Pacati rigurgiti, post 15 ottobre

di Enrico Euli

In questi giorni trascorsi dal 15 ottobre, ho notato la grande discrepanza tra quel che si dibatte in rete e quel che si vede in tv e nei giornali: in questi ultimi, passata la prima sbornia anti-violenza, non si è detto più nulla su quel che accade nel movimento, ed in particolare in quello italiano. Tanto da far sembrare che non sia più accaduto nulla o quasi. E forse è anche vero, in termini d’azioni o iniziative pubbliche (ma forse qualcosa mi sfugge dal mio periferico osservatorio o per età o per pigrizia, che forse sono la stessa cosa…).

Però ho letto molte cose in rete, d’altro lato, anche davvero interessanti e belle, profonde e promettenti. Quindi, qualcosa si muove, direi, almeno a parole.

Non vorrei, però, che fosse ‘solo a parole’.

Rispetto al mio appello, non ho ricevuto tante risposte, perlomeno rispetto alle mie richieste finali, quelle relative alle azioni possibili da compiere. Forse in molti hanno pensato che scherzassi ? O che fossero talmente irrealizabili e distanti, sconfortanti e in-credibili, da non meritare una risposta ‘in solido’ ?

Molti gli apprezzamenti, in generale: per l’analisi, la coerenza, la lucidità, ma niente più.

Provo allora qui a riprendere il discorso e a rilanciare, ripartendo anche dalle critiche ricevute.

FINESTRE

Perchè sto alla finestra ?

Perchè abbiamo saltato due ‘finestre di opportunità‘ fantastiche e forse irripetibili:

  • la prima è stata il 1989 (perestroika, caduta del muro di Berlino, Tien an men…).

Si sarebbe potuto sostenere Gorbaciov ed si è preferito aiutare un ubriacone come Eltsin, Si sarebbe potuto sciogliere la Nato, ed è stata riciclata in Jugoslavia e Golfo Persico, nascondendola dietro l’egida ONU. Ci siamo commossi davanti alla piazza, ma l’apertura del mercato cinese al capitalismo era troppo invitante per rinunciare al tentativo di inglobarlo all’Occidente.

  • la seconda è stata il 2001 (G8 a Genova, 11 settembre…).

Si sarebbe potuto ascoltare i movimenti ed i loro contenuti di lavoro e di proposta e cambiare strada, e si è preferito andare avanti nel già visto, senza alcuna revisione, ma anzi irrigidendo e rafforzando il modello economico-finanziario liberista, senza neppure più provare a coprirlo con le retoriche del passato (‘terzomondismo’, ‘riformismo’, ‘pacifismo’…), ma inventandone di nuove (guerra al terrorismo e per l’esportazione della democrazia, globalizzazione dei diritti, unione economica europea e superamento degli stati nazionali…). Per parte nostra, le esperienze dei Social Forum e di Rete Lilliput sono miseramente naufragate.

Dieci anni persi alle spalle, anche per responsabilità e limiti dei movimenti di allora e non solo dei loro avversari al potere (che, in entrambe le situazioni, erano comunque molto più forti, convinti e prepotenti di quanto non possano essere oggi).

 

Ora, infatti, pare presentarsi una terza finestra di opportunità ( l’ultima, almeno per noi ?): la primavera araba e nordafricana, la catastrofe economico-finanziaria in Occidente, il riemergere di conflitti sociali tra poveri e ricchi, inclusi ed esclusi, giovani e adulti-anziani, garantiti e non garantiti…

Ne sapremo approfittare ?

A veder quel che accade, ancora una volta, mi vien da dubitarne: la situazione in Egitto, sotto il controllo di una giunta militare; la guerra e il neocolonialismo petrolifero in Libia, ancora una volta ammantati di ONU e ‘democrazia’; il non intervento verso Yemen e Siria; il gioco senza fine e senza uscita tra Israele e Palestina. Tutto sembra già visto, come in un gioco truccato, e di nuovo e sempre bloccato sulle solite logiche, alla faccia di chi lotta e prova a cambiare davvero le cose laggiù.

 

Ecco perchè, per una volta -a differenza che nelle altre due occasioni- me ne sto per ora alla finestra.

C’è però anche un altro motivo per cui lo faccio: perchè la mia generazione, e quelle ancora più ‘passate’ e ‘cotte’ della mia, hanno già perso i loro tram e le loro ‘finestre’ e non credo sia un bene proseguire ad infiltrarsi nei movimenti più giovani, a dare consigli, a fare i sapientini…

Per questo, mi sto limitando più che posso in questo, ed intervengo solo ( e non sempre) su richiesta, e solo se essa è convinta, ben motivata e convincente (per loro e per me).

(M) ANDARE IN TILT

Qualche giorno fa mi è arrivato, ad esempio, un invito dal Tilt-camp (che mi è piaciuto e credo che tra il 25 e il 27 novembre andrò a Pisa).

Quale atteggiamento vogliamo tenere rispetto alle nostre controparti politiche ?

Protestare perchè ci ascoltino ?

Illusioni.

Perchè ci ascolteranno e negozieranno solo se costretti (sempre che non vinca tra loro l’opzione militare anche verso di noi, che resta -a mio parere- la più probabile: vedi le dichiarazioni di Maroni sul ‘terrorismo urbano’ e quelle di Sacconi sul ‘ci scappa il morto!’, primi segnali di un’ipotesi di lavoro che certo qualcuno persegue e perseguirà, come sempre e con tutti i mezzi, palesi e occulti…)

 

Ma ipotizziamo che banchieri, mercati e ceto politico-professionale possano davvero diventare disponibili ad ascoltare e a negoziare con questi ‘giovani che hanno ragione ad essere indignati’, come dicono.

Quali sono le dimensioni di potere su cui possiamo contare se vogliamo giungere a costruire un’equivalenza e costringerle a negoziare ?

  1. il nostro ruolo di clienti-consumatori nel mercato economico
  2. il nostro ruolo di cittadini-elettori.

Niente di nuovo sotto il sole, ma credo sia giunto veramente il momento di provare a non collaborare, a defezionare, su vasta scala. Da qui le mie proposte operative del 16 ottobre.

Potranno certo esercitarsi anche forme più ampie e simboliche di protesta e mobilitazione, così come sono auspicabili azioni illegali (occupazioni, sabotaggi, hackeraggi, blocchi..); non le vedo, però, come il focus della mobilitazione, ma solo come atti di sostegno e di accompagnamento a pratiche diffuse di defezione. Stare fermi, praticare attivamente la passività, svuotare la conchiglia.

 

Per andare verso azioni di questo tipo la domanda di fondo è: quale atteggiamento vogliamo tenere rispetto ad un sistema che va in tilt ?

Tappare le falle, tenere in piedi alla meno peggio, scegliere il male minore, ridurre il danno ?

Mi rifiuto.

Dobbiamo far (m)andare in tilt quel che comunque andrebbe in tilt, ma in tempi più lunghi, senza il nostro attivo (anzi, passivo) contributo.

Sta anche a noi scegliere: tra catastrofe agita o subita, tra rivolgimento o palude.

 

L’anno accademico scorso migliaia di ricercatori, tra cui anche io, hanno tenuto in scacco per mesi l’istituzione universitaria, dichiarandosi indisponibili all’insegnamento.

Sapete perchè la defezione è rientrata ? Perchè davanti al rischio reale di far chiudere i corsi di laurea e perdere le cattedre la quasi totalità dei miei colleghi ha preferito riprendere a collaborare per ‘senso di responsabilità’ e ‘per mantenere in vita l’Università pubblica’.

Io continuo a restare indisponibile perchè invece penso che dei corsi di laurea senza personale, senza risorse e senza prospettive (per sé e per gli studenti che laurea) deve chiudere.

E che ci siano ‘responsabilità’ più alte, etiche e politiche, di quelle che ci derivano dalla necessità di colludere e di co-gestire il disastro.

Ma siamo disposti a far chiudere, a far fallire, a paralizzare le ‘nostre’ istituzioni ?

Anche quelle che ‘ci convengono’ (perchè ci pagano, perchè ci teniamo i nostri risparmi, perchè ci compriamo il cibo, perchè ci sono simpatiche, perchè ‘ci credevamo’…) ?

Siamo disposti a minacciare sul serio le ‘nostre’ banche, i ‘nostri’ luoghi di lavoro, le ‘nostre’ città mercato, le ‘nostre’ televisioni’, la ‘nostra’ pubblicità, i ‘nostri’ parlamenti , i ‘nostri’ eserciti ?

Siamo disposti ad ‘andare in default’ con loro, a non pagare il debito, a rischiare di perdere anche noi quel poco che abbiamo per provare ad andare verso ‘nuovi mondi possibili’ ?

Che dicono gli indignati su questo ?

Se non faremo questo salto, resteremo necessariamente sottoposti al ricatto e alle minacce del ‘sistema’ , e – nonostante le nostre proteste e richieste- non ci considererà credibili -direi giustamente- , non inizierà neppure a negoziare con noi e, dopo un pò, non farà neanche più finta di ascoltarci.

Catastroficamente vostro (Cagliari, 31 ottobre 2011)

UNA PICCOLA NOTA

Questo intervento di Enrico Euli si ricollega alle sue proposte (riprese in Oltre il 15 ottobre: noi e loro? Ma noi chi? ) e ai suoi successivi Chiari(menti) e black(bloc) ma anche al dibattito che si è sviluppato in codesto blog e (ovviamente) fuori. La discussione non finisce qui. Se intanto Enrico ci racconta cosa succede al Tilt-camp dal 25 novembre a Pisa… e non lo dico solo perchè curioso ma perchè mi pare di capire che potrebbe essere un appuntamento per chi vuole anche tentare di fare e non solo dire, dire e dire. (db)

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

  • A proposito di Tilt-camp… due info veloci.
    Tilt si definisce una rete generazionale della sinistra diffusa che ha l’ambizione di riformare la sinistra sia attraverso le forme, sia attraverso le pratiche. Nata da due mesi, si incontra a Pisa a fine novembre. Tilt ha chiesto a Enrico Euli di ragionare (il 26 novembre: alle 15, all’interno del polo di Ingegneria) sulle pratiche di piazza e sui “trappoloni da opinione pubblica” ma soprattutto su pratiche di r-esistenza e disobbedienza.
    Altre notizie su http://www.tiltcamp.it

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