Parole parole…: le lingue nascoste in America

Riflessioni ad alta voce di una dilettante linguista. Un percorso di scoperte che parte da El Salvador, attraversa il Messico e il Cile per arrivare al popolo nordico degli inuit.

di Maria Teresa Messidoro (*)

No, non sono una linguista.

Ma mi piacciono le lingue.

Purché non sia l’inglese,

la lingua dei potenti.

Forse per la stessa ragione,

non mi attira nemmeno il cinese.

Mi piace navigare

in mezzo ai trabalenguas (1)

e ai giochi di parole,

scoprendo sinfonie nascoste.

La lingua nahuat, la sorella povera.

La lingua nahuat parlata in El Salvador è una variante del nahuatl messicano, considerato dai puristi più elegante proprio per quella liquida finale “tl”, che caratterizza molti nomi propri e sostantivi, e che a sud del Messico si è finita per elidere.

Sotto certi aspetti, il nahuatl classico è simile strutturalmente al tedesco, raggruppando sostantivi, aggettivi, articoli e preposizioni in un solo vocabolo.

Per dire, per esempio, “pianta di fiori gialli simili alla testa di un serpente”, il vocabolo corrispondente del nahuatl classico è cotziccoatzoentecoxochitl.

 

Provate ad inserirlo in un turno di gioco dell’impiccato (ricordate? è quel gioco che si da bimbi) e farete un figurone

La forma elegante per dire “grazie” in nahuatl è tlazohcamaticamomahuizohitin.

Idem

 

Il nahuat, secondo l’ultimo censimento, realizzato nel 2007, è parlato soltanto da 200 persone, che nel corso del tempo diminuiranno sempre di più, con il rischio che la lingua si estingua, come è già successo in El Salvador per la lingua lenca e il cacaopera.

Diventa dunque importante è il lavoro di quei collettivi, composti prevalentemente da giovani, che si propongono di rivitalizzare e addirittura insegnare il nahuat. Uno di essi è il gruppo “Tzunhejakat” (testa di vento).

Il problema, dichiara Rubén, uno dei membri del collettivo, è che “i nahuat parlanti sono talmente impegnati nel sopravvivere che l’insegnamento della lingua passa in secondo piano” (2)

 

Ugualmente significativa è la sfida di Héctor Josué Martínez Flores, insegnante di scuola elementare, diventato da poco uno dei 70 docenti specializzatisi in lingua nahuat e identità culturale: ha creato un canale su You Tube e una pagina facebook, “Timumachtikan”, per trasmettere i rudimenti della lingua nativa del suo paese, riscoprendone i valori ancestrali.

Sulla sua pagina facebook scopriamo ad esempio che nuishkalyu può essere tradotto con viso; ma in realtà, in lingua nahuat, la traduzione esatta sarebbe la casa dei miei occhi.

La parola niyultaketza potrebbe tradursi invece semplicemente come “pensare” ma se si scompone questa parola nelle sue componenti della lingua nahuat il suo significato profondo dovrebbe essere ciò che dice il mio cuore.

Héctor non si ferma qui, costruendo in nahuat frasi come questa:

Taja tikpia muchi tay naja niktemua wan tesu ti Google.

Tradotto: tu hai ciò che cerco e non sei Google. (3)

Un azzardo.

Una scommessa per il futuro

Il piccolo principe in tsotsil.

Chi non ha letto “Il piccolo principe” alzi la mano.

Di più: trovate la sua traduzione in molti dialetti italiani, in corso, in catalano…

Ma scoprire che è stato tradotto in lingua tsotsil mi ha emozionato.

La situazione sociale e politica dello stato del Chiapas, in Messico, non è tranquilla: ci si trova di fronte a continui attacchi e sgomberi di popolazioni indigene nella zona cosiddetta dell’Alto, o al trattamento discriminatorio e inumano nei confronti delle carovane di migranti che si giocano la vita per giungere negli Stati Uniti.

Nonostante ciò, il chiapaneco Xun Betán, parlante tsotsil, è riuscito in mezzo a mille traversie, a pubblicare la traduzione nella sua lingua di quel libro che l’avevo colpito tanti anni fa e che voleva restituire nella sua lingua alle nuove generazioni. L’argentino Javier Merás ne ha curato la parte grafica, arricchendola di immagini di origine maya  (i numeri dei capitolo sono in tsotsil ad esempio) (4)

Ja’ no’o xich’ ilel lek ta ko’ontontike. Te slekilale mu xvinaj ta jsatike: 

Si vede bene solo con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.

 

Ma in Chiapas non c’è solo la traduzione del testo di Antoine de Saint Exupéry: un gruppo di maestri ed ingegneri della regione, da più di dieci anni hanno progettato e implementato una rete intranet, la Intrabach, per diffondere contenuti in tzeltal, un’altra lingua originaria della regione. Ora la rete mette a disposizione circa 5000 testi in spagnolo e la lingua originaria in più di 35 centri scolari in piccoli villaggi dove la connessione interneti è limitata o addirittura assente. In Chiapas, soltanto il 16% della popolazione ha accesso a internet.

“Il proposito del progetto è quello di far conoscere la lingua del mio popolo, condividere la sua scrittura e la sua cultura, superando i confini della nostra terra”, afferma Hérnandez Gómez, uno dei collaboratori di Intrabach.

Molti dei fondatori di questa rete intranet, che sta svolgendo un prezioso lavoro educativo al tempo della pandemia COVID, fanno parte del collettivo “Ik’ ta K’op”, traduzione di “parola nel vento”. (5)

Non possiamo che augurare ai chapanechi

tzeltal

İlek me xbaat!

Buona fortuna

La lingua mapuzungun nelle strade di Santiago insorta (6)

 

 

 

Prima del 18 ottobre 2019, il giorno dell’insurrezione in Cile, il mapuzugum, la lingua mapuche, non si ascoltava per le strade, non era una lingua pubblica, il suo uso era più che altro simbolico. Ma i semi buttati e coltivati dai kimelfe (insegnanti) nelle scuole e nei collettivi sono germogliati in questa “primavera” cilena.

Così si è scoperto che lo spagnolo non è certo una lingua pura, ma è stato invece arricchito dalle lingue indigene, perché i diversi popoli che si sono incontrati si sono scambiati i saperi; alcuni esempi: guagua (bebè) è una parola quechua, pololo (fidanzato) è un termine mapuche, chocolate è nahuatl e così via.

La popolazione mapuche ha un peso in Cile: a Santiago del Cile vivono 614.000 persone di origine mapuche, il 35% del totale del gruppo etnico linguistico presente sul territorio nazionale. I dati del censimento del 2017 confermano che il 10% della popolazione della regione metropolitana è indigena, composta da aymara, quechua, rapanui, diaguita, colla, selkham, yagan e mapuche.

Così, accanto alla bandiera mapuche, la wenufoye, anche la lingua originaria è diventata strumento di ribellione, orgoglio e speranza.

Una ricerca sulle scritte dei muri delle città, soprattutto nei primi giorni dell’insurrezione popolare, ha scovato frasi come queste:

Amulepe tayiñ weichan, che la nostra lotta continui

Wewaiñ vinceremo

Marichiwew, vinceremo dieci volte

Petu weichatuiñ chew pũle mũlepaiñ, continuiamo sempre a lottare dovunque tu voglia stare

 

Sicuramente la lingua mapuche è una lingua evoluta, che permette la rappresentazione di pensieri profondi, di astrazioni, di sentimenti sottili.

Ecco un esempio: la parola madken andrebbe tradotta  connebbiolina che si forma per una forte evaporazione in mare, passa terra e si alza, formando nubi che vengono dissolte dalle corenti d’aria o son portate fin sulle regioni alte”.

 

Questa definizione sfida le più complesse della settimana enigmistica.

Ma a me piace molto kimidanun:

saper parlare un poco,

quanto basta per farsi capire.

 

All’altro capo del continente: gli Inuit e la neve (7)

Tuktu, un caribù.

Tukujuak, un grande caribù.

Tuktujuakseokniakpunga, io caccerò un grande caribù.

Le lingue Inuit sono parlate nell’artico Nord Americano e nella zona subartica di Labrador in Canada. Le lingue sono suddivise in 4: Inuktitut, Inupiatun (Inupiat), Inuvialuktun, Kalaallisut (Groenlandia). Si stima che le lingue siano parlate globalmente da circa 100 000 persone.

La maggior parte delle persone che parlano Inuit sono nella Groenlandia dove è considerata una lingua ufficiale. In Canada le varietà di lingue Inuit sono chiamate Inuktitut. È riconosciuta come lingua ufficiale (insieme all’inglese e francese) nel Territorio Nunavut e nel Territorio del Nord Ovest (insieme ad altre lingue indigene). Nel Nunavik (nel Quebec) è riconosciuta come una lingua ufficiale scolastica ed è riconosciuta anche nella zona Nunatsiavut nel Labrador. L’Inuit non ha uno status ufficiale negli Stati Uniti.

 

Il numero di parole che si riferiscono alla neve (e anche al ghiaccio) dipende se si considera le parole basilari o quelle che sono derivate da altre parole. Quelle basilari per la neve secondo il linguista e missionario Lucien Schneider (Ulirnaisugutiit: An Inuktitut-English Dictionary of Northern Quebec, Labrador and Eastern Arctic Dialects, 1985), sono 12. Alcuni esempi:

 

qanik – neve che sta cadendo
aputi – neve per terra
pukak – neve polverosa e cristallina per terra
aniu – neve utilizzato per fare acqua

matsaaruti – neve melmosa utile per brinare la lama della slitta

Nonostante ciò, ci sono varianti secondo il contesto: per esempio, nel Nunavik maujaq vuol dire la neve nella quale si affonda; è un termine generale che si può anche applicare a qualsiasi terreno molle, ma che in inverno può solo significare una copertura di neve nella quale il piede affonda.

L’Inuktitut è una lingua con parole che hanno un elemento di base (il radicale) che fornisce il significato basilare con degli affissi che chiarificano o modificano il significato così creando nuove  parole. Per esempio, se qanik significa neve che sta cadendo, qanittaq vuol dire neve appena caduta.

Quindi, se si prendono in considerazione le parole generiche utilizzate nel contesto invernale e le parole con affissi, più i vari dialetti, ci sono senz’altro più di 50 parole che si riferiscono alle qualità della neve.

Se effettivamente l’inuktitut sia la lingua con il maggiore numero di parole che indicano la neve è un tema su cui dibattono i linguisti ortodossi da anni; alcuni sostengono, ad esempio, che sia lo scozzese la lingua con più termini attinenti alla neve, addirittura 421.

Resta il fatto che la neve è un elemento metereologico fondamentale nella vita del popolo inuit: comunicare in modo esatto e preciso in merito alle condizioni del tempo era ed è in parte ancora fondamentale per la sopravvivenza quotidiana.

Un popolo che cerca di preservare la propria cultura e quindi la propria lingua, anche attraverso  una organizzazione nazionale, la Inuit Tapirisat del Canada (tapirisat significa fraternità eskimo). Per poter vivere con dignità  nel Nunavut, cioè “la nostra terra”.

Sicuramente con la neve. (7)

“– Quando io uso una parola, – disse Humpty Dunty in tono d’alterigia, – essa significa ciò che appunto voglio che significhi: né più né meno.
– Il problema è, – disse Alice, – se voi potete dare alle parole tanti diversi significati.
– il problema è, – disse Humpty Dunty, – chi è il padrone….”

Lewis Carroll, Attraverso lo specchio

 

e qui la storia di Hector, incredibilmente in italiano https://it.globalvoices.org/2020/06/intervista-a-hector-josue-martinez-flores-attivista-digitale-della-lingua-nawat/

 

(*) vicepresidente Associazione Lisangà culture in movimento, www.lisanga.org

 

 

Teresa Messidoro

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