Nuvole e note

ben due Daniele Barbieri recensiscono «Il jazz dentro» di Flavio Massarutto

Sapete che Count Basie si tuffò e – «grazie alla forza delle sue mani allenate al pianoforte» – salvò un amico intrappolato in fondo al mare? Accadde nel luglio 1948 ma soltanto sulle pagine di «Juke Box Comics». E’ una delle cento (a dir poco) chicche che Flavio Massarutto propone in «Jazz dentro» – sottotitolo «Storia e cultura nel fumetto a ritmo di jazz» – pubblicato da Stampa Alternativa: 184 pagine (con immagini in bianco e nero e a colori) per 20 euri.

Anche il fumetto è campo di battaglia. Mettendo al centro il patriottismo e la superiorità wasp (bianchi anglosassoni protestanti) o piuttosto la lotta contro il razzismo; impegnandosi ad aggirare la censura o invece gridando “al lupo” sul mix droghe-musica-sesso.

Così, incrociando il jazz, le nuvole parlanti si schierano. Del resto, come ricorda Massarutto (citando Dashiell Hammett) «non penso che si possa scrivere senza parlare di questioni sociali».

Ecco allora Glenn Miller che offre «la colonna sonora delle armate statunitensi» e poi con la morte durante un volo diventa il «personaggio perfetto per incarnare l’eroe che sacrifica successo, soldi e infine la vita per la Patria». Così almeno lo propone la rivista «Real Fact Comics» (occhio al nome). Ma se certi disegnatori vedono solo i jazzisti bianchi ci sono anche quelli che raccontano gli artisti afroamericani e che (in modo subdolo … direbbe qualche “suprematista”) mostrando bimbi neri e bianchi giocare assieme con le biglie fanno capire l’assurdità della segregazione.

Negli anni dell’incubo atomico non mancano i fumetti dove il jazz gioca un ruolo. La storia più curiosa è forse «The King of New Orleans» (del 1962) nella serie The Atomic Knights. Dopo la catastrofe il perfido King Touro si impadronisce di New Orleans: vieta il jazz e controlla tutti «con onde a ultra-frequenza». Ma gli Atomic Knights scoprono che il jazz risveglia dall’ipnosi e la rivolta può cominciare: «con una sfilata in puro stile street parade sulle note di When the Saints Go Marchin’In».

Sorprese a gogò. Esiste una graphic novel (purtroppo non tradotta in italiano) di Youssef Daodi dedicata a Tuhelonious Monk e a Panonica de Koenigswarter mentre in «Sun Ra’s Advice for Medics» il disegnatore Ron Regè Jr racconta di quando Sun Ra venne invitato a suonare in una clinica psichiatrica di Chicago e il manga «Astral Project» ci spiega che ascoltando un inedito di Albert Ayler si «sperimenta un viaggio extracorporale» (e qui dissento: a me capita di viaggiare anche ascoltando gli editi, in particolare le variazioni su Ghosts).

Meno sorprendente – almeno per chi ha letto «Mumbo Jumbo» di Ishmael Reed – è trovare le matite di Robert Crumb (sì, quello dell’irriverente Fritz il gatto) alle prese con «La maledizione vudù di Jelly Roll Morton».

Se il grande disegnatore Crumb fu un musicista mediocre – «so grattare un banjo o una chitarra» confessò – ci furono invece jazzisti-fumettisti che seppero offrire opere interessanti tanto nelle nuvole che fra le note. Massarutto ci racconta del canadese Wally Fawkes (toh, lo stesso cognome del “vendicatore” Guy) e di molti altri fino al «sontuoso» album-libro «Emanon» (del 2018) di Wayne Shorter … e al progetto – annunciato ma finora non realizzato – di Kamasi Washington per trasporre in una graphic novel il suo triplo The Epic.

Si vola dallo stile «zoot suit» al più lungo sciopero nella storia dell’industria musicale (1942-1944); dalle variazioni («per voce e inchiostro») di Strange Fruit alle figurine jazz in Europa fra le due guerre; dal «passing» (muoversi fra diverse identità) ai duelli fra musicisti; da Cab Calloway protagonista di fumetti vendutissimi all’altra metà del jazz ovvero 15 pagine per raccontare le donne che questa musica hanno amato, odiato, disegnato e suonato. Ma c’è anche spazio per accennare alle copertine italiane della «Domenica del corriere» dove il jazz è scandalo, possessione o epilessia. E ancora note e nuvole si riverberano in Antonio Gramsci e Georges Perec, in Haruki Murakami, in Hugo Pratt… Fino alla rivista «Juke Box Comics» che nel periodo 1948-49 è «interamente dedicata a raccontare succinte biografie degli eroi musicali del tempo, per la gran parte jazzisti»: qui si fa le ossa Alvin Carl Hollingsworth, uno dei primi fumettisti “di colore”. Un fumettista afrocanadese, Ho Che Anderson (i nomi di battesimo inducono a pensare che avesse genitori di sinistra) ha scritto anche «Vita jazz (ovvero) ritratto del musicista come giovane stronzo», tradotto nel 2002 in italiano.

Nell’inserto a colori, accanto a tavole e copertine dei fumetti citati c’è anche una breve storia di Massarutto e del disegnatore Davide Pascutti, intitolata (e ragione) «A love supreme», dove si racconta la vera storia della Rustica X Band nata nel 2000 in una periferia romana.

Si potrebbe finire con un dialogo tratto da una striscia famosa – citata da Massarutto – ovveo «Calvin & Hobbes» di Bill Watterson:

  • Hobbes, cosa pensi che ci succeda quando moriamo?
  • Penso che si vada a suonare il sassofono in un night club di New Orleans
  • Allora credi nel Paradiso?
  • Chiamalo come ti pare.

Dopo «Assoli di china: tra jazz e fumetto» del 2011, Flavio Massarutto torna all’incrocio di due culture che, secondo molti, sono «il maggior contributo originale alle arti da parte degli Stati Uniti». Anche questo libro è gustosissimo. Da consigliare perfino a chi non si è mai dilettato con note e/o nuvole. Perchè non è mai troppo tardi.

Avviso per maligni che vedono “conflitti di interesse” anche laddove non ci sono. Nell’utile bibliografia finale Flavio Massarutto cita ben due libri di (un) Daniele Barbieri: è un mio simpatico omonimo (*). Però… gli ho chiesto se aveva voglia di leggere il libro e lui mi ha mandato – VEDI SOTTO – la sua recensione. Così siamo in un minimissimo conflitto di interessi oltrechè in un titanico (ehm) scontro fra omonimi. O forse stiamo facendo il Tangram, un rompicapo che si può giocare cooperativamente.

Su Flavio Massarutto e «Il jazz dentro»

di Daniele Barbieri (un altro)

Che il jazz e il fumetto rappresentino i principali contributi della cultura nordamericana alle arti è un fatto che ho spesso sottolineato anch’io. Credo anche che entrambi non potessero nascere che lì. Non solo, infatti, in Europa esistevano tradizioni molto forti che inibivano la nascita di forme nuove ma esisteva anche, all’interno di queste tradizioni, una netta separazione tra alta cultura e cultura popolare, con un aristocratico disprezzo da parte dei cultori della prima verso quelli della seconda. Naturalmente questa separazione esisteva anche negli USA, che sono stati per lungo tempo succubi della cultura europea, ma un po’ per la distanza geografica e sociale, un po’ per un confuso, benché forte, senso di autonomia, quella medesima separazione si presentava, in America, piena di incrinature.

Jazz e fumetto passano proprio attraverso queste incrinature, a cavallo come sono, fin dagli esordi, tra cultura popolare (o meglio, all’inglese, popular – quello che Adorno definirebbe sprezzantemente di massa) e approcci più colti. Sarà quando questi approcci più colti inizieranno ad avere un peso inequivocabile che l’Europa inizierà ad accorgersi di loro, dopo averli relegati per molti anni alle dimensioni marginali dell’infanzia o del consumo estemporaneo della balera, ignorandone bellamente le eventuali complessità.

Per questo, l’accostamento tra jazz e fumetto su cui si basa il libro di Massarutto è tutt’altro che gratuito, anche se è forse il jazz a farci la migliore figura, per quella sua carica eversiva di pulsionale coinvolgimento, che attraversava sia le sue forme più commerciali e ballabili sia quelle più cerebrali dal bebop in poi. O forse perché è più facile costruire un’epopea di belli e dannati sopra musicisti che fanno tardi ogni notte davanti al pubblico, piuttosto che su sceneggiatori e disegnatori che lavorano in casa o in ufficio separati dal mondo. Comunque sia, il fumetto si è trovato a testimoniare il jazz, piuttosto che il contrario (ovviamente) e questo perché il fumetto testimonia il presente, e in America anche il jazz era il presente – magari rivolgendosi al medesimo pubblico, o magari condividendo valori simili, almeno talvolta. E in ogni caso permettendoci di toccare con mano le contraddizioni della cultura americana – tra conformismo moralistico e proposte di cambiamento – nei confronti delle istanze antirazziste e multiculturaliste che il jazz inevitabilmente portava avanti.

I dettagli di questo libro coinvolgente li spiega qui sopra il mio omonimo. Io ci ho imparato un sacco di cose che non sapevo, prima di tutto sul jazz, ma anche sui fumetti.

(*) se pensate che sia uno scherzo… leggete qui:  Omonimie: Daniele Barbieri (x e y)

 

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