Morrissey, un sessantenne rock

di Ignazio Sanna

Il 22 maggio del 1959 nasce in un sobborgo di Manchester Steven Patrick Morrissey. Personaggio per certi aspetti controverso, poco amante dei mass media e polemista della più bell’acqua, nella tradizione dell’amato Oscar Wilde, incidentalmente è anche uno dei più grandi vocalist della storia del rock e dintorni. In occasione del suo sessantesimo compleanno Morrissey ha pensato bene di regalare a se stesso, ma soprattutto a noi (ehm, però bisogna pagarlo), l’album California Son (figlio della California), il cui titolo è un gioco di parole con quel titolo, California Sun (sole della California), già omaggiato dai Ramones (https://www.youtube.com/watch?v=2jFLyCjlvKI) nell’omonima canzone di Henry Glover. Quella dei finti fratellini newyorkesi è infatti una cover di un pezzo del 1961, portato al successo dai Rivieras (https://www.youtube.com/watch?v=Yy57Xdk9u0o), di cui ha dato una bella versione anche Joe Jones (https://www.youtube.com/watch?v=iWwUY4-jmS0). È stata rifatta perfino da un insospettabile Bruce Springsteen (https://www.youtube.com/watch?v=DIukXYvEQPc), il che dimostra che il ragazzo, quando non spreca il suo tempo con robaccia come Born in the USA, buona solo per il suo conto corrente bancario, può essere un rocker decente. Certo, sembra il bisnonno dei Ramones, ma questa, come si dice, è un’altra storia…

Tornando al nostro eroe, California Son è un album interamente composto da cover, tutte poco note al grande pubblico. Unica eccezione Back on the chain gang (https://www.youtube.com/watch?v=q_hInzyYN3o) dei Pretenders (https://www.youtube.com/watch?v=radFwHzD-PM) di Chrissie Hynde, un’altra che a dispetto dell’età se la cava ancora piuttosto bene (https://www.youtube.com/watch?v=o0TnsAdusSQ). Eccezione che in realtà, da buon bastian contrario, Moz ha incluso solo nell’edizione deluxe dell’album precedente, Low In High School. Sono invece piuttosto noti gli autori di alcune di queste cover, un certo Bob Dylan su tutti (Only A Pawn In Their Game), ma anche, in ordine sparso, Phil Ochs (Days Of Decision), cantautore di protesta morto nel 1976, Tim Hardin (Lenny’s Tune), Joni Mitchell (Don’t Interrupt The Sorrow), il grande Roy Orbison (https://www.youtube.com/watch?v=q3yNAg67u_c) (https://www.youtube.com/watch?v=a37tFLckO40), Dionne Warwick (Loneliness Remembers What Happiness Forgets) e Carly Simon (When You Close Your Eyes), classe 1945 , che i più ricorderanno probabilmente per You’re so vain (https://www.youtube.com/watch?v=cleCtBP0o5Y), e noi rockettari per la frizzante cover che ne fecero a suo tempo i Faster Pussycat (https://www.youtube.com/watch?v=41zKVmk4z8Q). Ma i pezzi migliori, noti per lo più a un pubblico di nicchia, sono quello che apre il disco, Morning Starship (https://www.youtube.com/watch?v=Tbbs9QijFmk) e la traccia numero 7, Wedding Bell Blues. La prima (https://www.youtube.com/watch?v=4yo7Zn1X2Aw) si deve a un talentuoso epigono del David Bowie periodo glam, tale Jobriath (https://www.youtube.com/watch?v=HXks3Xjydh0), morto di AIDS a 36 anni nel 1983. Come si può sentire il pezzo è eccellente, ma l’arrangiamento dell’originale ne nasconde la qualità, mentre quello della cover la esalta al meglio. Wedding Bell Blues (https://www.youtube.com/watch?v=s-wgVQUKekg), che a dispetto del titolo è un pezzo soul, vede la collaborazione (chissà poi perché) di Billie Joe Armstrong dei Green Day, e anche questa versione vince il confronto con il pur buono originale (https://www.youtube.com/watch?v=8B7naJ3A5YE), scritto da Laura Nyro nel 1966. La musicista americana di origine italiana (vero nome Laura Nigro) purtroppo ci ha lasciato a 49 anni, nel 1997, a causa di un tumore alle ovaie. Il brano fu portato al successo dai Fifth Dimension (https://www.youtube.com/watch?v=DhtCGZbxTfc) nel 1969, e riproposto nell’episodio 10 della terza stagione della serie tv Glee (https://www.youtube.com/watch?v=wWGh15VS8S4). Infine, non amo i talent show, ma tra le varie versioni disponibili su Youtube quella di questa ragazzina mi pare meriti un ascolto, nonostante qualche comprensibile incertezza: https://www.youtube.com/watch?v=ZuNGxkDJgdU.

L’unico appunto che mi sento di fare a California Son, da fan della prima ora, è l’assenza di cover storiche, come, in ordine sparso, Drive-In Saturday (https://www.youtube.com/watch?v=8cif6o7hJ8c) di David Bowie (notare che Morrissey sostituisce la citazione di Mick Jagger nell’originale con quella di David Johansen, il frontman dei New York Dolls), Satellite of Love (https://www.youtube.com/watch?v=otJPbDJb_m8 ) di Lou Reed (anche qui variazione nel testo: laddove l’autore cantava “I like to watch things on TV” Morrissey canta (giustamente) “I cannot stand the TV”), Moon River (https://www.youtube.com/watch?v=vS1TXLf1soA ), che Audrey Hepburn cantava nel film Colazione da Tiffany (1961), To Give Is The Reason I Live (https://www.youtube.com/watch?v=dD0SxPP0oXg ) di Frankie Valli, That’s Entertainment (https://www.youtube.com/watch?v=R11ndFnlMLM ) dei Jam di Paul Weller, Human Being (https://www.youtube.com/watch?v=MBrGPAvBsLg ) e Trash (https://www.youtube.com/watch?v=YIhEzaDlK3g) degli amati New York Dolls o, meglio ancora, Judy is a Punk (https://www.youtube.com/watch?v=dmLm6S50XVg ) dei Ramones (questo non c’entra niente ma è imperdibile!: https://www.youtube.com/watch?v=sVJfErLlyLI ) o, perchè no, You’ll be gone (https://www.youtube.com/watch?v=7bsl0VEODkc ) di Elvis Presley o, infine, la più bella di tutte: You say you don’t love me (https://www.youtube.com/watch?v=wDimLgBqL6k ) dei Buzzcocks. Una qualsiasi di queste sarebbe stata certamente meglio del mediocre pezzo del Premio Nobel riluttante Robert Zimmerman, tanto per fare un esempio. Ma se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno quest’elenco dimostra, come abbiamo visto, che Morrissey ha un altro album di cover bell’e pronto. E, se vogliamo vedere il bicchiere mezzo vuoto, questo album non vedrà mai la luce, conoscendo il nostro.

Interessante notare come Morrissey abbia registrato a Roma nel 2005 l’album Ringleader of the Tormentors, dove compariva You Have Killed Me (https://www.youtube.com/watch?v=fjVsdBxAzhM) che cita Pasolini e Visconti, coverizzata in italiano da Francesca G. (https://www.youtube.com/watch?v=J0E373J–eI).

A questo punto viene la parte più difficile per me nel parlare di Moz, come lo chiamano i fans. Come accennato all’inizio, il nostro è dotato di una notevole vena polemica e, come dimostrano i suoi testi, di una grande abilità nell’uso delle parole. È infatti autore, oltre che dei testi delle sue canzoni, di una autobiografia (2013) e di un romanzo, List of the Lost (2015), pubblicato da Penguin Books, a quanto pare stroncato dalla critica. Non l’ho ancora letto, ma spero di poter tornare presto ad occuparmene. Introduciamo l’argomento con un breve excursus storico. Destinato fin dalla nascita alle controversie, se si pensa che è nato in Inghilterra da genitori irlandesi (https://www.youtube.com/watch?v=KKoS5X4SMrY), ebbe la sua prima, breve, esperienza nel novembre del 1977 con un gruppo punk minore, The Nosebleeds, insieme a Billy Duffy, che sarebbe diventato in seguito il chitarrista dei Theatre of Hate e poi dei Cult (https://www.youtube.com/watch?v=3fu9_lm-BrQ), e Vini Reilly, fondatore di The Durutti Column (https://www.youtube.com/watch?v=rMRdKp7BewU). Ancora più breve fu l’esperienza con i più noti Slaughter & the Dogs. In seguito si affacciò al giornalismo musicale e nel 1981 scrisse anche un libretto di 24 pagine sui New York Dolls (https://www.youtube.com/watch?v=9_ph61Ziq1w), del cui fan club britannico fu a capo per qualche tempo. Ma, com’è noto, è con The Smiths che nasce il Morrissey attuale. La prima uscita del gruppo, nella classica formazione con Johnny Marr, grande coautore di tutti i brani, Andy Rourke e Mike Joyce, fu il singolo Hand in Glove (https://www.youtube.com/watch?v=Xik6LrUvygs) nel maggio del 1983. Ne diede una versione l’anno successivo anche Sandie Shaw (https://www.youtube.com/watch?v=MDIp20Xki50), famosa in Italia negli anni Sessanta come ‘la cantante scalza’ (https://www.youtube.com/watch?v=sXdwiIPFx58). Sandy dedicò a ‘Steven’ Morrissey la canzone Steven (You Don’t Eat Meat) (https://www.youtube.com/watch?v=mXtABsYXUtM), celebrando il suo vegetarianesimo, a cui si riferisce senza compromessi il titolo, come quello della canzone che dà il titiolo al secondo album del gruppo, Meat is Murder (1985) (https://www.youtube.com/watch?v=LG3h80g8NhU), e che introduce anche la passione di Morrissey, per me inspiegabile, per le lunghe introduzioni prima dell’inizio del brano, che dura ancora oggi. Il suo vegetarianesimo è talmente radicale che, ancora in anni recenti, narra la leggenda che faccia perquisire dalla security dei suoi concerti zaini e quant’altro possa contenere cibo a base di carne. Il terzo album The Queen is Dead (1986) introduce fin dal titolo un altro elemento che contribuisce a renderlo inviso ai suoi concittadini più conservatori: la polemica contro la famiglia reale britannica e la monarchia in generale (https://www.youtube.com/watch?v=t3xZue2e1NE). Tra i capolavori che contiene quel disco vorrei segnalare almeno Cemetery Gates (https://www.youtube.com/watch?v=Rl2TFmjdCo4), che parla di questioni poetiche, chiamando in causa Oscar Wilde, John Keats e William Butler Yeats. Ma c’è anche l’inflazionata Bigmouth Strikes again (https://www.youtube.com/watch?v=PtzhvJh9NRY) dove ad essere citata è Giovanna d’Arco, e il cui titolo viene citato contro il nostro (https://www.theguardian.com/music/2019/may/30/bigmouth-strikes-again-morrissey-songs-loneliness-shyness-misfits-far-right-party-tonight-show-jimmy-fallon) dal quotidiano britannico The Guardian. E qui comincia l’aspetto più controverso della personalità pubblica di Morrissey, che sembra amare la provocazione, soprattutto nella nota forma dell”epater les bourgeois’. Nell’articolo si dà conto della sua apparizione come ospite al programma televisivo americano di Jimmy Fallon indossando una spilletta del partito di estrema destra For Britain, ricordando altre affermazioni e prese di posizione ben poco condivisibili. In tutta sincerità non so fino a che punto queste affermazioni e prese di posizione rispecchino il suo vero pensiero. Sospetto piuttosto che le abbia utilizzate come armi nell’infinito duello che romanticamente porta avanti da una vita contro i mass media britannici. Volendo continuare a farci del male possiamo citare il poco edificante episodio, comunque lo si voglia considerare, che lo ha visto coinvolto a Roma nel luglio del 2017 (https://www.huffingtonpost.it/entry/patrick-morrissey-accusa-la-polizia-italiana-che-risponde-and_it_5cc1d35ee4b0b09a5a0e9964). Da tutto ciò io riesco soltanto a trarre la conclusione che ogni opera d’arte vive di vita propria, indipendentemente da pregi e difetti dell’artista che l’ha creata, proprio come per l’antisemita, e grande scrittore, Louis-Ferdinand Céline, uno fra i tanti esempi possibili. E non c’è dubbio che l’arte di Morrissey sia destinata a restare nel tempo, con buona pace di piccole e grandi polemiche contingenti, come quella di Mozart o Monteverdi.

 

Ignazio Sanna

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