Morbus gravidus

Scienza fuori controllo, sporco capitalismo e bieca teologia nella poetica zombie di George A. Romero.

di Fabrizio Melodia («astrofilosofo»)

«Quando non ci sarà più posto all’Inferno, i morti cammineranno sulla Terra». Così recitava la locandina di «La notte dei morti viventi» (1968) del regista statunitense di origini lituane George Andrew Romero.

Un film scomodo, assolutamente di contestazione, che rompeva gli argini con la precedente cinematografia, fornendo una forte critica sociale al sistema capitalistico.

Andiamo con ordine.

Una coppia, fratello e sorella, va in visita al cimitero. Alla radio strane notizie sembrano affermare che alcune salme sono resuscitate e si aggirano per le città.

L’uomo non ci crede, anzi prendendo in giro l’impressionabile sorella Barbara ne irride le paure, vezzeggiandola con un sarcastico: «I morti verranno a prenderti, Barbara». Mai atto fu più incauto.

Un uomo allampanato sbuca dal nulla e si avventa contro il fratello di Barbara, scagliandolo a terra con forza sovrumana.

Barbara è spaventata, corre a più non posso verso l’automobile lasciata all’uscita del cimitero. Mette in moto e parte, ma va a sbattere. L’uomo, che si muove in modo scomposto ma rapido cerca di afferrarla: Barbara si barrica dentro. Ecco che l’uomo afferra una pietra, spaccando il vetro. Barbara, in preda al panico, riesce a divincolarsi fortunosamente e a fuggire in campo aperto, sempre inseguita dall’uomo claudicante e lamentoso. Arriva in una casa di campagna, apparentemente abbandonata. Entra, barricandosi dentro, mentre l’uomo la raggiunge ma non la segue. All’interno trova con disgusto un cadavere in avanzato stato di decomposizione, oltre a un uomo di colore, Ben, che la sorregge e la tranquillizza, essendo Barbara in piena crisi nervosa.

Ben si appresta alla difesa della casa, armato di un fucile e barricando tutte le porte e le finestre, mentre la televisione trasmette notiziari a reti unificate, con notizie sempre più spaventose. Sembra infatti che un satellite sia ritornato sulla Terra portando con sé un batterio o una particolare onda radioattiva che ha infettato i morti, resuscitandoli dalle tombe. Essi ora si aggirano per nutrirsi di carne umana, privi di qualsiasi coscienza: un loro morso significa contagio certo. L’unico modo per ucciderli è colpirli in testa e cremare le salme, poiché solo la parte limbica del cervello viene riattivata dalla particolare onda.

La notte si avvicina, nella casa arrivano anche due famiglie, la prima composta da Harry, sua moglie Helen e la figlioletta Karen, ferita gravemente dai resuscitati. La seconda composta da Tom e dalla sua compagna Judy.

Scoppiano liti fra Harry e Tom sulle modalità di difesa della casa, mentre Ben non perde tempo e termina l’opera di fortificazione per una lunga e tremenda notte. A quanto sembra – spiega Ben – le creature non morte temono ancora il fuoco, prepara così delle torce, giusto in tempo per il primo assalto.

Gli zombi, come li ha definiti la televisione, sono numerosi, instancabili, e attaccano compatti la casa di campagna, sfondando quasi con noncuranza tutte le barriere che gli spauriti sopravvissuti hanno preparato con tanta foga. Gli assediati si convincono a tentare una estrema fuga. Coperti da rudimentali molotov che Harry ha preparato, Tom e Judy cercano di rifornire la loro auto di benzina, ma per il nervosismo Tom la spruzza fuori, finendo per provocare un’esplosione in cui rimane ucciso insieme a Judy. Dinanzi ai sopravvissuti, si mostra il raccapricciante spettacolo dei resti della coppia divorati dai morti viventi con foga, quasi ingozzandosi.

Ben, che era uscito a coprire loro le spalle, tenta disperatamente di rientrare in casa, chiedendo aiuto ad Harry, il quale non muove un dito per aiutarlo. Scampato fortunosamente alle mani e alle fauci delle tremende creature, Ben esplode di rabbia, malmenando Harry.

Alla radio il cronista fornisce rapporti sempre più allarmanti, nonostante una squadra di soccorso stia arrivando dalle loro parti. Improvvisamente salta la luce e gli zombi assaltano l’abitazione come un’onda di maremoto.

Barbara, riconoscendo terrificata il fratello tra la marea dei non morti, viene presa e risucchiata dalla marea inumana, mentre Harry, nel tentativo di rubare il fucile a Ben, viene da quest’ultimo ferito mortalmente con un colpo. Harry si rifugia in cantina, morendo vicino alla figlia, ormai quasi trasformata in una di quelle creature terrificanti e affamate. Helen cerca di seguire il marito in cantina, ma viene uccisa a colpi di cazzuola dalla figlia rediviva, nutritasi nel frattempo delle spoglie del padre.

Ben è solo contro decine di zombi, li tiene a bada alla meglio con la torcia e il fucile, ma, ormai messo alle strette, si rifugia in cantina. Uccide prontamente la bambina non morta e si tiene pronto con il fucile a sparare l’ultimo colpo in testa a Helen, non appena anch’essa avrà ripreso vita.

Passa la notte, mentre al piano superiore i passi e i lamenti delle creature sono forti e chiari. Finalmente arriva l’alba e con il sole arrivano anche i soccorsi. Lo sceriffo e i suoi uomini passano a pettine stretto tutta la contea, uccidendo con precisione tutti gli zombi.

Gli spari svegliano Ben, sopravvissuto in cantina alla tremenda notte. Con il cuore colmo di speranza, egli risale in superficie, affacciandosi cautamente alla finestra.

Intravisto da un uomo dello sceriffo, viene scambiato per uno zombi e freddato con un colpo secco alla testa. La pellicola si conclude con il corpo di Ben, posto sulla pira di cremazione, insieme agli altri zombi.

Film assolutamente di rottura, che mette in luce tabù fino allora intoccabili come cannibalismo, incesto ed egoismo umano al massimo livello, il film è un pugno sullo stomaco continuo per chiunque riesca a coglierne gli aspetti inconsci, anche solo velati.

I morti viventi rappresentano le pulsioni dell’uomo moderno, ridotto ormai a una larva mossa solo dai bisogni primari di nutrimento e caccia. La scienza non mostra il suo lato buono: non esiste cura per le radiazioni che riportano in vita i morti, il male è causato da un evento inesplicabile legato al progresso scientifico, quindi anche questo mito viene demolito.

Ne esce un’umanità totalmente spaurita e distrutta, nessuno sopravvive all’orgia del terrore, ogni persona è divorata dall’onda del consumismo, che ineluttabilmente tutto divora e distrugge.

A nulla servono i rastrellamenti: anche l’unico sopravvissuto alla notte degli zombi viene ucciso per errore. I provvedimenti di emergenza sembrano naufragare, compresi quelli scientifici, il cui presunto pacifismo frana miseramente, ricondotto agli antichi roghi medievali, come se il pianeta fosse afflitto da nuove, poderose e prepotenti malattie incurabili, flagelli apocalittici che non lasciano scampo o speranza di redenzione ai lumi della Ragione.

La Società si sgretola, tutti i rapporti sociali crollano, ognuno pensa a se stesso, alla propria sopravvivenza, incurante di una coscienza comune e di un obiettivo di lotta chiaro. Una lotta dura, contro il morbo che distrugge la coscienza critica e fisica delle persone, il mito del progresso, del denaro e del potere. I morti viventi sono asserviti al semplice imperativo del «mangia, produci e non morire mai».

L’alienazione regna sovrana e incontrastata per tutta la pellicola, resa alla perfezione dall’algida regia di Romero e dalla perfetta scelta di montaggio e fotografia.

«Il rapporto dell’operaio col lavoro pone in essere il rapporto del capitalista – o come meglio si voglia chiamare il padrone del lavoro – con il lavoro. La proprietà privata è quindi il prodotto, il risultato la conseguenza necessaria del lavoro alienato, del rapporto di estraneità che si stabilisce fra l’operaio, da un lato, e la natura e lui stesso dall’altro. Così anche se la proprietà privata appare come il fondamento, la causa del lavoro alienato, essa ne è piuttosto la conseguenza; allo stesso modo gli dèi non sono la causa, ma l’effetto dell’umano vaneggiamento. Successivamente questo rapporto si converte in una azione reciproca. […] Quindi riconosciamo pure che salario e proprietà privata sono la stessa cosa, poiché il salario, nella misura in cui il prodotto, l’oggetto del lavoro, retribuisce il lavoro stesso, non è che una conseguenza necessaria dell’estraniazione del lavoro. […] Un forzato aumento del salario (prescindendo da tutte le altre difficoltà) non sarebbe altro che una migliore remunerazione degli schiavi e non eleverebbe né all’operaio né al lavoro la loro funzione umana e la loro dignità»: così Karl Marx in «Manoscritti economico-filosofici del 1844» (a cura di Norberto Bobbio, Einaudi, Torino, 1983, Primo Manoscritto, “Il lavoro estraniato”, XXV, pagg. 81-82).

Ecco dunque i nostri zombi dare concretezza visiva al pensiero marxista, con una forza e una chiarezza estranea a qualsiasi testo filosofico ed economico. L’azione alienante della dialettica fra servo e padrone rende i servi come zombi, vogliosi solo di avere sempre più carne da mangiare, fino a divorare tutto ciò che si presenta all’orizzonte, non avendo più coscienza se non quella primaria.

Allo stesso tempo, i padroni, i rifugiati come Ben e gli altri, sono assediati dalle continue richieste di cibo e salario dei servi, spaventati e privati degli status sociali che li contraddistinguono da sempre: la casa, l’automobile, e la centralità della famiglia, la quale si presenta come il luogo della perdizione e della violenza capitalista, fino a divorarsi a vicenda.

Alla fine il capitalismo passa alla guerra totale, distruggendo tutto indiscriminatamente, brandendo la bandiera moralizzatrice, per restituire democrazia, pace e supermercati alle persone, che si ritroveranno prigioniere e maciullate ancora una volta nella morsa stritolante della dialettica fra produzione e salario, schiavi e padroni del lavoro.

«Ciò che mediante il denaro è a mia disposizione, ciò che io posso pagare, ciò che il denaro può comprare, quello sono io stesso, il possessore del denaro medesimo. Quanto grande è il potere del denaro, tanto grande è il mio potere. […] Ciò che io sono e posso, non è affatto determinato dalla mia individualità. Io sono brutto ma posso comprarmi la più bella tra le donne. E quindi io non sono brutto, perché l’effetto della bruttezza, la sua forza repulsiva, è annullata dal denaro. Io, considerato come individuo, sono storpio, ma il denaro mi procura ventiquattro gambe; quindi non sono storpio. Io sono un uomo malvagio, disonesto, senza scrupoli, stupido; ma il denaro è onorato e quindi anche il suo possessore. Il denaro è il bene supremo e quindi il suo possessore è buono; il denaro inoltre mi toglie la pena di essere disonesto; e quindi si presume che io sia onesto. Io sono uno stupido ma il denaro è la vera intelligenza di tutte le cose; e allora, come potrebbe essere stupido chi lo possiede? Inoltre costui potrà comprarsi le persone intelligenti, e chi ha potere sulle persone intelligenti, non è più intelligente delle persone intelligenti? Io che col denaro ho la facoltà di procurarmi tutto quello a cui il cuore umano aspira, non possiede forse tutte le umane facoltà?»: ancora Marx in «Manoscritti economico-filosofici del 1844» (edizione citata; Terzo Manoscritto, “Il denaro”, XLII, pagg. 153-154).

Come per magia i pensieri si uniscono, gli zombi cercano a più non posso la carne da divorare, il salario, il denaro che tutto decide e determina, rende l’individuo come un cannibale. Il denaro è potere, volontà di potenza, di sopraffazione della Giustizia e dell’Etica, ogni forma di legge viene meno nel nome del denaro. Ecco dunque che denaro, rapporto dialettico fra realtà sensibile e liberazione dalla schiavitù assurgono in Romero con la stessa, concettuale, ma concreta fermezza degli scritti di Marx e di Nietzsche, il cui pensiero coincide con quello della liberazione dalle forme della schiavitù.

«Che cos’è per l’uomo la scimmia? Un ghigno o una vergogna dolorosa. E questo appunto ha da essere l’uomo per l’oltreuomo: un ghigno o una dolorosa vergogna. Avete percorso il cammino del verme all’uomo, e in voi molto ha ancora del verme. In passato foste scimmie, e ancor oggi l’uomo è più scimmia di qualsiasi scimmia. E il più saggio fra voi non è altro che un’ibrida disarmonia di pianta e spettro. Voglio forse che diventiate uno spettro o una pianta? Ecco, io vi insegno l’oltreuomo. L’oltreuomo è il senso della terra. Dica la vostra volontà: sia il superuomo il senso della terra! Vi scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze! Lo sappiano o no: costoro esercitano il veneficio»: è Friedrich W. Nietzsche in «Cosi parlò Zarathustra» (Prefazione, 3-4; pagg. 5-10).

Il veleno del denaro e della carne è gravido di schiavitù e sopraffazione, ecco il motivo per cui nessuno alla fine è destinato a sopravvivere. Nelle chiare intenzioni della poetica metafisica di George A. Romero, il capitalismo e la logica di mercato e delle finanze è destinato a non lasciare sopravvissuti, né fra gli schiavi né fra i padroni. Alla fine, quando la macchina capitalistica avrà smesso di divorare i suoi clienti, allora i rifiuti privati di coscienza cominceranno a camminare sulla terra. Nessuno sarà al sicuro.

Redazione
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