Peltier, prigioniero dell’uomo bianco

Intervista al poeta e attivista Lakota-Oglala Luke Warm Water, in Italia per reading e incontri (domani e dopodomani) in sostegno del detenuto politico Leonard Peltier, emblema dei prigionieri nativi americani.

di Marco Cinque (*)  

Luke Warm Water, alias Kurt Schweigman, è un poeta e attivista Oglala Lakota cresciuto a Rapid City, nel South Dakota. La sua poetica è stata considerata una fusione tra Sherman Alexie, Charles Bukowski e Tom Waits. È stato il primo “spoken-word poet” cioè poeta della parola orale a ricevere il premio Archibald Bush Foundation ed è stato un artista di spicco al prestigioso Geraldine R. Dodge, durante la 12° Biennale di Poesia Festival.
Luke è avvocato ed epidemiologo: attualmente vive a Oakland, in California. Il prossimo 21 e 22 novembre sarà in Italia, a Roma, per un reading organizzato dall’associazione
Café Voltaire e per un incontro in un istituto scolastico, il liceo Morgagni, a testimoniare contro le discriminazioni che ancor oggi si consumano ai danni dei popoli nativi negli Usa, ma soprattutto a promuovere la causa del detenuto politico Leonard Peltier, tra i primi fondatori dell’American Indian Movement.

Peltier, nativo di ascendenza OjibwaLakota, fu condannato a 2 ergastoli nel 1975, dopo essere stato ingiustamente accusato dall’Fbi di 2 omicidi avvenuti nella Riserva di Pine Ridge. Da allora Peltier è rinchiuso in una cella, a scontare un sentiero di lacrime che sta durando ormai da più di 37 anni. Oltre che da il manifesto, la causa di Peltier è stata sostenuta, tìfra gli altri, dal Dalai Lama, da Desmond Tutu, ma anche da artisti come Robbie Robertson e Bruce Springsteen che gli hanno dedicato brani musicali.
Luke Warm Water è membro delle
Rpb, Revolutionary Poets Brigade, gruppo nato durante Occupy San Francisco e fondato da Jack Hirschman, Bob Coleman, Sarah Menefee e Cathleen Williams. Le Rpb da allora sono cresciute, arrivate anche in Europa, con un gruppo attivo a Roma che affiancherà Luke nel reading capitolino. Attualmente la tribù poetica internazionale delle Rpb è molto presente soprattutto nel vivo del tessuto sociale (scuole, piazze, carceri, periferie, ecc.) con esibizioni perfino a Bagdad, portando la parola di quei poeti che sostengono la voce dei poveri, degli ultimi, degli oppressi, dei discriminati.
Grazie quindi alla presenza di Luke Warm Water, torniamo a parlare di Peltier e dell’attuale situazione in cui versano i popoli nativi del Nord America.
Prima di tutto, Luke, volevamo sapere quali sono le ultime notizie su Peltier.
Le notizie più recenti su Peltier si possono leggere sul sito www.whoisleonardpeltier.info.

Invito i lettori a leggerlo, a firmare la petizione per il suo rilascio, a scrivere e inviare a Leonard un biglietto di auguri al suo indirizzo nella prigione della Florida che è reperibile sul sito. La salute di Leonard è andata peggiorando negli ultimi anni ed è più importante che mai che il presidente Obama gli conceda la grazia per consentirgli di vivere come un uomo libero i suoi ultimi anni insieme alla famiglia, ai suoi amici e agli Oyate, il suo popolo.

Peltier è solo la punta dell’iceberg di discriminazione e razzismo che si consuma nei tribunali e nelle carceri degli Usa. Percentualmente infatti i Nativi sono in cima alla classifica delle incarcerazioni come delle condanne capitali e possono inoltre “godere” di leggi razziali come la Major Crime Act. Credi che qualcosa stia cambiando o che ancora si possa cambiare?
Non è cambiato nulla per i nativi americani. La percentuale dei nativi dell’intera popolazione carceraria negli Stati Uniti è superiore a quella di qualsiasi altro gruppo etnico. Peraltro, a parità di crimini commessi, i nativi vengono puniti più severamente nel Sud Dakota rispetto ai bianchi.

Ci sono segnali di “risveglio” delle popolazioni native nordamericane, anche quelle canadesi, con il movimento di protesta Idle No More (mai più passivi), di cui abbiamo dato notizia su il manifesto. Che ne pensi?
Idle No More è un movimento molto importante per i nativi e per le popolazioni autoctone di tutto il pianeta. Ho partecipato a un evento organizzato da Idle No More a Oakland a inizio anno. È stato un bell’evento con molti partecipanti.
Qual è la situazione attuale delle popolazioni native negli States?
E’ una domanda complessa poiché esistono più di 500 tribù negli Stati Uniti. Vi è ad esempio il problema della nuova copertura sanitaria nazionale (Obamacare). Non sappiamo ancora che impatto avrà sui nativi americani poiché molti di loro e delle tribù hanno una copertura sanitaria minima come previsto dal governo. Io mi batto molto per migliorare la salute mentale dei nativi americani in California. Vedo un movimento per favorire il benessere fra le comunità indiane che si basa prevalentemente sulle tradizioni culturali e sulla spiritualità e questa è una cosa positiva. Sono inoltre a conoscenza di un progetto nel sud della California dove la clinica di una tribù fa uso di poetry slam per migliorare il benessere dei giovani nativi americani.

Secondo te che ruolo sociale, culturale e politico può avere oggi la poesia, in un mondo dove i linguaggi sono sempre più complessi, tecnologizzati e autoreferenziali?
L’appartenenza alle Revolutionary Poets Brigade ha permesso a molti di venire a conoscenza delle ingiustizie subite dai nativi. Sono molto grato a Agneta Falk e a Jack Hirschman per avermi accolto nella Rpb di San Francisco e a tutti gli altri membri con i quali ho stretto amicizia. Entrare a far parte della Rpb è stato come un proseguimento del mio lavoro iniziato negli anni Novanta, quando scrivevo e portavo in scena la mia poesia per sensibilizzare l’opinione pubblica sul caso Peltier. Ho aiutato a organizzare eventi di raccolta fondi, scritto lettere ed effettuato campagne grazie alla mia poesia. Inoltre, ho partecipato a eventi organizzati in nome di Peltier. Attualmente sto organizzando un evento che si terrà a San Francisco il 6 febbraio 2014, in occasione del 38° anno dell’incarcerazione di Leonard. Si chiamerà «Poetry for Peltier» (Poesia per Peltier) e vedrà la partecipazione di diversi poeti nativi americani della Bay Area di San Francisco.

Da quel che ho capito tu usi la parola poetica non come forma di vanità, affermazione individuale o esibizione e in particolare prediligi la parola detta piuttosto che quella scritta. C’è una ragione particolare?
Preferisco entrambe le modalità, a dire il vero. La scrittura può essere molto emozionante quando si assiste alla nascita di una nuovo testo su carta (o sullo schermo di un computer) così come è emozionante portare in scena la poesia davanti a un gruppo di decine o di centinaia di persone. Sebbene non partecipi più ai poetry slam, ne ho vinti diversi in tutti gli Stati Uniti e due in Germania. Per un poeta nativo americano gareggiare per la vittoria ha un grande impatto ed è un atto di rivendicazione. Percepisco che il pubblico si diverte e al contempo impara.

(*) pubblicato su «il manifesto» del 19 novembre, traduzione di Alessandra Bava

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *