Narrator in fabula? Ottava puntata

dove Vincent Spasaro intervista Lorenza Ghinelli (*)

Un vero giovane talento … nonostante l’Italia gerontocratica. Il primo romanzo di Lorenza Ghinelli è «Il divoratore», pubblicato dalla piccola casa editrice “da combattimento” Il Foglio e poi rilanciato da Newton Compton fino a divenire un caso internazionale. Il secondo, «La colpa», è stato outsider in finale a uno stanco Premio Strega che ha poi purtroppo ha premiato i soliti noti… altrimenti ignorati. Lorenza è anche stata una delle sceneggiatrici de «Il tredicesimo apostolo», grande successo della fiction nazionale. C’è da giurare che la carriera della scrittrice romagnola sia appena agli inizi: il suo ultimo romanzo, «Con i tuoi occhi», ha confermato la sua statura di narratrice solida e la propensione per drammi a tinte forti.

Se posso aggiungere una considerazione personale, Lorenza non ha perso un grammo dell’umiltà che la caratterizzava quando ci siamo incontrati per la prima volta tanti anni fa, ai suoi esordi: una persona vera, semplice e forte. Il vostro investigatore preferito (dopo Marlowe) ha deciso allora di farvela conoscere meglio. Ecco a voi il dossier Ghinelli.

Mi piacerebbe sapere i tuoi inizi nella scrittura e ancor prima la crescita nelle letture; mi pare che l’infanzia sia cruciale nel tuo mondo di scrittrice.

«So di essere fortunata: ho sempre saputo di volere scrivere romanzi. Questa consapevolezza mi ha guidato nelle avversità come la miglior stella a cui fare riferimento. Detto questo so che i miei primi esperimenti letterari furono tremendi. Di immensamente positivo c’è il fatto che me ne sono accorta e ci ho lavorato su. Compresi molto presto che c’era una distanza siderale fra le emozioni che desideravo attivare negli altri e quelle che di fatto venivano suggerite dai miei scritti. Ricordo, per esempio, che da bambina (avrò avuto sette anni) feci ascoltare alla mia classe una registrazione audio che avevo fatto a casa: doveva essere la mia prima storia horror ma l’effetto fu esilarante. Ho fatto ridere tutti come pazzi. Ho capito che se volevo diventare una scrittrice mi sarei dovuta rimboccare le maniche. Il percorso consiste unicamente nel diventare chirurgici, acuti, elaborando il proprio vissuto fino a trovare le parole più appropriate, inequivocabili.

È così che ho imparato a raccontare storie. Leggere è stato, e continua a essere, indispensabile. Da bambina passavo dagli splendidi romanzi di Bianca Pitzorno al primo approccio con i classici, come «Cime tempestose» o «Frankenstein». Crescendo sono diventata lettrice onnivora, compulsiva e seriale.

Riguardo alla mia infanzia, Flannery O’Connor ha dichiarato che «chiunque sia sopravvissuto alla propria infanzia possiede abbastanza informazioni sulla vita per il resto dei propri giorni». Non credo di avere altro da aggiungere a riguardo.

Dai primi esperimenti horror davanti alla classe, allo Strega e a un successo internazionale, qual è stato il cambiamento a livello stilistico e personale?

«Nel 2006 scrissi il mio primo romanzo, lo mandai a tantissimi editori e ricevetti la classica lettera di benservito in cui mi si diceva che non rientrava nelle loro “linee editoriali”. Gordiano Lupi fu l’unico che mi scrisse che avevo talento ma che ancora non ero pronta. Questo feedback fu importantissimo per me così mi misi a lavorare a un nuovo romanzo: Il divoratore. Fu lo stesso Gordiano a pubblicarlo nel 2008, e nel 2011 venne rilanciato dalla Newton Compton diventando un caso internazionale, vendendo in sette Paesi e restando in testa alle classifiche per mesi. Per me è stata una grande fortuna, ma garantisco che non ero assolutamente pronta alla sovraesposizione mediatica, che oltretutto coincise con un periodo estremamente turbolento e inquieto della mia vita. Mi ero trasferita a Roma per partecipare alla scrittura del Tredicesimo Apostolo e collaborai con diversi soggetti alla prima stagione e con un paio di sceneggiature. La fiction andò poi in onda per Canale5. Tutto coincise con il successo del primo romanzo e si protrasse fino al Premio Strega del 2012, a cui partecipai arrivando in cinquina con il secondo che uscì sempre per la Newton: La colpa. Le pressioni furono davvero troppe per me e s’impose una scelta. O rimanere a Roma e lavorare a pieno ritmo per la televisione, o mollare tutto e dedicarmi anima e corpo alla narrativa. Ho scelto la seconda strada, decisamente più incerta ma immensamente più libera. Non c’è un solo giorno in cui mi sia pentita. Sono tornata a Rimini, vivo i miei affetti, lavoro sodo senza interferenze nocive. Dopo La colpa, Newton ha pubblicato Con i tuoi occhi, un romanzo a cui tengo molto. Ciò che più conta, almeno per me, è vivere una vita che sento mia, che mi appartiene nel bene e nel male. La scrittura è sempre stata la mia gomena in mezzo alle tempeste, la mia stella polare, e questa è una certezza. Non sono ossessionata dalla fama e nemmeno dal successo, il che mi fa sentire molto libera. Poi, certo, mi auguro che i miei libri vendano per una ragione semplice: è l’unica strada affinché io possa continuare a vivere di questo. Il resto mi interessa poco.

Le storie si nutrono di vita vera, e questa è un’altra ragione per cui preferisco mischiarmi al mondo e tenermi lontana dai salotti e dai riflettori. In questi anni sento di avere maturato una mia visione delle cose: è la fedeltà a questa visione che determina le mie scelte. Stilisticamente mi sento cresciuta. Credo che le immagini che evoco siano più precise e la scrittura più affilata e distesa al tempo stesso, ma questo lo potrà confermare o meno solo chi mi legge. A ogni modo ho tantissimo da imparare e garantisco che ci sto lavorando su.

Nei tuoi tre romanzi, e anche nei racconti, il tema del bambino e della bambina che cresce e non cresce, dell’innocenza che si perde e si ritrova mi pare fondamentale. E’ così?

«Ogni scrittore racconta quel che conosce, se è onesto. È l’unico modo per calarsi nel profondo di se stessi e raccogliere testimonianze che sono universali. Per una serie di vicissitudini, la preadolescenza e l’adolescenza sono state per me dense di esperienze fortissime. Un troppo pieno di accadimenti e sensazioni che senza la scrittura non avrei davvero saputo elaborare. Riguardo all’innocenza, non credo che esista, pertanto è impossibile ritrovarla. Kierkegaard scrisse: “Il vero peccato è la rinuncia a confrontarsi con le ragioni del peccato medesimo”. L’innocenza è perlopiù ignoranza, e l’ignoranza può indurre azioni terribili. È impossibile restare candidi cercando se stessi. È impossibile leggere qualcosa di interessante in un foglio intonso. Scrivere e vivere richiedono una presa di posizione chiara, una rinuncia alla diserzione. Credo sia per questo che non mi interessa essere riconosciuta in un genere. Scrivo le storie che mi abitano e questo è tutto. Ogni romanzo è per me un’avventura speciale, in cui nuove parti di me emergono e con le quali dialogo. È un atto di non violenza immenso e sono certa che chiunque leggerà le mie storie, a prescindere che le ami o le detesti, le percepirà per quello che sono: autentiche».

La tua scrittura è sempre più adulta, forte e sicura. Lontana dal genere e verso il dramma a tutto tondo. Ma «Il divoratore» era un horror e più recentemente hai scritto un romanzo breve, «Sogni di sangue», che percorre tematiche simili. Riavremo in futuro la scrittrice horror o gli approdi saranno differenti?

«Riguardo a Il divoratore e a Sogni di sangue, mi sono divertita davvero a scriverli. È stato come aprire le gabbie più profonde in cui avevo stipato i miei demoni. Può sembrare strano il fatto che io abbia utilizzato il verbo “divertire”, ma è così. I demoni vanno fatti ridere, è l’unico modo per ucciderli. Pensate alla terribile strage di Charlie Hebdo. Il potere rivoluzionario della satira è immenso. Va difeso e tutelato, sempre. Avrò altre storie nerissime e spaventose da raccontare mentre altre saranno più lievi e profonde in modo differente. Non sarò io a mettermi un’etichetta».

In chiusura mi piacerebbe sapere quali sono le tue influenze, cosa ti piace come lettrice e se ci vuoi consigliare qualche autore/autrice in particolare.

«Le influenze sono molte di più di quelle di cui sono consapevole. Di maestri ne ho avuti tanti e citarli tutti sarebbe impossibile. Fu Pavese a rivoluzionare il mio modo di pensare la poesia e di sentirla. Iniziai a leggerlo a quindici anni e fu come trovare una casa, un porto sicuro. Pasolini è stato un incontro folgorante e potrei dire lo stesso della Dickinson, di Mary Shelley, Anne Sexton, Herta Muller, Goliarda Sapienza, Tondelli, King, London e tantissimi altri. Mi hanno regalato nuove prospettive trasmettendomi l’unicità della loro visione. Ho sempre avuto la sensazione che scrivere per loro fosse necessario, un atto imprescindibile senza il quale non avrebbero avuto modo di elaborare il proprio vissuto. Impedirglielo avrebbe significato ucciderli. Questo è un periodo in cui sto leggendo anche tantissima narrativa per ragazzi: la adoro. David Almond, Alyssa Brugman, Marie-Aude Murail, Aidan Chambers, Terence Blacker sono scrittori potenti. Hanno capito che semplificare la lingua non significa affatto semplificare i contenuti. I ragazzi sono molto più intelligenti di quanto a noi faccia comodo pensare».

Lorenza è intelligente, solare e sensibile ma capace di evocare i suoi demoni nelle storie drammatiche che scrive. Vi raccomand i suoi romanzi cupi ed emozionanti. Se dovesse capitare per una presentazione nella vostra città, non perdetevela: la capacità di farvi entrare nelle sue storie è più unica che rara. Grande scrittrice e grande persona.

(*) Quota 8 per Vincent Spasaro che sta intervistando per il blog autori-autrici, editor, traduttori, editori del fantastico, della fantascienza, dell’orrore e di tutto quel che è fantasia, alla ricerca dei misteri del loro mondo interiore: Danilo Arona, Clelia Farris, Fabio Lastrucci, Claudio Vergnani, Massimo Soumaré, Sandro Pergameno, Maurizio Cometto, oggi Lorenza Ghinelli… E prossimamente? Qui nella mongolfiera dobe abito sento pigolare nomi. Mi pare di avere inteso Massimo Citi, Gordiano Lupi, Giuseppe Lippi, Silvia Castoldi, Lorenzo Mazzoni, Angelo Marenzana e ancora. Ma è possibile che Spasaro abbia tutte queste conigliate nel cilindro? Se ripassate da questo blog-pianeta noto come Marte-dì … lo saprete. (db)

 

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