Mondiali: ovunque ma non in Brasile?

di Gennaro Carotenuto (*)
Girano e gireranno articoli e commenti sprezzanti e/o indignati tendenti a sostenere che il Brasile sia inadeguato a ospitare i Campionati del mondo di calcio. Addirittura

rimbalzano sui social network foto-bufala e articoli contriti con fiumi di sangue che documenterebbero presunti massacri di bambini di strada orditi dal governo di Dilma Rousseff per ripulire le strade e dare una buona immagine del Paese ai turisti.
A ciò si aggiungono denunce ragionevoli e condivisibili (ma generiche e spesso dai numeri amplificati) sui morti nei cantieri degli stadi, sui costi esorbitanti e sul giro di corruzione legato al grande evento. Sono critiche sensate soprattutto quando sono documentate e non ciclostilate da Facebook. Lo sono molto meno quando tali critiche attribuiscono i problemi all’indolenza o alla corruttela congenita di uno stereotipato Paese del Sud del mondo. Viene veicolata la convinzione, molto di sinistra (ma anche questa poco o affatto documentata) che gli investimenti – o sprechi – per la Coppa sarebbero stati stornati da programmi sociali. Sono quegli stessi che spesso vengono criticati come clientelari, ma che sono stati decisivi per permettere a decine di milioni di brasiliani di migliorare la loro condizione durante i tre mandati di governi di centro-sinistra di Lula prima e di Dilma ora.
Non è vero che i progetti d’inclusione sociale siano stati tagliati per i mondiali. È semmai discutibile l’ingente investimento pubblico nella Coppa sul modello di Italia ’90: soldi pubblici, profitti privati. Era un crinale difficile da percorrere diversamente per un Paese che ha basato la propria trasformazione sulla non belligeranza dei mercati. Centrifugato tutto ciò nella naturale solidarietà che il complesso disinformativo-industriale inietta per le proteste altrui (vedi alla voce Venezuela), salvo definire terroristi i nostri studenti e lavoratori precari ogni volta che scendono in piazza, in molti concludono che sia inaccettabile che un Paese con le disuguaglianze e le contraddizioni del Brasile organizzi eventi come un mondiale di calcio.
Non sarà chi scrive a difendere la logica dei grandi eventi e i cortocircuiti di interessi privati che tali manifestazioni comportano, né è questa la sede per discutere dell’industria capitalista dell’intrattenimento sportivo. Tali grandi eventi, pur criticabili, esistono e – a meno che non si pensi che gli unici Paesi abilitati ad ospitarli a turno siano la Danimarca, la Svezia e la Norvegia – bisogna fare i conti con la materialità del capitale culturale e simbolico messo in moto in questi casi rispetto alla perfettibilità della natura umana. Rigiocare dopo 64 anni i mondiali nel Paese che simboleggia il calcio più di ogni altro, nel momento storico nel quale questo finalmente s’incammina a realizzare il proprio “destino manifesto” di potenza globale, rappresenta il sovvertimento di gerarchie mentali consolidate. Il Brasile è un grande Paese moderno, una potenza che guarda al resto del mondo in maniera più solidale di quanto non facciano altri, come ha testimoniato mettendosi alla testa della lotta contro l’ALCA, e che non sarebbe stato certo migliore se i mondiali non li avesse organizzati.
Non sono i mondiali a incidere sui problemi dello sviluppo, sull’agroindustria, sulle miniere a cielo aperto, sulla pedofilia legata alla prostituzione minorile e su altre mille contraddizioni di un Paese come il Brasile ma non è giusto dire che vi saranno bambini brasiliani che non mangeranno per colpa dei mondiali. Giova in questo ricordare che, fuor da complottismi, alcune proteste (come quella dei trasporti a San Paolo, capace di gettare nel caos la grande metropoli) appaiono sospette di etero-direzione a secondi fini e che in ballo c’è il passaggio elettorale del 5 ottobre, quando le destre contano di spodestare Dilma Rousseff e il Partito dei Lavoratori per riportare il Paese nella palude del neoliberismo duro e puro. Sarebbe questo allora a privare di pane, salute ed educazione milioni di brasiliani.
Alla maniera di come possono esserlo i grandi eventi simbolici, il mondiale in Brasile è quindi sovversivo rispetto a gabbie, colonialismi mentali e gerarchie. Da destra e da sinistra, ogni dettaglio sarà osservato criticamente e rinfacciato a un Paese impegnato nell’impresa di uscire da un destino di marginalità nel quale era stato relegato dal sistema mondo coloniale e post-coloniale e che invece, all’alba del XXI secolo, si è saputo ritrovare al centro di un mondo multipolare.
I Mondiali di calcio in Brasile (e nel 2016 i giochi olimpici) fotografano tale mondo multipolare uscito dalla gabbia della centralità dell’Occidente, generata dalla vittoria nella guerra fredda e dal neoliberismo trionfante e rapidamente avvizzito sul delirio neoconservatore e sull’esplosione di tante realtà diverse nel mondo che non si sentono più seconde ai cosiddetti Paesi centrali. Dopo le Olimpiadi in Cina e i mondiali di calcio in Sud Africa, il Brasile è il terzo membro dei Brics (poi toccherà alla Russia, resta per ora fuori l’India) a ospitare uno dei due più popolari eventi sportivi mondiali. Ci piacciono questi Paesi? Non ci piacciono? Sono perfetti? Sono meglio o peggio di noi? Hanno titolo per ospitare un grande evento o dobbiamo paternalisticamente dettar loro altre priorità? Ciò ricorda il periodico ridicolo dibattito se un’impresa privata come la SSC Napoli possa acquistare Hasse Jeppson, Beppe Savoldi o Diego Maradona, operando in una città dove, secondo informatissimi critici, non vi sarebbero né l’Università né le fogne.
Nessuno meglio del Brasile – un grande, complicatissimo Paese di 200 milioni di abitanti – può rappresentare il fronte progressista di questo mondo multipolare che è sotto i nostri occhi. Nessuno come il Brasile, con tutte le contraddizioni, nell’ultimo decennio ha fatto di più per ridurre (se speravate di vederle annullare siete ingenui o in malafede) disuguaglianze e ingiustizie plurisecolari, con 50 milioni di persone uscite dalla povertà negli ultimi anni e con livelli d’indigenza ai minimi storici. Ora questi ex-poveri alzano l’assicella delle loro esigenze, criticando governi ai quali devono molto. Bene che lo facciano, vedremo chi saprà dare risposte sfondando un nuovo tetto di cristallo per questo grande Paese.
Sulla terribile violenza che da molti anni caratterizza l’America latina, soprattutto a causa del narcotraffico, possiamo indignarci finché vogliamo. Sicuramente i governi integrazionisti, il Venezuela oltre al Brasile, non si sono distinti in questi anni per i successi contro la violenza ma neanche si sono registrati picchi da guerra civile come in Messico o in Honduras. In Brasile gli squadroni della morte che fanno “pulizia sociale” esistono da decenni, agli ordini soprattutto di interessi privati che utilizzano la corruzione dei corpi di polizia a tali fini. Non li ha scoperti un giornalista danese nel 2014 ed è falso e tendenzioso affermare che dietro l’assassinio di tanti “meninos de rua” (due al giorno in media nella sola San Paolo) vi sia dietro il governo di Dilma Rousseff. Anche rispetto alle inefficienze, queste sono create ad arte innanzitutto dalle imprese appaltatrici, che ricattano il governo creando ritardi per poter spillare aumenti rispetto ai contratti originali. Del resto, chi legge in italiano, avrà sentito parlare di appalti per la Salerno-Reggio Calabria, o per l’Expo di Milano, il Mose di Venezia e sa come vanno codeste cose. In merito le parole di Pelé (da una vita uomo-immagine di tutte le destre, dittatura militare compresa, e riportate con grande risalto dai media internazionali) proprio non sono meritevoli di credito.
Si potrebbe continuare a lungo. Il Brasile non è certo una società perfetta (qualcuna lo è?) e i mondiali di calcio sono anche catalizzatori di problemi che come tali vanno denunciati e devono essere oggetto di critica sociale. Quello che non è tollerabile è il giudizio astratto, tipico di una visione occidentalista del mondo, che – di fronte alla denuncia spesso male o affatto documentata se non falsa e tendenziosa – trae la conclusione paternalistica e conservatrice che certuni non sarebbero adatti, perché culturalmente impreparati o indegni, a ricoprire determinati oneri e onori. Io sto con il Brasile.
(*) ripreso dall’ottimo http://www.gennarocarotenuto.it

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

4 commenti

  • Ecco il messaggio con cui Dilma Rousseff apre i mondiali. Con qualche ingenuità, a mio parere (De Coubertin era un militarista, antifemminista e la sua leggenda è insopportabile) ma molto-molto meglio della retorica abituale e soprattutto capace di affrontare i nodi veri, cob il minimo di retorica. Come ha commentato un mio amico brasiliano: «Dilma non è il “mostro” che gran parte della stampa italiana (e non solo) dipinge… Anzi. Lei è parte del meglio che la sinistra brasiliana ha da offrire».

    Le proteste ci aiutano a crescere (08/06/2014)
    di Dilma Rousseff
    A partire da giovedì prossimo, gli occhi e i cuori del mondo saranno rivolti al Brasile. Trentadue nazionali, che rappresentano il meglio del calcio mondiale, disputeranno la Coppa del Mondo, il campionato che, ogni quattro anni, ci trasforma tutti in tifosi. È il momento della grande festa internazionale dello sport. È anche il momento di celebrare, grazie al calcio, i valori della competizione leale e della convivenza pacifica tra i popoli. È l’occasione per rinvigorire i valori umanistici di Pierre de Coubertin. I valori della pace, della concordia e della tolleranza. Il “Mondiale dei Mondiali”, come affettuosamente lo abbiamo battezzato, sarà anche il mondiale per la pace e contro il razzismo, il mondiale per l’inclusione e contro tutte le forme di preconcetto, il mondiale della tolleranza, della diversità, del dialogo, dell’intesa e della sostenibilità.
    Organizzare il “Mondiale dei Mondiali” è motivo di orgoglio per i brasiliani. Sia fuori che in campo, saremo uniti e impegnati a offrire un grande spettacolo. Per un mese, i visitatori che si troveranno nel nostro Paese potranno constatare che il Brasile vive oggi una democrazia matura e vigorosa. Il Paese ha promosso, negli ultimi dodici anni, uno dei più riusciti processi di distribuzione di reddito, aumento del livello di occupazione e inclusione sociale del mondo. Abbiamo ridotto la disuguaglianza a livelli impressionanti, elevando, in un decennio, 42 milioni di persone alla classe media e togliendo dalla miseria 36 milioni di brasiliani. Siamo anche un Paese che, sebbene abbia vissuto pochi decenni fa una dittatura, vanta oggi una democrazia vibrante. Godiamo della più assoluta libertà e conviviamo armonicamente con manifestazioni popolari e rivendicazioni, le quali ci aiutano a perfezionare sempre di più le nostre istituzioni democratiche. In tutte le 12 città sede dei Mondiali, i visitatori potranno convivere con un popolo allegro, generoso e ospitale. Siamo il Paese della musica, delle bellezze naturali, della diversità culturale, dell’armonia etnica e religiosa, del rispetto per l’ambiente.
    Di fatto, il calcio è nato in Inghilterra. A noi piace pensare che sia stato in Brasile che ha fissato la sua dimora. È qui che sono nati Pelé, Garrincha, Didi e tanti campioni che hanno incantato milioni di persone nel mondo. Ora che il Mondiale ritorna in Brasile, dopo 64 anni, è come se il calcio fosse tornato a casa sua. Siamo il “Paese del Calcio” per la gloriosa storia di cinque campionati vinti e per la passione che ogni brasiliano nutre per la sua squadra, per i suoi idoli e per la sua nazionale. L’amore del nostro popolo per questo sport è ormai divenuta una delle caratteristiche della nostra identità nazionale. Il calcio, per noi, è una celebrazione della vita.
    A nome di 201 milioni di brasiliane e brasiliani, rivolgo il benvenuto ai tifosi e a tutti i visitatori che verranno in Brasile a condividere con noi il “Mondiale dei Mondiali”.

  • VI SEGNALO su http://comune-info.net/ LE ALTRE FACCE DELLA COPA DO MUNDO
    La vera novità è che la gente delle favelas sta perdendo la paura. Forse non esploderà ora ma è un processo che non si fermerà più. I Comitati contro la Coppa hanno fatto un lavoro meraviglioso nelle comunità colpite dai mega-interessi dell’evento L’INTERVISTA COMPLETA DI GLORIA MUNOZ RAMIREZ A RAUL ZIBECHI

  • Coppa del Mondo e popoli indigeni: il lato oscuro del Brasile
    di Survival International (Italia)

    Il tema dei mondiali imperversa ovunque, Fifa e Coca-Cola promuovono l’evento utilizzando l’immagine di un Indiano sorridente accompagnata dalla scritta “Benvenuti alla Coppa di tutto il mondo”. Dato il coinvolgimento di Coca Cola nell’accaparramento di terra che porta morte e miseria al popolo indigeno più numeroso del Brasile, i Guarani, l’utilizzo di un Indiano nella pubblicità è scelta quantomeno audace. La compagnia compra zucchero dal gigante alimentare Bunge, che a sua volta acquista canna da zucchero prodotta nella terra rubata alla tribù…
    Ma quello dei Guarani non è l’unico caso di profonda sofferenza nascosto dietro l’immagine patinata del Brasile promossa in questi giorni.
    Gli stadi di calcio sono costruiti sui territori indigeni, e la recente ricchezza del paese si fonda sullo sfratto degli Indiani e sul furto delle loro terre. Come se non bastasse, governo e proprietari terrieri stanno promuovendo progetti di legge che, se approvati, potrebbero togliere agli indigeni anche le terre e le risorse faticosamente conservate fino ad oggi.
    Per favore, aiutaci a trasformare i Mondiali di calcio in un’occasione di informazione e sostegno ai popoli indigeni del paese.
    Leggi e condividi la nostra pagina web sul lato oscuro del Brasile.
    Ci troverai notizie di grande interesse, e aiuterai i popoli indigeni a diffondere i loro disperati appelli. Il genocidio dei popoli tribali è ormai diventata una delle crisi umanitarie più urgenti del nostro tempo.
    Grazie.
    Francesca Casella
    Survival International (Italia),
    via De Amicis 10, 20123 Milano
    T (+39) 02 8900671
    http://www.survival.it

  • NOTIZIE DALL’ALTROMERCATO (botteghe del commercio equo)
    La partita più importante si gioca per i diritti mondiali
    Palloni equosolidali «altromercato» in cuoio sintetico realizzati in Pakistan senza sfruttamento
    I palloni «altromercato» sono realizzati in luoghi di lavoro dignitosi, in cui sono garantiti sicurezza, salari equi e assenza di manodopera infantile. Inoltre la produzione di palloni equosolidali permette di sviluppare progetti sociali a favore delle comunità locali. Riconoscere agli adulti un giusto compenso e un lavoro dignitoso, crea le condizioni per garantire ai bambini il diritto al gioco e all’educazione.
    L’azienda che realizza i palloni per conto di altromercato è Vision, situata in Pakistan nella regione di Sialkot, dove vengono prodotti più del 70% dei palloni da calcio venduti nel mondo. L’importazione avviene attraverso Fair Deal Trading, azienda 100% equosolidale.
    Dai un calcio all’ingiustizia e scegli un pallone «altromercato»: un bel gioco non sfrutta altri bambini.
    In vendita in tutte le botteghe Chico Mendes
    INFO: http://www.chicomendes.it

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