Narrator in fabula? Seconda puntata

In realtà «narratrix in fabula» visto che Vincent Spasaro intervista Clelia Farris (*)

Ho avuto la fortuna di conoscere Clelia Farris un bel giorno di prima estate in quel di Cagliari grazie ai buoni uffici del mio amico db (qualcuna/o di voi ne ha sentito parlare?).

Clelia è una persona schiva e riservata, per cui considero un piccolo scoop questa intervista in cui mi ha parlato di sé e dei suoi interessi, dei romanzi che ha scritto e dei progetti in una conversazione cordiale e ricca di spunti. Okay, l’amicizia ha contato qualcosa. Ringraziatemi pure.

Però Clelia è soprattutto una delle punte di diamante della fantascienza italiana e fra le voci più originali nel fantastico contemporaneo. Ha vinto quasi tutti i premi nazionali inerenti la science fiction grazie al suo stile unico e allo sguardo estremamente personale sui mutamenti sociali. Riesce a cesellare con pochi tocchi personaggi ricchi di spessore e situazioni cariche di tensione psicologica, caratteristica che la fa spiccare in un mondo solitamente composto da maschietti dediti alle esplosioni o alle elucubrazioni scientifiche. La sua fantascienza umanistica e sociale, il suo fantasy così fuori degli schemi sapranno stregarvi. Parola mia.

In questa intervista vorrei provare ad analizzare il tuo mondo di scrittrice. Da dove vorresti partire?

«Che ne dici di quello che ci spaventava da bambini? I traumi infantili, si parte sempre da lì».

Ebbene sia.

«Da bambina temevo tutto quello che non si poteva vedere. I luoghi nascosti, le zone interdette. E nello stesso tempo ne ero irresistibilmente attratta. Nel giardino dove andavo a giocare c’era una grotta sprangata da un portone verde, il mio personale regno degli inferi. Era custodito da una piccola tribù di gatti, animali molto appropriati per quel compito.

Mi facevano anche paura le vecchie cantoniere stradali, rosse e disabitate. Case da streghe ai bordi delle strade».

Cosa ti è rimasto di quelle paure?

«Le cantoniere abbandonate sono ancora luoghi affascinanti. Ho sempre in mente di scriverci un racconto in stile The Blair Witch Project. E la paura dell’invisibile mi ha portato ad amare i racconti di Lovecraft».

Crescere in Sardegna: le tradizioni di un’isola lontana dal continente hanno avuto qualche effetto su di te e sul tuo immaginario, per quel che riesci a ricordare?

«Hai un pregiudizio positivo sulla Sardegna. Perché vuoi vederla a tutti i costi come un luogo speciale? No, non mi pare che essere cresciuta in Sardegna mi abbia condizionato l’immaginario. Non più che essere cresciuta in Calabria o in Piemonte. L’immaginario moderno è unico per tutti e deriva dalla televisione, dal cinema, da una vita che, nella maggior parte dei casi, è simile a quella di tanti altri. (Ci pensa un attimo) Però essere cresciuta in Sardegna mi ha dato il carattere di un sirboni, vale a dire un cinghiale».

In che senso cinghiale? Vai dritta per la tua strada? Distruggi tutto? Sei testarda?

«Il cinghiale è un’animale solitario e scorbutico. A volte aggredisce chi lo sorprende nel bosco. Detesta gli intrusi. Fra l’altro, da bambina avevo letto un racconto di Emilio Lussu intitolato Il cinghiale del diavolo. È una storia fortemente fantastica che nasce intorno a una battuta di caccia (al cinghiale) ma ha un risvolto inatteso. Mi colpì molto».

Però così mi confermi che ogni regione ha dei miti e delle specificità. Il tuo accostamento riguarda un cinghiale, non un drago o un’ondina.

«Ti racconto un episodio di qualche tempo fa. Gita in gruppo a un nuraghe della Planargia, una zona a nord-ovest dell’isola. Il nuraghe era a torre singola ma quasi del tutto integra. C’erano gli scavi ancora in corso e alcuni operai, ragazzi e ragazze del paese vicino, che lavoravano. Chiediamo informazioni sullo stato dei lavori e una ragazza ci spiega com’è organizzato lo scavo e cosa stanno trovando. L’archeologo titolare non c’era in quel momento. La ragazza conclude il suo discorso, tace per un istante, raccoglie un sasso da terra, e con molta semplicità dice: dovete sapere che qui le pietre sono sacre. Forse, detto così, sembra niente ma in quel momento mi ha fatto sentire davvero la sacralità del suolo su cui posavamo i piedi. Pur essendo all’aperto, in una zona battuta dal vento, ho percepito il senso del sacro più che in qualunque chiesa o santuario chiusi».

Qual è il tuo universo mitologico al di là della Sardegna?

«Ci sono i rettili. Compaiono spesso nei miei sogni: i sogni sono la mia principale fonte di ispirazione e di idee. I rettili onirici sono dinosauri in miniatura (da bambina ero in fissa per i dinosauri), ma questi sono molto – come dire?- teneri, con gli occhi come quelli dei cartoni animati. Credo che qui il collegamento sia con i fumetti, altra mia passione infantile, giovanile e adulta. Fumetti e cartoni animati, mitologia novecentesca, si riflettono nelle mie storie, soprattutto in quelle meglio riuscite. In Rupes Recta la spalla del protagonista era un polpo parlante. E anche in La pesatura dell’anima la tecnologia vegetale ha qualcosa di fumettistico, pur senza perdere il suo aspetto anticipatorio.

Poi ho miti più letterari. Per esempio Grazia Deledda, super scrittrice e super donna: una qualità e una profondità di pensiero irraggiungibili. Oggi molti la considerano sorpassata e inadatta alla società moderna, la trattano da vecchio reperto del passato. Potrebbero avere ragione per quanto riguarda lo stile, ma non sui contenuti. I contenuti sono ancora attuali. I personaggi della Deledda sono mossi dalle stesse pulsioni e dagli stessi desideri che animano anche noi moderni: l’amore per una persona che ci farà soffrire, il desiderio di ricchezza, la voglia di primeggiare, le ambizioni frustrate (o, a volte, perseguite annullando se stessi). Perfino il fatalismo e la rassegnazione sono tornati di moda! Come vedi si torna alla letteratura. Tu cerchi di farmi parlare di me, ma uno scrittore parla attraverso quel che scrive».

Andiamo all’ultimo tuo racconto edito, “La madonna delle rocce” (Delos Digital, 2014). Mi ha colpito moltissimo. Mi piacerebbe sapere qualcosa della sua genesi.

«Come ricorderai il primo titolo era “Il test della scialuppa”, che fa riferimento a un ridicolo test di psicologia sociale di cui avevo letto molti anni fa, in uno dei libri dell’università. La domanda che veniva fatta, in sostanza, era questa: di chi può fare a meno una società per sopravvivere?

Sono però voluta partire da una condizione di assoluta parità fra uomini e donne, e questa parità poteva essere raggiunta soltanto togliendo la necessità della gravidanza al corpo femminile, perciò ho immaginato che l’umanità si riproducesse attraverso incubatrici biologiche, macchinari, non individui. A questo punto c’era l’uguaglianza ma persisteva la diversità fra uomini e donne. Volevo verificare quanto, in condizioni avverse, la società avrebbe tollerato la diversità fisica e la diversità di pensiero. Ho sempre l’impressione che l’essere umano abbia una verniciatura di civiltà, e sopra c’è pure il cartello “vernice fresca”. E lo dico da ottimista».

A questo proposito ti chiedo se hai avuto modo di leggere autrici di fantascienza progressista o femminista. Soprattutto anni 70 ma non solo.

«A dirla tutta, ho letto solo Ursula Le Guin, e non sono stata da lei illuminata. In verità ho avuto una sorta di “risveglio” femminista soltanto in questi ultimi anni, e devo ringraziare il web. Mi ha dato uno scossone il video di Lorella Zanardo “Il corpo delle donne”. E poi gli scritti di Maria G. Di Rienzo (li ho scoperti su “Il blog di Daniele Barbieri e altr*”) che seguo sempre con molta passione. In realtà, quanto a scrittrici femministe, non sono così esperta».

Quali sono i tuoi autori preferiti e perché?

«Scrittori in ordine di apprezzamento al crescere dell’età (mia): Salgari e Verne, Maupassant, Marquez, Bulgakov, Kafka. Con la maturità sono riuscita ad apprezzare Cesare Pavese e Francis Scott Fitzgerald, due pilastri della scrittura moderna.

Salgari e Verne, in forme differenti, saziavano la mia voglia di avventura. Il primo, pur nel suo stile così ottocentesco, riusciva a tratteggiare veri ribelli. Il secondo, nonostante il tedio di certe descrizioni, aveva una modernità di stile impagabile. Ricordo ancora come inizia L’isola misteriosa:

  • “Saliamo?”.
  • “No. Scendiamo”.

Quale altro scrittore, oggi, inizierebbe una storia con due battute scaraventando subito il lettore in una situazione emozionante come quella di una mongolfiera che sta perdendo quota al di sopra dell’oceano, e della calma disperata dei suoi occupanti?».

Quando hai iniziato a scrivere e come hai deciso di proporre quel che facevi al pubblico?

«Da bambina mi piaceva scrivere storie inventate da me. Poi, nel ’99, super annoiata dal tirocinio di psicologia, ho immaginato una società schizofrenica, in cui la metafora è proibita e ogni affermazione deve avere un corrispettivo reale, sennò è pensiero scorretto. Così è nato il mio primo romanzo. Siccome aveva un impianto fortemente fantascientifico l’avevo mandato al Premio Urania. Non sono arrivata neppure in finale. Meglio così, era un romanzo immaturo.

Un paio d’anni dopo scrissi Rupes Recta e lo mandai al concorso del sito www.fantascienza.com. Dormivo su due guanciali: ero sicura che non sarei stata neppure presa in considerazione. E invece vinsi. Insomma, un imprevisto, come ne capitano tanti nella vita. A quel punto decisi che dovevo fare sul serio, e scrivere diventò sempre meno gioioso, sempre più pesante.

Fra il 2004 e il 2005 scrissi La pesatura dell’anima. Se non ricordo male, credo di averlo mandato a un po’ di case editrici grandi e piccole. Era il momento in cui stavano prendendo piede i fantasy e mi sembrava potesse rientrare nel genere, ma non ebbi fortuna.

Poi uscì il Premio Odissea e mi venne l’idea della società di Vittime e Carnefici: così ho scritto Nessun uomo è mio fratello e l’ho mandato al premio. Ecco, in quest’ultimo caso, pur credendo di non poter vincere, sentivo fortemente che l’idea era buona e che, anche se non avessi vinto, mi avrebbero proposto di pubblicarlo anche fuori concorso. Strano, vero? Poi però ho vinto. Mah. I casi della vita.

Nel frattempo non avevo abbandonato La pesatura dell’anima, anzi, l’avevo rivisto e riscritto più volte. Tentai il Premio Kipple e andò bene».

Perché tutto è divenuto man mano pesante?

«Il dovere aveva preso il sopravvento sul piacere. Brutta bestia, il dovere. Io lo sento troppo. Sto recuperando solo ora, piano piano, il divertimento della scrittura».

Quale di questi romanzi consideri più riuscito e quale meno?

«È come se chiedessi a un genitore quale dei suoi figli ritiene meglio riuscito e quale no. Sono molto affezionata a Rupes Recta, lo ricordo pieno di idee, di spirito e di passione, ma se dovessi rileggerlo ora sono certa che ne sarei scontenta. Non sono stata soddisfatta di La pesatura dell’anima, non mi sembrava di essere riuscita a dire quello che dovevo dire, e infatti l’ho “ripensato” scrivendo La giustizia di Iside. Mi è servito rivedere e riscrivere La pesatura nella nuova versione, quella che è uscita con Future Fiction. Forse sono maturata, ho messo meglio a fuoco i personaggi, il loro agire e sono anche riuscita a renderlo più liscio, più semplice».

Chiudiamo parlando di quel che stai scrivendo, di quel che vuoi scrivere e dei vari progetti.

«Fermo restando che non parlo dei progetti per scaramanzia, ho l’ambizioso obiettivo di migliorare la scrittura e avvicinarmi alla Bizzarro Fiction. Nelle nostre chiacchierate ti ho parlato della Bizzarro Fiction, ti ricordi? La vagina infestata di Carlton Mellick eccetera. Vorrei continuare a descrivere l’umanità con i toni surreali, umoristici e drammatici della Bizzarro Fiction, in modo da poter dire quello che voglio dire con più leggerezza. Ecco, forse l’obiettivo più alto è la leggerezza».

Grazie, Clelia. A me non resta che caldeggiare l’acquisto del suo ultimo racconto, «La madonna delle rocce», una splendida descrizione delle evoluzioni e delle involuzioni sociali possibili, attendendo con trepidazione l’uscita del nuovo racconto lungo e sperare che i romanzi inediti non rimangano ancora a lungo inediti (chi ha orecchie per intendere… intenda).

(*) Vincent Spasaro intervista per il blog autori-autrici, editor, traduttori, editori del fantastico, della fantascienza, dell’orrore e di tutto quel che è fantasia, alla ricerca dei misteri del loro mondo interiore. Si è iniziato con Danilo Arona e fra 7 giorni tocca a Fabio Lastrucci. A seguire… io lo so ma non ve lo dico: “cicca-cicca”, oggi sono antipatico. Quanto a Clelia Farris un paio di volte io ne ho parlato (con entusiasmo) e qui in blog trovate anche 4 suoi scritti. (db)

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *