Omicidio Venturelli: ingiustizia è fatta

di David Lifodi

“Con ogni donna o uomo che muore per la giustizia sociale muore anche qualcosa della decenza umana. Però qualcosa resta, ed è proprio quel qualcosa che ci fa inghiottire la rabbia e ripetere a denti stretti: Vinceremo”. Queste parole sono state scritte da Luis Sepúlveda nel lontano 24 aprile 1997 per il quotidiano Il manifesto. Lo scrittore e giornalista cileno raccontava, quasi in presa diretta, il drammatico assedio e l’uccisione a sangue freddo dei guerriglieri peruviani dell’Mrta (Movimiento Revolucionario Tupac Amaru) che da mesi avevano occupato l’ambasciata giapponese a Lima per chiedere la liberazione di oltre 400 loro compagni sepolti nelle galere del paese andino: il blitz delle forze speciali fu fortemente voluto dal presidente Fujimori.

Il saluto di Sepúlveda ai tupamaros si può ben applicare anche al caso dell’ex sacerdote italo-cileno Omar Venturelli, ucciso pochi giorni dopo il golpe del 1973 per mano del procuratore militare pinochettista Alfonso Podlech, ma, allora come oggi, purtroppo dobbiamo constatare che noi, paladini della giustizia sociale e impegnati per il rispetto dei diritti umani, siamo andati incontro ad una cocente sconfitta. Abbiamo già raccontato su questo blog la storia e la vita degna di Omar Venturelli (http://danielebarbieri.wordpress.com/2011/04/28/omar-venturelli-passione-e-morte/#comments), ed aspettavamo la sentenza della Prima Corte d’Assise di Roma su Alfonso Podlech con la speranza che fosse fatta giustizia una volta per tutte. L’attendevano anche i testimoni venuti da mezzo mondo, su convocazione del procuratore aggiunto Capaldo (che aveva richiesto il rinvio a giudizio per questo oscuro personaggio) per sconfessare le bugie del ras di Temuco ed aiutare così la moglie e la figlia di Venturelli, Fresia Cea e Maria Paz, a vedersi riconosciute una sentenza giusta. E invece Alfonso Podlech ce l’ha fatta ancora una volta. Non solo. Sembra che prima dell’ingresso dei giudici in camera di consiglio, l’ex procuratore militare si sia dichiarato innocente chiedendo che lo Spirito Santo illuminasse la Corte e dicendosi veramente dispiaciuto per gli abusi e le sopraffazioni che hanno subìto le persone. Non contento di questa messinscena, Podlech ha proseguito così: “Io ero solo il consulente legale per la procura militare: non ho mai interrogato, né torturato, né fatto qualcosa per far sparire qualcuno. Va contro i miei principi morali. Mi dispiace che dopo tanti anni esista ancora un clima di vendetta che credevo superato dal passare del tempo”. Il solito ritornello, nemmeno troppo originale, dell’obbedienza dovuta, ma tanto è bastato affinché la Prima Corte d’Assise, presieduta da Anna Argento, decidesse per Podlech l’assoluzione per non aver commesso il fatto e la scarcerazione. E così, con buona pace dei desaparecidos, del gruppo dei “Cristiani per il Socialismo” (a cui Venturelli aveva aderito) e di tutti coloro che lottano per la giustizia sociale, Podlech, un instancabile provocatore, ha espresso tutta la sua soddisfazione per potersi godere “i pochi anni che mi rimangono nel mio paese e in pace”. Sul potente settantaseienne cileno (non si muoveva foglia a Temuco senza che lui non volesse), pendevano le accuse di strage e sequestro di persona, e come avevano ribadito i numerosi testimoni giunti a più riprese a Roma risultava evidente che Podlech era uno dei personaggi di spicco che operava nell’ambito della repressione pinochettista, ma le accuse nei suoi confronti sono state considerate carta straccia: salvato grazie alla prescrizione dei termini per i reati di sequestro e tortura, assolto per quello di omicidio con la giustificazione dell’insufficienza di prove.

Tonio Dell’Olio, su Mosaico di Pace, ha scritto che “è necessario impegnarsi nell’educazione in ogni angolo del mondo perché si prosciughi la fonte dei Podlech e perché non ci sia più una donna a piangere la seconda uccisione del proprio compagno”: così facendo, può darsi che, come scriveva Sepúlveda, prima o poi vinceremo davvero.

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