Monti? Rischia di non durare

Rischia di non durare
Neppure l’uomo più avvertito può giurare sul proprio destino. Poiché esistono snodi e bivi e obblighi e contraddizioni ai quali non gli è dato sottrarsi; anzitutto non è dato sottrarsi a se stessi, a ciò che si è, o meglio a ciò che ognuno ha contribuito a diventare.
Prendiamo il caso del nuovo Primo Ministro, Professor Monti (io avrei detto Signor Monti, ma so che molti preferiscono la diminuzione del titolo professionale, e mi adeguo).

Nato per rimettere in piedi l’Italia ed imprimere un nuovo corso alla politica italiana, perciò nato per durare, a neppure tre mesi dall’insediamento mostra i primi segni di usura. Pur essendo partito col piede giusto (slogan: rigore, equità, crescita); pur avendo avuto il compito facilitato dal sostegno dei poteri immensi che stanno dietro l’attuale destra mondiale e dall’appoggio esplicito dello stesso Presidente della Repubblica, unico uomo politico italiano a non essersi completamente discreditato, si sta incagliando negli scogli della dissennata torchiatura a cui ha sottoposto i meno abbienti

Non perché lo voglia (il discredito, intendo; perché la torchiatura, essendo uomo di destra, è parte della sua vocazione, di cio che nella vita ha scelto di vedere, dopo aver scelto di non vedere); ma perché discreditato dalle ragioni stesse che lo hanno sollevato alla dignità di Primo Ministro, incarico fin’ora esercitato dai predecessori, specialmente l’ultimo, molto indegnamente: infliggere una sconfitta storica alle masse popolari, obiettivo di fondo della borghesia mondiale. Dovendo scontare, tra l’altro, la diffidenza enorme accumulatasi negli ultimi venti anni nei confronti del personale politico. La gente sta lì, con il fucile puntato, disposta a concedere tempo al nuovo governo, non a concedergli franchigia alcuna sui provvedimenti che porrà in essere.
Il problema è che se ottempera a questo incarico con i tempi e nei modi che si è dato (e gli sono stati affidati), nella congiuntura politica in cui si trova a agire, rischia di andare dritto incontro al fallimento. Con complicazioni delle quali non è dato precisare la natura, ma che comporteranno sommovimenti grandissimi.
La contraddizione che pesa sul futuro del governo Monti potrebbe essere attenuata e in prospettiva superata dall’attivazione dell’intelligenza politica della compagine governativa. Della sua specifica intelligenza, non certo della mia o quella che ritengo essere dei lettori, che si muove su altri piani, altre logiche. Intendo l’intelligenza di un uomo di destra incaricato di realizzare un programma di destra, all’interno di una decente prospettiva di destra, che richiede le sue specifiche modalità di applicazione per passare indenne sotto le forche caudine del predecessore. Modalità della quali non sembra Monti abbia adeguatamente esaminato e approfondito. Alcuni dei provvedimenti che ha la responsabilità di attuare o li assume subito, ora, nella fase in cui sarebbe rovinoso per il PDL “staccare la spina”; oppure, passato il più dello sdegno di massa nei confronti di Berlusconi, con gli errori del nuovo Primo Ministro che fanno dimenticare quelli del vecchio, diventerà molto difficile assumerli.
Per convincersene basterà esaminare le manovre finora portate a compimento nell’ottica appena enunciata. In essa è incluso tutto l’ammissibile per il Signore dell’Immobilismo, ex “Premier”, Cavalier Berlusconi e nulla invece di ciò che potrebbe spiacergli. E quello che gli spiace non sono altro che i contenuti essenziali che potrebbero salvare l’anima della moderatissima sinistra parlamentare. Con questa manovra Monti infatti ha badato a coprirsi a destra, consapevole che dalla destra vengono i pericoli immediati per lui. Dalla destra, che ha fatto subito comprendere i limiti che non dovevano essere superati, pena il passaggio del PDL all’opposizione; al contrario della “sinistra” che, lo ha fatto ampiamente capire, difficilmente gli farà mancare l’appoggio. Per tacitare quest’ultima appare evidente che basterà apporre qualche ritocco alla manovra, ritocchi probabilmente già previsti e gli ineffabili sodali di Bersani (una seconda “B” fatale) ingoieranno il rospo e, ancora una volta, si allontaneranno da una vittoria elettorale che sembrava cosa fatta.
Stante la situazione, con Berlusconi che ricatta e Bersani che garantisce, nessuna sorpresa se le manovre abbiano assunto il carattere che ha assunto. Non si da molto retta a chi non costituisce un pericolo, esperienza che tre anni fa ha portato all’evaporazione della “sinistra radicale” (cioè la sinistra comunista) e oggi probabilmente alla disgregazione di quella moderata; mentre se ne da moltissima a chi invece fa immediatamente capire che basterà un niente per indurlo a fingere di essersi fatto saltare i nervi. D’altronde per il PDL è preferibile una sconfitta oggi che un completo disastro domani. Disastro che maturerebbe inevitabilmente se l’attuale governo osasse completare il suo compito mettendo mano alla tanto aborrita riforma elettorale, a una patrimoniale seria, un serio attacco alla corruzione e all’evasione, un ridimensionamento delle spese militari e alla fine delle esenzione della Chiesa di Roma (vi sono altri provvedimenti che possono far uscire l’Italia dalle strettoie del debito, espongo solo quelli più citati)
Non a caso è bastata una telefona di Berlusconi a Monti (così si dice) per indurlo a cancellare dal testo elaborato il già previsto aumento delle aliquote IRPEF.
Il problema che si pone a questo punto è come continuare nell’opera di risanamento, considerato che da ora in poi ogni possibile iniziativa del governo riguarderà proprio ciò che più spiace al riottosissimo Berlusconi. Monti dunque e vicinissimo a ritrovarsi in un vicolo cieco. Perché o va a uno scontro diretto con la destra, segnando in questo modo la sua fine; oppure dovrà rinunciare agli aspetti più qualificanti del programma, il che lo indebolirà esponendolo alle possibili impazienze e cinici calcoli elettori del PDL.
Certo, è ancor in tempo a provvedere. Oggi. Domani. Affrettandosi a inserire subito i bocconi indigesti nella manovra, obbligando la parte che lo tiene sotto tiro a votarli. Ma, ripeto, oggi, forse anche domani. Dopodomani già potrebbe risultare impossibile.
Riuscirà Monti a superare la propria visione “tecnica” delle cose per accedere a una più alta e per lui proficua visione da statista?
Io propenderei per il no. Non saprei però vaticinare quanto durerà e le circostanze che lo porteranno alla caduta. Le masse popolari intanto, avendo perduto con le speranze anche le illusioni, iniza a muoversi. La risposta è quella di sempre: parlare d’altro, lamentare le “strumentalizzazioni” (sai che può fregargliene a un affamato), la repressione, sotto i più svariati pretesti, degli oppositori. Mi domando allora, per domandarlo a tutti, se di rispetto della legge si deve parlare, perché cominciare da quelli della Val di Susa, lasciando che tutto il resto proceda indisturbato?
No, perché il problema non è dell’intelligenza maggiore o minore di chi i potenti chiamano a governarci. Ma del come imbrigliare la volontà di questi potenti nell’interesso stesso del sistema nel suo complesso. Non vedo uomini di questa tempra all’orizzonte. Vedo piuttosto segni di tempesta, una disponibilità nuova delle masse a passare all’azione.
Ma prive di guida come sono, fin dove possono arrivare?
Mauro Antonio Miglieruolo

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

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