Mostri veri e digitali, la memoria e gli accendini

di Daniela Pia

Oggi 27 gennaio «Giornata della memoria».

Un lavoro incredibile ha contraddistinto l’operato di alcuni/e colleghi/e e delle loro classi.

Tutti in aula magna, piena, sede centrale.

Si parte dal passato e si arriva al presente.

Un lungo cammino scorre sul telo bianco ed è segnato dalla disumanità del potere, di cui è necessario, oggi più che mai, preservare la memoria.

Mi guardo intorno e vedo tanti, troppi schermi di smartphone illuminati. Così mentre faccio “la ronda” mi chiedo: «quale memoria il cellulare saprà fornire a questi nostri studenti/studentesse».

Intanto si dipanavano, sullo schermo, gli orrori del razzismo: uomini donne e bambini affranti, prigionieri, angheriati nei campi di concentramento e sterminio.

Eppure, la giornata della memoria, per un terzo di loro alternativamente si sviluppava smanettando sul cellulare. Intraprendendo epiche lotte con “mostri” digitali, ignorando i mostri passati e presenti che sul grande schermo testimoniavano la follia che sa impadronirsi dei leader di turno e dei loro adepti.

Ignorando fanciulli/e che il piccolo schermo del telefonino è tiranno, prigione senza filo spinato e che Kapò si fanno i gesti spasmodici e compulsivi delle loro dita; soggiogati da giochini che si divoravano il cervello facendolo senza memoria.

Parte seconda, ecco che sfilano le immagini dei migranti, accatastati nei campi profughi o di accoglienza, immane vergogna per questo Occidente al quale apparteniamo.

Parte poi «Non è un film» di Fiorella Mannoia e a colpire questa platea è il ritmo rap della colonna sonora. All’improvviso, in fondo alla sala, accendini e fiammelle come a un concerto, scanditi dal battere delle mani sulla sedia, dall’ondeggiare delle braccia: una festa dunque.

Impietoso lo schermo rimandava, carne viva – di adesso – uomini donne e bambini nel filo spinato erto a dividere, barriera a impedire il passo; barconi stracolmi, camion stipati, vite racchiuse in un fagotto. Tutto giocato a testa o croce. Testa stai a galla. Croce, forse, nel piccolo cimitero di Lampedusa.

Immagini. Cose lontane.

E mi ha preso un magone, un grande magone.

Se è vero che siamo contadini della formazione, che spesso seminiamo senza poter vedere spuntare il grano, oggi ho avuto la sensazione che la semenza sia gentile omaggio della Monsanto fattasi sponsor e che infine fatti siamo a viver come bruti e che virtute e conoscenza sian cose passate, finite, dimenticate.

Eppure non è così. Quando finiscono le celebrazioni so che non è così.

 

Redazione
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2 commenti

  • uno, anche uno basta, che guardi faccia suo e ricordi, e lo sforzo non sarà stato vano.

  • Giuseppe Romano

    Brutti, sporchi e cattivi… insegnanti e alunni provano a “vivere” la giornata della memoria con grande partecipazione e desiderio di far bene…tanti dubbi su cosa e come fare…i rischi sono tanti…retorica, banalizzazione del male, scarsa consapevolezza dell’importanza del momento con conseguente comportamento. Si parte…gli alunni di diverse classi, dai più piccoli 14/15 anni ai più grandi 18/19 anni, e i loro insegnanti preparano presentazioni sul nazismo, il fascismo, l’omocausto (persecuzione omosessuale), zingari-rom e senti, T4 (eliminazione dei disabili), il razzismo oggi, i muri che dividono, gli ebrei di oggi (profughi)…tutto intervallato da cortometraggi (E. Scola), estratti di documentari, video musicali(F. Mannoia “Non è un film”, F.Guccini “Auschwitz”). Tutto pronto? Non proprio la scuola non ha un computer disponibile…per fortuna la prof. mette a disposizione il suo…tutto ha inizio… i ragazzi iniziano a presentare i diversi lavori, durante le diverse presentazioni alcuni ragazzi disturbano, si distraggono, usano gli smartphone, suona la campanella per l’uscita proprio nel bel mezzo di una presentazione, entrano i bidelli per chiamare alunni o professori, la porta si apre si chiude di continuo…quanta umanità… povera umanità…ma questa è …la mia scuola (io ne sono parte) e qui con i amici, colleghi e alunni che sono chiamato a cercare di fare al meglio il mio lavoro

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