Morire è una faccenda molto strana

recensione ad «Anonima Aldilà» di Robert Sheckley

di Erremme Dibbì (*)

«Più tardi, ripensando alle circostanze della propria morte, Thomas Blaine rimpianse che non fossero state più interessanti»: è il memorabile inizio di «Anonima Aldilà», romanzo che Robert Sheckley scrisse nel 1959 – titolo originale «Immortality Inc (Time Killer)» – e che ora Urania ripropone.

E’ un peccato mortale svelare i colpi di scena anche se accadono nelle prime pagine di un libro ma in questo caso c’è già la quarta di copertina a ciarlare troppo e dunque viene derubricato a veniale.

Blaine, 32 anni, muore banalmente (o no?) nel 1958, in un incidente d’auto. E’ un tipo tranquillo: «l’azione non è il mio forte. Sono specializzato in contemplazioni e dolci rimpianti» dice di sé.

Morto dunque: «banalmente, stupidamente, rapidamente e senza dolore». Eppure, subito dopo (una riga appena nel romanzo) «si svegliò in un bianco letto». Intorno dottori che discutono se «il trauma della morte» sia sopravvalutato. Pian piano scoprirà di essere “rinato” nel 2110; di essere nel corpo di un altro (ben diverso dal suo) e in una città che sembra «una Bagdad surrealista»; che «quando un essere umano muore ci sono almeno tre possibilità» (ma qui ovviamente il “re-censore” tacerà). In quel nuovo mondo Thomas Blaine troverà un Aldilà e anche una misteriosa Soglia; esistono nuove religioni; ci sono fantasmi, zombi, doppelganger, lupi mannari, poltergeist ma anche le «cabine del suicidio»; la «caccia» – o meglio il diventare preda e farsi cacciare –  è una «forma legale di suicidio» (un’idea che Sheckley ruba a se stesso cioè al racconto «La settima vittima»); i cinesi hanno colonizzato Marte; il Paradiso c’è ma a un primo sguardo «solo i ricchi ci vanno»; quanto ai trapianti… beh non somigliano ai nostri. Si chiederà a lungo Thomas Blaine – e con lui noi che leggiamo – se «ogni progresso genera la sua antitesi» e se davvero «i morti rifiutavano di starsene tranquilli come si conviene, insistevano nel volersi mescolare con i viventi […] nei limiti delle leggi naturali conosciute». Qualche risposta – e nuove sorprese – solo nelle ultime, caleidoscopiche pagine.

All’epoca della sua uscita «Anonima aldilà» aveva avvinto; a rileggerlo qualche anno dopo appaiono crepe e rughe (specie nella seconda parte) e affiora il sospetto che la stupenda idea iniziale non sia stata sfruttata sino in fondo e che nel finale prevalga il moralismo sulla cattiveria corrosiva; ma resta comunque uno Sheckley dei tempi d’oro, dunque imperdibile.

Chiuso il libro, chi conosce bene gli Usa forse andrà a rileggere «Il sistema di morte americano» (di Jessica Mitford) o a scovare in qualche cineclub «Il caro estinto» (di Tony Richardson). E infatti «per conoscere una società basta osservare i suoi cimiteri» aveva già detto Benjamin Franklin… Ma dell’industria funeraria e dell’ossessione-fascinazione “made in Usa” per la morte si parlerà in un’altra occasione. Intanto correte in edicola a recuperare questo splendente Sheckley: su cosa fate ancora fermi?  

(*) Erremme Dibbì è la sigla con cui, per molti anni, io e Riccardo Mancini abbiamo scritto di fantascienza su «il manifesto» e altrove. In questo luglio 2013, aspettando la ripubblicazione di «Anonima Aldilà», ho ritrovato questi appunti – scritti a 4 a mani da me e Rik – in occasione dell’uscita nel 1993 di «Anonima Aldilà» nei Classici Urania (traduzione di Ginetta Pignolo e scheda introduttiva di Silvano Barbesti). Non saprei dire se sono stati pubblicati o no, quando e dove; non sembra comunque una stesura definitiva. Però ve li ripropongo così, pari pari: per ricordare Riccardo ma anche perché a me pare funzionano pure 20 anni dopo (in questi giorni ho riletto il romanzo e non cambierei una riga di quei giudizi, compreso l’invito finale a correre in edicola).

 

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