Non c’è più tempo

Ripreso da reclaim4time

Non è più il tempo perché chi governa le nostre vite continui a parlare della condizione di milioni di persone in Italia, senza conoscerla realmente.

Non è più il tempo che chi ci ha impoverito, precarizzato, resi diseguali nell’accesso alle risorse ed alle opportunità (peraltro sempre più scarse) decida ancora dei nostri desideri, aspirazioni e progettualità.

Non è più il tempo che i ricchi (pochi) diventino sempre più ricchi, in mancanza di una politica fiscale progressiva che tassi grandi patrimoni, lusso ed alta finanza, sullo sfruttamento della vita di chi anima il resto del Paese e del pianeta (il 99%).

Pensiamo che sia arrivato il momento di prendere parola in maniera forte all’interno del dibattito sul welfare e il lavoro, a partire dal Reddito di cittadinanza e dal salario minimo, che sono al centro di un confronto di respiro corto e tutto interno al governo PD-M5S e tra il governo e le parti sociali (sindacati confederali e Confindustria).

Il Reddito di cittadinanza, varato dal precedente governo, ha avuto il pregio di affermare la necessità di azioni di contrasto alla miseria dilagante e alla disoccupazione e sottoccupazione crescente. Tuttavia, il suo modello condizionale, colpevolizzante per i poveri e limitato nella platea dei beneficiari, oltreché nella cifra mensilmente erogata, lo inscrive in un ridisegno del welfare di tipo workfaristico, invece che rappresentare uno strumento di redistribuzione e contrasto del ricatto del lavoro povero e precarizzato.

Con il nuovo governo la misura è entrata nella seconda fase, quella dell’erogazione delle politiche attive, quella del percorso di riqualificazione professionale finalizzato alla chimera dell’ottenimento di un impiego dignitoso e dei progetti utili alla collettività (PUC), a titolarità dei Comuni, che i beneficiari sono tenuti obbligatoriamente a svolgere per 8 ore settimanali (incrementabili fino a 16). Di fatto, un’altra forma di lavoro gratuito coatto, finalizzato a dimostrare il grado di integrabilità (e quindi di apprezzamento sociale da parte della comunità) delle persone.

In realtà, fino ad ora abbiamo assistito ad una campagna di colpevolizzazione mascherata dalla lotta ai “furbetti” e ad una esclusione dalla platea dei beneficiari di larghe fasce di popolazione a basso reddito. In particolare, migranti, donne, giovani, senza casa, o chi ha perso recentemente il lavoro, rimangono esclusi dal beneficio, non solo per i requisiti rigidi di ingresso, ma anche a causa del meccanismo perverso ed iniquo di rilevazione della condizione reddituale e patrimoniale su cui la misura ruota: l’ISEE.

Pensiamo allora che sia giunto il momento di agire, sperimentare, creare alleanze e connessioni tra chi ha avuto accesso alla misura ed è rimasto intrappolato nelle maglie delle numerose condizioni e vincoli che essa pone e chi invece ne è rimasto esclus@, perché ha incontrato le barriere di requisiti stabiliti su base nazionale, familistica, pauperistica. Tra chi è costretto ad accettare condizioni di lavoro inique per pochi soldi in più e chi è costretto al lavoro gratuito.

Siamo convint@ che le disuguaglianze crescenti, che hanno continuato ad acuirsi in questi 11 anni di crisi, creando forme differenziate di accesso alla cittadinanza sociale, e il contemporaneo attacco ai salari e ai diritti sul lavoro richiedano, piuttosto, un Reddito incondizionato, una riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a parità di salario e una legge sul salario minimo, che permettano ai soggetti di autodeterminare le proprie scelte e la propria vita, di uscire dal ricatto di un lavoro povero, gratuito e sfruttato, di sprigionare desideri, forme di cooperazione, di operosità.

Tre strumenti che sinergicamente possono operare in una più virtuosa redistribuzione di risorse e tempo per condizioni di vita sostenibili.

Siamo convint@ che un Reddito realmente incondizionato non possa utilizzare la cittadinanza nazionale come meccanismo escludente e la famiglia come nucleo sociale di riferimento, a discapito dei percorsi di emancipazione agiti dai più giovani e dalle donne. Così come la riduzione oraria e un livello di paga sotto il quale non si può andare metterebbero un freno alle speculazioni continue sulle fittizie dichiarazioni di esuberi e dumping salariali sempre utili ad innescare i ricatti della precarietà.

Pensiamo, quindi, che sia arrivato il tempo di discutere, confrontarsi collettivamente, di organizzarsi insieme per sentirsi meno sole e meno soli.

reddito di autodeterminazione, salario minimo e riduzione d’orario – per la liberazione del tempo di vita – reclaim for time 

A breve costruiremo un osservatorio su lavoro povero, lavoro femminile e lavoro migrante…
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