Non bastano le copertine

di Daniela Pia

Ho provato una sensazione di tenerezza nel vedere che amici-amiche e colleghe-colleghi hanno pubblicato e diffuso la copertina dell’ultimo numero del settimanale «L’Espresso» nelle loro pagine FB. Quell’«abbasso» corretto nella W di viva con il gessetto tipografico, ha catturato la nostra fame di riconoscimento.
Un articolo che non racconta nulla di nuovo; niente che già non si sperimenti quotidianamente sulla pelle. Eppure la copertina ci ha gratificato, solleticando la sete di carezze che potrebbe lenire la flagellazione cui siamo sottoposti da decenni. Una specie di dono natalizio questa copertina che si propone di ricordare alle persone più distratte che molte e molti di noi sanno fare il nostro mestiere. Lo raccontano anche i dati Ocse: i/le liceali italiani migliorano le loro prestazioni. Ne siamo contenti e orgogliosi. Certo questa corsa a essere migliori, a primeggiare, a far fare bella figura al nostro “benamato” Miur, alla nostra “gloriosa Patria”, ha qualcosa che gli psicologi definirebbero ansia da prestazione. A chi dobbiamo dimostrare quanto siamo bravi? Abbiamo davvero bisogno di queste pacche sulle spalle? E se i liceali ci danno lustro, allora nascondiamo sotto il tappeto le problematicità degli altri indirizzi? Quanti sono consapevoli dei meriti dell’istruzione tecnica e professionale che – anche se non risponde agli standard preconfezionati di una qualità di facciata – è capace di accogliere a piene mani persone disabili o disadattate, coloro che ai licei non possono ambire (secondo quanto viene stampigliato sul diploma di licenza media). Quelle/i che le scuole private non si possono “permettere”, visto che abbasserebbero i loro standard prestigiosi. Ragazze/i che hanno un vissuto familiare di assenza e che alla scuola chiedono ascolto, uno sguardo, lo “scontrino” che attesti la loro esistenza come esseri umani. Bene, quale soluzione migliore per nascondere il fallimento e l’ abbandono scolastico di una fetta di studenti-studentesse che attribuirla ai e alle docenti? E poi l’ ultima finzione dei
«bisogni educativi speciali», creati per accreditare l’ illusione che nelle segrete stanze qualcuno (che non ha mai dovuto confrontarsi con classi di trenta alunni con tre e quattro disabili, tre dsa e altre sigle parimenti deprivanti) si stia occupando di approntare progetti e piani e percorsi e cartaccia capace di attestare che – anche – di costoro si occupa il magnifico e immaginifico apparato della pubblica d/istruzione. Chi zappa la vigna dell’istruzione tutti i giorni però sono insegnanti e docenti: a loro viene chiesto ancora, gratis et amore Dei, di caricarsi sulle spalle oneri dolorosi, con un costo emotivo inimmaginabile, senza alcun ritorno se non quello di qualche grazie sporadico che sfugge dalle labbra di ragazze/i.

Ed è in questa atmosfera da copertina natalizia che mi è giunto inatteso, lo squarcio aperto da un articolo pubblicato da «Repubblica» a firma di Marco Preve, dove si racconta che nella Regione Liguria si sono preoccupati di incentivare coloro – immagino funzionari – che pare abbiano il delicato compito di «comunicare spiacevoli notizie», assegnando un valore monetario a questo compito con l’ introduzione di un parametro definito: indennità di «emotività individuale e impegnative relazioni interpersonali». Indennità di sopportazione che, tradotta in soldoni equivale a 13,02 euro al giorno. Ripensavo così ai colloqui di qualche giorno fa: genitori disarmati, spaventati, aggressivi o accomodanti , più o meno cinquanta, che chiedevano conto dei loro figlioli portando su un vassoio i doni dei re Magi: carrettate di paure, disagi , separazioni, disoccupazione, storie di vita. Il tutto mentre cercavano di capire il perché del profitto inadeguato di figli o figlie cercando di invocare un occhio “umano” di riguardo. Ne sono uscita sfatta. Ho comunicato, abbellendole con parole di carta velina, spiacevoli realtà, intraprendendo impegnative relazioni interpersonali, dichiarandomi disponibile all’ascolto e alla collaborazione anche in orari non canonici. Tutte attività che l’ Ocse non registra, che le copertine non fotografano e che nessun funzionario ha interesse a riconoscere, tantomeno a incentivare. Ecco perché, forse, ci è apparsa come miracolosa quella copertina del settimanale, con quella W davanti alla parola professore; una W da intendersi dunque come indennità di sopportazione.

 

Daniela Pia
Sarda sono, fatta di pagine e di penna. Insegno e imparo. Cammino all' alba, in campagna, in compagnia di cani randagi. Ho superato le cinquanta primavere. Veglio e ora, come diceva Pavese :"In sostanza chiedo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedo la pace nel mondo, chiedo la mia".

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