Parlanti? Forse telepatici? Una…

… recensione ad «Animali sapienti» di Stefano Vezzani (*)

Chiunque ami gli animali avrà pensato talvolta «ah, se potessero parlare». Un modo di dire, una provocazione o forse un auspicio… In versione estrema ho risentito anche, a commento della campagna elettorale, «aveva ragione Caligola» (si intende: a far senatore un cavallo). Ma c’è chi crede che davvero cani, gatti cavalli in qualche modo ci parlino.
La passione per gli «animali sapienti» (o telepatici) è antica e resiste ai giorni nostri ma raggiunse le vette circa 100 anni fa. E’ una interessante storia che ricostruisce lo psicologo Stefano Vezzani: il suo «Animali sapienti», da tempo esaurito, viene ora riproposto – e aggiornato – nei quaderni del Cicap: 222 pagine per 14 euri (o 4,99 se volete l’e-book) è disponibile presso tutti i bookstore online.
La sigla Cicap sta per «Comitato Italiano Controllo Affermazioni Pseudoscienze» e dunque è chiaro il punto di partenza. Ma il giusto scetticismo di Vezzani non limita il piacere del racconto, le sorprese, le domande sospese.
Fu soprattutto tra il 1904 e il 1920 che a partire dalla Germania e poi in tutto il mondo si discusse di animali sapienti o forse telepatici: molti cavalli (il più famoso fu Hans) e cani, pochi gatti ma anche il corvo Jakob che contava fino a 6. Vezzani ne elenca una cinquantina famosi.
Alcuni proprietari di questi animali sostennero che li avevano educati, giorno per giorno, come i fanciulli delle scuole elementari. Risultato? Erano in grado di leggere, scrivere, contare, fare equazioni e discutere di teologia. O così sembrò.
Esaminando il cavallo Hans, una commissione scientifica escluse che il proprietario fosse un imbroglione ma spiegò i risultati misteriosi con i movimenti involontari del suo padrone. Dietro la volontà di credere c’era un mix di addestramento degli animali e di auto-inganno, una cattiva comprensione della teoria evolutiva di Darwin ma soprattutto l’eterno «mi piace l’idea che ciò sia vero dunque dev’esserlo». Ma forse anche i continui sconvolgimenti scientifici dell’epoca spingevamo a credere che tutto fosse possibile.
Vezzani illustra un singolare bestiario – con molte foto e materiali d’epoca – ma ancor più gli umani protagonisti delle polemiche feroci che nacquero: fra loro anche illustri intellettuali e scienziati d’accordo… quasi su nulla.
Il libro accenna ai giorni nostri e ai tentativi di insegnare un linguaggio ad alcune scimmie. Dimentica però di raccontare una triste vicenda che illumina sui nostri rapporti perversi con gli animali “intelligenti”. Molti scienziati si dicono certi che i delfini hanno un linguaggio strutturato, dunque comunicare con loro potrebbe essere ragionevolmente facile. Eppure non si sono mai trovati soldi per un serio progetto di ricerca con un’eccezione: negli anni della Guerra Fredda i militari statunitensi e sovietici sono riusciti a farsi capire al punto da convincerli a portare esplosivi.
(*) Questa mia breve recensione è uscita – al solito: parola più, parola meno – sul quotidiano «L’unione sarda» del 28 maggio. In così poco spazio era impossibile dar conto di tutto, visto che il libro di Vezzani è ricchissimo di spunti (la psicofonia, la pareidolia, il pensiero magico del nazismo per dirne 3) e di storie. E ovviamente di animali, passati alla storia: dal cavallo Marocco (citato da Shakespeare in «Pene d’amore perdute») alla collie Bozzie che nel 1902 “andò a cena” con il presidente Roosevelt. A proposito di scetticismo ecco una frase interessante: «Lasciate pensare i cavalli che hanno la testa grande»: la si dice in Germania (chi sa se c’entra il cavallo Hans) e in altri Paesi, con varianti più o meno aggressive o ironiche quando qualche umano chiede “troppo” al suo cervello. Ma la grandezza della testa ovviamente non è in relazione con il buon pensare… anche se per secoli i maschi presunti scienziati si aggrapparono persino a quello per sostenere l’inferiorità femminile. Se invece vi interessano gli esperimenti per insegnare il linguaggio dei sordomuti ad alcune scimmie vi consiglio di partire dal libro (del 1984) «L’educazione di Kioko» di Francine Patterson ed Eugene Linden. Magari se ne riparlerà in blog, giocando a raffrontare quegli esperimenti con il suo “opposto” ovvero i casi di umani allevati da animali. I cinefili ricorderanno il film di Francois Truffaut ma un miglior punto di partenza potrebbe essere «La scimmia vestita» di Anna Ludovico (un libro del lontanissimo 1979) che racconta 47 storie di «ragazzi selvaggi» o vissuti «in totale isolamento», come accadde a quel Kaspar Hauser reso famoso da un altro grande regista, Werner Herzog. (db)

Redazione
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Un commento

  • la scimmia nuda…. non ricordo chi l’abbia scritto….
    interessante guida etologica su come l’uomo in fondo mantenga molti dei comportamenti istintivi animali

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