Ottobre 17 – a Vladimir Majakovskij

di Alberto Masala

Il meglio del blog-bottega /193…. andando a ritroso nel tempo

Ottobre 17

A Vladimir Majakovskij

Buongiorno, signor Volodja,

chi sono? Abito qui

ma non al piano trentasette…

lì state voi, come avete deciso,

con Leopardi e Rimbaud…

io sto nel sottoscala

in basso… giù…

tra vecchie incrostazioni

al piano terra

di questo condominio di poesia.

Che cosa faccio?

tengo pulito…

mi prendo cura…

assisto…

aspetto…

se c’è bisogno… io sono sempre qui

ancora vivo…

invece voi

vi siete dato morto

facendo scomparire il tempo

e ben sapendo

che non si ferma davanti alle parole

e che può rallentare,

ma in presenza del pubblico soltanto.

Avevate ragione

al pubblico, bisogna dare tempo,

meglio: spazio che annulli il tempo.

Voi l’avete fermato ed invertito

il vostro fiume, che con lentezza molle

ora sfugge al suo stesso mutamento

scorre all’indietro

a ondate, ancora…

e se ne sente il flusso

rovesciando le nostre geografie.

Io non ho mai imparato a risparmiare,

il tempo l’ho sprecato…

ora lo impreco. E stringo

quel poco che mi resta.

E ancora eterno sembrerebbe, ma

una spinta ne semplifica il cadere.

PER SEMPRE… MAI…

dico, e la forma tradisce il mio alfabeto

affaticato… stanco… consumato

da una nuova ignoranza quotidiana

che calpesta imperterrita l’essenza

assassinando il canto.

Son figlio di più deboli suffissi

inascoltabili, di qualità mediocre,

e non lasciano impronte nell’intelligenza.

La mia rivoluzione ha tempi lunghi…

è senza l’orologio

non scorre… si assottiglia

balbettando altre lingue

sempre facendo spazio alle stagioni

e la fame, l’angoscia, ne circonda

la sua più desolata solitudine

e solenne si scontra

con la mia verità

prendendomi energia

cedendo alle abitudini mentali

dove tace poesia.

È lo spettacolo, che passa per la voce,

eccitando perfino i rispettabili

accademici schierati in assemblea

a cui si deve sempre render conto

ma non andate, state… senza paura…

non sembra che il silenzio degli artisti

sia più pericoloso.

È lo spettacolo, che oggi mi costringe…

vivere quotidiano… che mi mangia l’essenza

in un paesaggio sterile

dove né stelle né altre sfumature

mentre la storia indossa l’uniforme.

È lo spettacolo

dove si combatte all’aperto

per arrivare al cuore

ancora proteggendo illegalmente

l’esile lingua da rivoluzione

che ancora non vogliamo soffocare

per superare il disincanto.

E un mostro sognato dall’interno

ne sorveglia l’ingresso

impedendo il passaggio alla sospetta

irruzione dei sogni:

piace agli ascoltatori di poesia

l’impossibilità… la castrazione…

un brandello di carne…

Siamo arrivati qui, signor Volodja,

al film che oltrepassa il suo destino

all’imprudenza

all’urlo inopportuno

a portare le lacrime nascoste

come la sabbia dentro l’ingranaggio

di paranoia, che abbassa e capovolge

ogni accento di luce.

Ma…

non siamo stati noi

che l’abbiamo sfamata questa noia,

i nostri versi non sono destinati

alla verginità.

Viviamo precedendo le intenzioni,

siamo in anticipo:

io su me stesso

voi sull’eternità.

È ancora troppo presto per ballare.

Una buona giornata

e un buon ottobre a voi,

signor Volodja.

6 settembre 2005

Vladimir Majakovskij è morto suicida il 14 aprile 1930, all’età di trentasette anni. Anche Leopardi e Rimbaud sono morti a trentasette anni. La metafora del condominio mi deriva da un’intervista che mi ha fatto Dimitri Papanikas. Ne riporto il brano:

Il famosissimo poeta statunitense Jack Hirschman ha paragonato i tuoi lavori a quelli di due grandi “artisti maledetti” del secolo scorso: Antonin Artaud e Julian Beck. Che pensi di questa definizione?

Non trovo che né Artaud né Beck siano ‘maledetti’. Lo è la società che li ha perseguitati con la censura e la repressione. La poesia è il condominio di un palazzo altissimo. Ai vari piani ci sono le residenze: Lucrezio e Majakovskij, Ginsberg e Césaire, Baudelaire, Kavafis, Paz, Hikmet, la Vicinelli…: ognuno metta quelli che vuole. Voglio vivere lì, anche se ne abito un sottoscala e non i piani alti. Ma c’è un atrio, una portineria, un ascensore dove vado tutti i giorni (sai, per mantenermi mi prendo cura del palazzo: penso che spetti ai poeti vivi farlo). E prima o poi li incontro e li saluto: “Buon giorno, signor Majakovskij… signor Rimbaud…” Loro rispondono guardandomi. Io chiedo a me stesso solo la dignità di poter ricambiare quello sguardo senza vergognarmi né chinare la testa.

IL MEGLIO?

Anche quest’anno la “bottega” ha recuperato alcuni vecchi post che a rileggerli, anni dopo, sono sembrati interessanti. Il motivo? Un po’ perché quasi 16mila articoli (avete letto bene: 16 mila) sono taaaaaaaaaaanti e si rischia di perdere la memoria dei più vecchi. E un po’ perché nel pieno dell’estate qualche collaborazione si liquefà: viva&viva il diritto alle vacanze che dovrebbe essere per tutte/i. Vecchi post dunque; recuperati con l’unico criterio di partire dalla coda ma valutando quali possono essere più attuali o spiazzanti. Il “meglio” è sempre soggettivo ma l’idea è soprattutto di ritrovare semi, ponti, pensieri perduti… in qualche caso accompagnati dalla bella scrittura, dall’inchiesta ben fatta, dalla riflessione intelligente: con le firme più varie, stili assai differenti e quel misto di serietà e ironia, di rabbia e speranza che – lo speriamo – caratterizza questa blottega, cioè blog-bottega. [db]

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

2 commenti

  • Michele Licheri

    …e che dire: la poesia è alta. L’atto d’amore al signor Volodja e agli altri inquilini “alti”non manca di ironia, di amarezza, di quel senso dell’incompiutezza umana, quel tendere a… tipico del tango. E bravo il kompagno poeta Masala. Mica perché lo dico io; lo asserisce la poesia e la sua pratica. Anzi, già che ci sono, mister Masala non è che in quel sottoscala vi sia un resto d’angolino ove sistemarmi? Alla pari, non alla grande. Cucino, so d’arte gimnica e marziale, scrivo e… son dedito al peccato. Ovvero: tento d’incastonare le parole e i significati tra i solchi metrici e fonetici, passando dalla pagina scritta alla vita e viceversa. In passato son stato lettore di un altro Masala che diede origine alla “sarditudine”. Con quel termine traslato da “negritudine” titolai un libello che pubblicai negli anni ottanta. Resto, però, credo: un ragazzo coi baffi disposto a promuovere kolkotz in Sardegna; ecologici e di marca “gilanica”. Levo il disturbo e brindo di cuore a Voi Alberto Masala: chissà se la poesia salverà il mondo; di certo lo abbellirebbe ; e gioverebbe alquanto a quelle anime sperse- capaci di strali e maledizioni- che vede nella migranza sopravvissuta sul pelo dell’onda, non il fratello ma il nemico; il capro espiatorio. E così dagli al nero che approda, che mi ruba il lavoro etc. Ma il delirio umano, il tempo sospeso dei dannati, ha mica a che fare con la poesia?..

  • sergio falcone

    Prima della rivoluzione d’ottobre, scriveva contro la burocrazia. Dopo la rivoluzione d’ottobre, ha continuato a scrivere contro i burocrati.
    A noi restano solo le macerie e i disastri del marxismo-leninismo e seri dubbi sulla sua morte…

Rispondi a Michele Licheri Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *