elemento di irregolarità.

Per quanto riguarda poi il passaggio al contratto alimentare è bene innanzitutto precisare che il differenziale in questione non è di 100 euro al mese ma, a regime, di una cifra tra i 200 e i 250 euro. In secondo luogo ritenere migliore, come pretende il Si Cobas, una indennità di mensa, per quanto di 3 euro, piuttosto che un aumento della paga base e della paga globale di fatto oltre che di un netto miglioramento normativo (come per es. il pagamento dei primi 3 giorni di malattia) è segno di una totale incompetenza dal punto di vista sindacale.

Il contratto delle cooperative di trasformazione alimentare verrà applicato a tutti quei lavoratori, cioè la stragrande maggioranza, che non sono veri facchini ma operai a tutti gli effetti. Stiamo parlando di almeno 90 lavoratori su 130. Ovviamente coloro che svolgono effettivamente la mansione di facchino tali resteranno inquadrati. Il punto casomai, e su questo torneremo nelle conclusioni, dovrebbe essere porre il problema della legittimità, per quanto spesso formalmente legale, degli appalti di parti dell’attività caratteristica della committente. Certo si può criticare il fatto che 17 mesi di periodo transitorio fra un CCNL e l’altro siano troppi. Ogni qualvolta si sottoscrivono compromessi si può sempre fare meglio. Tuttavia la domanda che poniamo ai compagni del Si Cobas è la seguente: siete riusciti nella vostra pratica sindacale quotidiana in questi anni a fare altrettanto o meglio di così?

Addirittura nelle ditte AlcarUno e GlobalCarni il Si Cobas, commettendo un errore macroscopico inizialmente non si era nemmeno posto il problema del passaggio di contratto. Solo in seguito, ad accordo aziendale ormai siglato, ha tentato e continua a tentare, per ora senza esito, di rimediare all’errore e far applicare il CCNL alimentare.

A oggi, che a noi risulti, l’unico altro episodio di cambio di CCNL dal facchinaggio cooperativo a quello effettivamente corrispondente alle mansioni svolte è avvenuto alla Carpigiana di Modena grazie all’unità che in quella vertenza si era creata tra Fiom e Si Cobas.

Infine sulla clausola sociale. Il testo dell’accordo recita: “In caso di subentro di un nuovo appaltatore nelle lavorazioni concesse in appalto dalla SRL Castelfrigo le parti si impegnano ad effettuare un apposito incontro preventivo di natura trilaterale. Tale incontro sarà utile per definire e raggiungere un’intesa, tra l’appaltatore e le organizzazioni sindacali territorialmente competenti, finalizzata a mantenere inalterati i livelli occupazionali e all’applicazione della c.d. “clausola sociale” ferme restando identità e sovrapponibilità dell’appalto.” I punti dirimenti di questo passaggio sono due. In primo luogo il coinvolgimento diretto della committente nella trattativa sindacale sul cambio di appalto e le sue condizioni. Premessa questa irrinunciabile per poter dare un minimo di attendibilità applicativa a qualsiasi tipo di accordo. In secondo luogo la garanzia del mantenimento dei livelli occupazionali. Pur faticando a capire la pertinenza del paragone con il CCNL Multiservizi proposta dal Si Cobas nel suo comunicato, anche in questo caso emerge una conoscenza molto parziale di quanto si sta affermando. Non c’è dubbio infatti che nel cambio di appalto il CCNL Multiservizi garantisca a priori alcune condizioni contrattuali che invece nell’accordo in questione sono di volta in volta da ricontrattare con tutte le incognite ed i rischi del caso. Tuttavia nel Multiservizi è prevista anche la possibilità di cambi appalto che non garantiscano i livelli occupazionali. Nell’accordo Castelfrigo invece questo importante elemento viene esplicitamente garantito. Non c’è dubbio nemmeno che tale clausola sociale non affronti il tema del jobs act. Questo è sicuramente un altro limite, così come la mancata applicazione dell’articolo 2112. Anche qui però la domanda che ritorna è sempre la stessa: è riuscito Si Cobas a strappare ai padroni accordi che prevedano la clausola sociale o la non applicazione del jobs act? La risposta è no. A nostra conoscenza uno dei pochissimi accordi a livello nazionale, assieme a quello della GKN di Firenze, che preveda entrambe questi punti è quello firmato alla Motovario di Modena per i facchini della cooperativa interna. Accordo siglato per la Fiom da chi scrive, oltre che dalla Filt e dalla RSU.

La scarsa coerenza contrattuale del Si Cobas

Avendo avuto modo in questi mesi di conoscere più da vicino Si Cobas, dobbiamo constatare con rammarico che alle importanti, coraggiose ed esemplari lotte che intraprendono i lavoratori che si organizzano nelle sue fila non corrispondono di norma accordi altrettanto all’altezza. Al contrario, spesso la pratica sindacale risulta essere di scambio al ribasso. Per esempio alla AlcarUno o alla GlobalCarni si è scambiato un buono pasto da 3 euro con l’accettazione del pagamento della malattia a partire dall’undicesimo giorno anziché dal quarto come previsto dal CCNL. Ancora peggio alla società cooperativa Parma Courier si accetta che i miglioramenti previsti dall’accordo sottoscritto siano subordinati all’andamento economico dell’azienda. Recita il suddetto accordo: “Tutte le condizioni di miglior favore previste nel presente accordo sono da intendersi in fase sperimentale e pertanto potranno essere tutte oggetto di analisi al verificarsi di eventuali situazioni di crisi o di abusi al momento non prevedibili; la loro efficacia inoltre, sarà vincolata al raggiungimento di obbiettivi di produttività da concordare, tali da garantirne la copertura economica.”

Ma ancora più grave è che dopo lotte così dure e radicali nei metodi, si accetti di applicare clausole di limitazione al diritto di sciopero che nulla hanno da invidiare a quanto previsto dal Testo Unico sulla rappresentanza firmato il 10 gennaio 2014 da Cgil, Cisl e Uil. I punti 8 e 9 dell’accordo in Parma Courier prevedono:

8) Le parti, considerando il dialogo elemento essenziale per la risoluzione dei problemi, con il presente accordo intendono definire linee guida per stabilire corrette relazioni sindacali, concordando sin d’ora la seguente procedura per la risoluzione delle controversie:

– Comunicazione scritta, contenete i motivi della controversia, indirizzata alla società appaltatrice, con formale richiesta di incontro.

– Apertura, in tempi brevi del tavolo di trattativa, nel corso del quale le parti si astengono da qualsiasi forma di protesta.

– Esaurita la procedura di cui sopra e, quindi, non prima di aver discusso la controversia con l’appaltatore, in caso di mancato accordo, la O.S. potrà proclamare lo stato di agitazione.

9) Il mancato adempimento di quanto previsto al punto 8) comporterà l’immediata decadenza di quanto previsto ai punti 2,3,4, e 5 del presente accordo”.

Purtroppo ci è toccato constatare che accordi di questo genere il Si Cobas ne ha firmati ben più di uno.

Il culmine dell’assurdo si è poi raggiunto nell’intervista rilasciata ai giornali da un responsabile Si Cobas della zona modenese sul metodo di lotta adottato dalla Cgil alla Castefrigo. Afferma il compagno: “Se ti metti ai cancelli per non fare entrare nessuno, con la logica da centro sociale, è ovvio che la polizia debba intervenire e che certe tensioni poi vadano a favore degli imprenditori. Invece bisogna entrare tutti in azienda, come abbiamo fatto noi oggi e incrociare le braccia davanti al nastro” («Il resto del Carlino» 17/2/2016). Ogni commento ci pare superfluo.

Fare una disamina franca e attenta sia delle proprie pratiche di lotta che di quelle contrattuali è un passaggio necessario per ciascuna organizzazione sindacale di classe e non può che rafforzare il movimento nel suo complesso.

Conclusioni

Le critiche avanzate all’inizio del comunicato del Si Cobas sui colpevoli ritardi della Cgil nel mettere mano al problema appalti e cooperative sono indiscutibili. Troppo spesso ci si preoccupa delle “compatibilità” e troppo spesso ci si limita a ridurre tutto a vertenze legali individuali.

Per noi la vertenza della Castelfrigo ha una importanza decisiva se lancia il messaggio che è finita l’epoca nella quale i vertici sindacali guardavano da un’altra parte e si inizia a combattere seriamente l’ipersfruttamento di questo sistema attraverso l’organizzazione del conflitto di classe.

Non abbiamo nessuna esitazione a riconoscere che le vertenze organizzate da SiCobas hanno avuto una parte importante nell’aprire questa nuova situazione.

Chi scrive ritiene inaccettabile che quando Si Cobas organizza scioperi dei facchini, magari impiegati in grandi aziende dell’alimentare, della chimica o della metalmeccanica, la Cgil resti del tutto indifferente o peggio addirittura ostile come alla Bormioli. Ancora oggi, dopo la vertenza Castelfrigo, se il Si Cobas proclama sciopero la Cgil non si fa né vedere né sentire. Questo non è un comportamento ammissibile. Il compito di un sindacato confederale e di classe deve essere quello di unificare i lavoratori non di guardarne la sigla di appartenenza. Primo dovere della Cgil quando i facchini delle cooperative scendono in lotta dovrebbe essere intervenire per sensibilizzare i lavoratori delle committenti e invitarli a scendere in lotta con essi. Spiegare ai “garantiti” che tanto garantiti non sono e che porre fine alla guerra tra poveri è anche loro interesse. Sappiamo bene che questo non è sempre un compito facile, perché anche tra “i diretti” spesso c’è paura o indifferenza. Ciò non può tuttavia giustificare il venir meno dei propri compiti di organizzazione generale del movimento operaio. Mai.

Allo stesso tempo non si può non cogliere come la vicenda Castelfrigo abbia scoperchiato “il vaso di pandora” e costringa oggi ognuno a porsi di fronte alle proprie responsabilità. I politici, l’ispettorato del lavoro ma soprattutto la Cgil stessa che non può più tergiversare e mantenere una linea attendista.

L’accordo Castelfrigo rappresenta, assieme a quello Motovario, il miglior accordo della zona in merito alla questione degli appalti. Il compito immediato che deve assumersi la Cgil, ma anche Si Cobas, è estendere quell’accordo a tutti i settori attraverso il conflitto, rendendolo un modello e possibilmente provando a migliorarlo ulteriormente.

Allo stesso tempo questa vertenza, lungi dall’aver risolto il problema di fondo, lo ha in realtà posto in tutta la sua gravità e portata. Il problema cioè degli appalti di parti dell’attività caratteristica delle aziende e della conseguente nascita di cooperative di comodo fornitrici di manodopera a basso costo. Lottare per abolire le leggi che permettono queste forme di supersfruttamento attraverso appalti e cessioni di rami di azienda diviene uno dei compiti dirimenti e immediati della battaglia rivendicativa del movimento operaio. E’ tempo che la Cgil si metta a fare davvero la lotta dura. Non solo davanti ad una azienda ma davanti a tutte le aziende. E’ tempo di costruire un movimento di lotta generalizzato di unificazione dei lavoratori e delle loro condizioni.

Quando la Cgil ascolta i lavoratori e si mette a disposizione ha la forza per cambiare le cose. Se Si Cobas e Cgil sapranno fare fronte comune, la forza del movimento operaio si accrescerà enormemente. Oggi come sempre è l’unità a fare la forza dei lavoratori. Non ci sono scorciatoie

 

 

Redazione
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