Nucleare e antinucleare in Argentina

Dagli accordi internazionali alla lotte territoriali: Formosa resiste!

di Giulio Soldani (*)

Negli ultimi tre mesi tre visite importanti hanno riconfigurato l’agenda energetica dell’Argentina.
Anche se i media internazionali sono stati

attenti soprattutto alla vicenda dei fondi “buitres” (avvoltoi) in realtà sin dalla fine degli anni ’90 tutto ciò che fa gola alle potenze mondiali sono gli sconfinati e ricchi territori dell’Argentina. Acqua, terre fertili, metalli, idrocarburi sono il bottino nel mirino delle corporazioni e delle grandi imprese statali. Il suo modo di pagare il debito estero – non quello degli hedge founds ma quello storico – l’Argentina lo dimostra nelle politiche che l’hanno contraddistinta negli ultimi anni: consegna dei territori e delle popolazioni alle lobbies.

Il 21 maggio 2014, nell’ambito della visita di Daniel Poneman (segretario aggiunto all’energia del governo Obama) e dell’incontro di questi con il ministro di pianificazione Julio De Vido, è stata rinnovata l’alleanza energetica già in vigore fra Stati Uniti e Argentina. L’accordo fu sancito nel 2010 fra la presidente argentina Cristina Fernandez de Kirchner e Barak Obama in occasione di un vertice sulla sicurezza nucleare a Washington.
Il rinnovo di quest’anno prevede una cooperazione attiva fra imprese in ambito energetico soprattutto riguardo all’estrazione del gas shale nella provincia di Neuquén (Vaca Muerta) e allo sviluppo della centrale nucleare Atucha III, che assieme alle funzionanti Atucha I e II, situate nella città di Lima, andrebbe a rifornire una parte del fabbisogno energetico della megalopoli Buenos Aires (la cui popolazione tocca i 14 milioni di individui) e la domanda energetica industriale nazionale.

Il 12 luglio è stata la volta dell’incontro di Vladimir Putin con la “presidenta” argentina e parallelamente fra il ministro pro nucleare De Vido e Sergei Kiriyenko, il presidente dell’azienda pubblica russa Rosatom, uno dei colossi mondiali del nucleare. Anche questa volta si è puntato alla costruzione di Atucha III e allo sviluppo di un reattore nucleare di costruzione argentina, il Carem.

Il 18 luglio invece è arrivata in Argentina una delegazione dalla Cina che ha visto il presidente della repubblica popolare Xi Jinpingm accompagnato dal presidente di National Nuclear Corporation (Cnnc), Yang Chaodong, i quali – in accordo con la presidente “Cristina” e il ministro di pianificazione e sviluppo De Vido – hanno stretto un patto per la costruzione del quarto polo nucleare nazionale Atucha III (il terzo già esistente è la centrale Embalse presso Cordoba), di proprietà dell’azienda statale Nucleoelectrica Argentina S.A., che dipende dal ministero di Pianificazione Federale e Investimenti pubblici.

Se questa turboavanzata rispetto allo sviluppo nucleare riguarda quasi esclusivamente la realtà bonarense del polo Atucha (tre centrali di cui, due in funzione e una da costruire) bisognerà concentrarsi su un altro punto della mappa dell’Argentina sempre legato al nucleare.

La provincia di Formosa, una delle ultime a unirsi formalmente alla federazione argentina nel 1960, sta vivendo un momento chiave per il suo futuro. Il governo nazionale d’accordo con quello provinciale vuole istallare una centrale nucleare proprio in territorio indigeno. Non a caso si è scelta quella provincia remota e povera, al confine con il Paraguay, dove la situazione di violenza sui popoli Wichi e Qom è molto alta (al momento in cui scriviamo ci sono state nuove aggressioni) come la corruzione e l’impunità della polizia e degli scagnozzi dei signori locali.

La procedura con cui avanza il progetto per la centrale di Formosa è oscura e incerta. Di fatto sono cinque i luoghi deputati per la costruzione della centrale che monterebbe un reattore sperimentale Carem di tecnologia argentina. L’annuncio della costruzione della centrale è stato affiancato dalla notizia che la pianta di produzione di combustibile nucleare (diossido di uranio) dell’impresa Dioxitex si starebbe già trasferendo da Cordoba (a fianco della centrale nucleare Embalse) a Formosa. Tre province argentine si sono infatti rifiutate di ospitare la pianta ultra contaminante che è giunta fino alla più povera di tutto il paese: Formosa.

Il movimento antinucleare di Formosa si aggiunge a una tradizione antinuclearista in un Paese che inaugurò le sue attività nucleari sotto Peròn nel 1945 con il decreto 22.885 del ministero della Guerra. Il Mach (Movimento Antinuclear Chubut) ha avuto una vittoria storica contro il deposito nucleare che si sarebbe dovuto fare a Gastre negli anni ‘90, mentre il Movimento Antinucleare Zarate-Campana da alcuni anni lotta contro il mostro Atucha. Ma antinucleare in Argentina non significa solo affrontare l’attività e le scorie delle centrali, quanto scontrarsi con le miniere di uranio disseminate lungo la Cordigliera delle Ande, soprattutto nelle province di Catamarca, Mendoza, e La Rioja.

In quest’ultima provincia si sta portando avanti da circa quattro mesi un blocco stradale da parte della Asamblea Riojana Capital contro gli 11 progetti di estrazione di uranio gestiti dalla Cnea (commissione nazionale energia atomica). Questa lotta si è dichiarata solidale con quella contro la nuova centrale nucleare di Formosa, e in seguito a ciò, durante una manifestazione davanti alla sede nazionale della Cnea, è stato consegnato congiuntamente un documento che chiede l’annullamento di tutto il piano nazionale nucleare.

La lotta di Formosa è molto importante per vari motivi. Il primo riguarda la salvaguardia di un territorio che già ha molti problemi idrici e geologici (poche settimane addietro c’è stata una pesante alluvione), sociali (mancanza di acqua potabile, mancanza di assistenza sanitaria) ma soprattutto in relazione alle violenze sui popoli originari. Se si tiene conto del ritmo con cui avanza la lobby nucleare in Argentina, una battuta d’arresto su questo terreno sarebbe un duro colpo per la credibilità di un nuclearista convinto come è il ministro De Vido, che già l’anno scorso, nella sua trasferta in Russia alla conferenza internazionale dei ministri di Paesi nuclearizzati, aveva venduto la pelle dell’orso in anticipo, facendo preaccordi con Westinghouse, Rosatom e Cnnc,

Dal 2009 si è iniziato a muovere il popolo formoseño contro la costruzione della centrale nucleare. Proprio quest’anno, quando più si avvicinava la doppia minaccia, è stata indetta una manifestazione a marzo che è culminata davanti al monumento municipale alla bandiera e che è stata sgomberata dagli scagnozzi del potere locale del governatore Gildo Isfràn, sotto gli occhi soddisfatti della polizia oziante.

L’eco della manifestazione ha fatto sì che partecipassero nuovi soggetti sociali alla protesta insieme all’assemblea locale Formosa No Nucleare: partiti, sindacati e ong ma c’era anche il vescovo Vincente Conejero e la gente del Paraguay che vive aldilà del confine, proprio lì vicino attraversando il fiume Pilcomayo.

La mobilitazione si è trasformata da questione circoscritta e locale a una questione che supera le frontiere e che sta mettendo i bastoni fra le ruote al governo provinciale di Formosa e a quello nazionale argentino. Nei primi giorni di luglio c’è stata un’ audizione pubblica e in quell’occasione sono emerse molte voci degli abitanti del luogo, tecnici e non.

Con esse sono fuoriuscite anche le notizie riguardanti la pressione giornalistica operata dal governo locale su tutte le radio presenti nel territorio, per far sì che parlassero solo a favore di Dioxitex e della centrale; infatti il vicegovernatore di Formosa, Floro Bogado, si è espresso così riguardo alla resistenza contro la produzione di combustibile nucleare: «tutti quelli che sono contro il polo tecnologico e Dioxitex sono eco-terroristi e ignoranti».

Questo nuovo scenario antinucleare dimostra l’importanza dell’appoggio mutuo nelle lotte territoriali affini affinché, soprattutto dai luoghi remoti e tradizionalmente assoggettati del Paese, possa risvegliarsi l’anelito alla ribellione e alla giustizia, perché dopo secoli la dominazione sembra non cessare, anzi incrementarsi.
(*) Giulio Soldani fa parte di Apca (Asamblea Permanente del Comahue por el Agua)

 

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