Né matto né scemo né ubriaco

Vittorio Marinelli racconta il nuovo «Eremo in canto» di Angelo Maddalena

«Angelo Maddalena non è né matto  né scemo né ubriaco». Così pensava e diceva Alberto Dolciami, anziano pescatore che ci ha appena lasciato e al quale è dedicato un cammeo all’interno del brano Di nuovo solo, forse tra i più belli dell’ultima opera, «Eremo in canto», cd con 21 brani inediti allegato al libro «Eremo, dintorni e ritorni nel Lago».

Nonostante non avesse studiato, in questo chirurgico pensiero, l’uomo che da anni gettava e tirava le reti in barca – osservando anche lui i movimenti animali – aveva fatto comprendere come avesse capito, che Angelo li stesse ad analizzare, a studiare. Come pesci in un acquario ma immergendosi anche lui, facendosi coinvolgere e riempire da vissuti e sofferenze per poi poterle raccontare con la giusta cognizione che viene dall’assumere la sofferenza e dalla vitalità di un luogo e di chi lo abita.

«Gente di San Feliciano. Hanno questa aria di abbandono e distacco e una luce negli occhi e un movimento blando e un’ironia che fanno dell’abbandono poesia»: così Angelo scrive in una delle tante poesie del libro.

Io, invece, da appassionato onnivoro musicale, ho avuto la fortuna di seguire l’evoluzione sia dell’opera che del pensiero di questo artista siciliano, trapiantato ormai da qualche anno a San Feliciano, piccolo paese del Trasimeno.

L’ho visto appena arrivare, una sorta di Gauguin felice di aver trovato, dopo un lungo navigare, nel piccolo paese, la sua Polinesia, a lungo cercata. Dopo esperienze “scomode”, come quelle dell’attivismo in Val di Susa contro la TAV o del suo voler viaggiare sull’«amico treno» per rimanere in tema – senza  però pagare il biglietto – o nelle terre liguri dell’entroterra (da queste esperienze Angelo ha tratto due monologhi teatrali e due libri: «Alla maddalena, la favola del 3 luglio in Val di Susa» e «Amico treno non ti pago»). Nel piccolo paese rivierasco quindi Angelo ha attinto a piene mani arricchendo una vena artistica divenuta improvvisamente rigogliosa, come nelle migliori cicliche annate di pesca. Vena che gli ha consentito di produrre, nello spazio di poco tempo, quattro libri accompagnati da altrettanti CD.

Si può dire che con la sua ultima produzione l’artista abbia concluso la propria ricerca che è divenuta anche antropologica, dopo che ha superato l’indifferenza del Grand tour di ottocentesca memoria allorquando i ricchi viaggiatori del Nord Europa, nutrivano assoluta indifferenza verso i comprimari dell’orrido, la meraviglia della natura che detta Legge.

Dapprima infatti Angelo – come i tanti che lo hanno preceduto e hanno amato questo Lago forse più di chi c’è nato – è stato affascinato dalla natura del lago e ha dedicato le sue canzoni allo specchio d’acqua e al mondo gravitante su questo.

Però col passare del tempo ha esteso la sua ricerca anche agli uomini del Lago, i vari Brodino, Formicone, Pelino, Alberto e i loro perni: Rosso di sera e la Piazzetta. E ha voluto o meglio, forse anche ignaro di ciò, ha proceduto a quella che, nell’analisi sociologica, si chiama “osservazione partecipante” laddove – appunto – lo studioso si confonde con la popolazione, gli “abitanti incoscienti”.

Strano però come l’intero comprensorio non abbia avuto in dono una sorta di Perugino musicale e abbia delegato a un uomo della Magna Grecia, il compito corale di esprimere anche con la musica la magnificenza del Lago Trasimeno. Ma anche la fatica del vivere di un’esperienza così dura quale quella di chi attinge il proprio sostentamento dal Lago, barattando in ciò anche il rischio di morire, è questo sentimento che esprime la canzone Pescatori.

Le ultime canzoni sono uno spaccato di vita di San Feliciano e dei suoi abitanti, protagonisti di una sorta di Spoon River anzitempo, in un apparato quasi mitologico di figure che somigliano, se non sono addirittura le stesse, di quelle che gli avi di Angelo della Magna Grecia – probabilmente allorquando interagivano con il mondo etrusco – incontravano.

Maddalena, con precise e chirurgiche spennellate a tratti anche zen, descrive quindi questa fauna umana che è legata in modo indissolubile al lago e che probabilmente senza di questo perderebbe anche spessore e significato. A tratti, come un vortice, tornano Torino, Milano, Buones Aires, l’amata terra siciliana.

Sempre a tratti, emerge anche un forte pessimismo, cupo, che l’aria del Lago non tempera, anzi!

In questo vortice leopardiano (uno dei suoi recenti libri con cd allegato si chiama «In viaggio con Leopardi«) le figure di animali morti assumono l’aspetto di una sorta di Cristo morto, in un panteismo sincretista in cui l’estrema religiosità di Angelo si fonde e si arricchisce per arrivare a comprendere che l’uomo è un tutto e partecipa al dolore e alla gioia della vita (vedi poesia Alberto non c’è più).

Le opere di Angelo Maddalena sono, infatti, un misto tra postmodernità e mondo antico, mitologico appunto.

Storie inconsapevoli esse stesse della contraddizioni dell’epoca storica nella quale viviamo e di come un viaggiatore abbia interagito e rinvenuto l’archetipo nel pescatore. Il soggetto che più di chiunque altro, a distanza di 2000 anni, è legato e dipende dalla natura, ai cicli di questa, oggi come ieri.

Merita ascolto attento, Angelo Maddalena, in un’epoca consumistica come la nostra dove anche la musica non rifugge da obsolescenza programmata. Un brano musicale oramai dura a volte il tempo di un ascolto. Le canzoni e le osservazioni di Angelo no: sono come il vino, quando è buono, che con il passare del tempo migliorano. Viene voglia di risentirle spesso con la sana e lirica consapevolezza di essere in cammino «verso il Fiume grande / dove ci aspetta Alberto».

 

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