Pena di morte: 3 storie inverosimili dagli Usa

Testi ripresi dal «Foglio di collegamento» del Comitato Paul Rougeau. A seguire la presentazione e il sommario del numero 271

L’unica esecuzione capitale portata a termine negli Stati Uniti durante l’attuale pandemia è stata quella di Walter Barton che ha ricevuto l’iniezione letale nel carcere di Bonne Terre in Missouri il 19 maggio.

Walter Barton fu condannato a morte con l’accusa di aver ucciso, nell’ottobre del 1991, l’81enne Gladys Kuehler, che gestiva un parcheggio di roulotte. La donna fu trovata nel suo letto, colpita da oltre 50 coltellate, di cui una che le squarciava la gola da un orecchio all’altro. Prima di essere uccisa l’anziana donna era stata picchiata e stuprata.

L’unica prova fisica che collegò Barton al crimine era costituita da piccole macchie di sangue sulla sua camicia, che un test del DNA comprovò essere il sangue di Gladys Kuehler.

Barton dichiarò di essersi macchiato in quel modo quando il delitto fu scoperto ed egli si avvicinò per allontanare una nipote dal cadavere della donna uccisa.

Un’altra prova del tutto inaffidabile fu fornita da una detenuta che riferì che Barton minacciò di ucciderla “come aveva fatto con la vecchia signora”. Costei aveva 30 reati a carico, e una delle accuse contro di lei era stata cancellata in cambio della sua testimonianza contro Barton.

Durante il processo originale la difesa di Barton non presentò un esperto di macchie ematiche che avrebbe potuto dimostrare come fosse impossibile che solo pochissime goccioline si trovassero sulla camicia dell’assassino, considerata la brutalità dell’omicidio e il largo spargimento di sangue.

Nel corso degli anni Barton, che ha sempre asserito la sua innocenza, fu processato cinque volte. I primi due processi furono annullati per difetti di forma (in uno la giuria non riuscì ad accordarsi sulla colpevolezza dell’imputato), il terzo e il quarto portarono a una condanna ma furono poi annullati per il comportamento scorretto dell’accusa. Il quinto processo, nel 2006, fu spostato in un’altra contea. Questo si concluse con la condanna a morte di Barton.

Nel 2007 la Corte Suprema del Missouri convalidò la condanna di stretta misura, con una votazione di 4 contro 3. Uno dei tre giudici dissenzienti fece notare che sul cadavere della vittima era stato trovato un capello che non apparteneva a Barton.

Recentemente, a distanza di quasi trent’anni dall’inizio di questa drammatica vicenda, gli avvocati difensori di Walter Barton, ormai 64enne, avevano trovato un esperto disposto a testimoniare come le macchie sulla camicia del condannato non potevano essere state provocate da schizzi durante l’omicidio.

Adesso anche quattro dei giurati del processo del 2006 avevano detto di essere disposti a rivedere le loro opinioni originarie sulla base delle nuove scoperte. Gli avvocati difensori avevano anche chiesto alle corti di prendere in considerazione il fatto che Barton, in seguito a un trauma al cervello, era spesso in stato confusionale e incapace di prendere decisioni appropriate. Quest’ultima richiesta era stata già respinta dalla Corte Suprema del Missouri il 2 maggio. La corte affermò che la malattia mentale di Barton non era tale da non fargli capire che sarebbe stato messo a morte e perché. Questo è infatti lo standard fissato dallo stato del Missouri per consentire l’esecuzione di un malato di mente.

Nonostante tutte queste motivazioni, e con l’imperversare negli Stati Uniti del coronavirus, il Missouri ha deciso di mettere a morte Barton. Mentre tutti gli altri stati USA hanno temporaneamente sospeso i processi e le esecuzioni, il governatore del Missouri, Mike Parson, ha detto che non era necessario sospendere l’esecuzione di Walter Barton, in quanto il carcere avrebbe potuto garantire di svolgere tutta la procedura senza mettere a rischio la salute delle persone coinvolte.

La difesa obiettò anche che il “lockdown” di questo periodo impediva agli avvocati di trovare nuove prove atte a fermare l’esecuzione e che il governatore non avrebbe avuto il tempo di esaminare con attenzione le prove di innocenza, preso com’era dalla gestione dell’emergenza coronavirus.

Sulla base di queste giuste motivazioni, venerdì 15 maggio il giudice federale distrettuale Brian Wimes ha sospeso l’esecuzione di Barton, rinviandola per almeno 30 giorni. Wimes ha osservato che occorreva più tempo dei soli tre giorni rimasti, per entrare nel merito del caso.

Il Procuratore Generale del Missouri ha subito reagito rivolgendosi alla Corte federale d’Appello dell’Ottavo Circuito per far annullare la sospensione. Ebbene, contro tutte le aspettative, la sera di domenica 17 maggio è stata resa nota la decisione di tale Corte di annullare la sospensione, riconfermando così l’esecuzione per il 19 maggio.

Già nelle settimane precedenti, e ancor di più alla notizia dell’annullamento della sospensione, le organizzazioni abolizioniste e tanti privati cittadini da tutto il mondo hanno inviato al Governatore oltre 5000 petizioni chiedendo di sospendere o quantomeno rinviare l’esecuzione di Barton. Alcune petizioni sono partite anche dall’Italia.

Tutto inutile. Il governatore ha rifiutato ogni forma di clemenza e ha anzi confermato che non intendeva fermare l’esecuzione neppure per ragioni di sicurezza sanitaria. La portavoce del Dipartimento Penale, Karen Pojmann, ha dichiarato: «Abbiamo un solido piano di contenimento del virus e protocolli di sicurezza sanitaria. Limiteremo il numero dei testimoni in ogni stanza. Abbiamo ampio accesso a disinfettanti, mascherine per il viso e altre attrezzature, se necessario».

Nel carcere di Bonne Terre in Missouri dove si effettuano le esecuzioni vi sono tre stanze per i testimoni: una per i familiari della vittima, una per i familiari del condannato e una per i rappresentanti dei media.

Il 19 maggio i testimoni sono stati fatti entrare nelle tre stanze (nessun familiare o amico della vittima era presente), dotati di mascherine e di disinfettante (il personale del carcere però andava e veniva nelle stanze senza mascherine).

Walter Barton, legato al lettino, ha pronunciato le sue ultime parole, riaffermando la sua innocenza: «Io, Walter ‘Arkie’ Barton, sono innocente e stanno mettendo a morte un uomo innocente!».

Dopo che le sostanze letali gli sono state inoculate, ha respirato affannosamente cinque o sei volte, poi tutto è finito. Walter Barton è stato dichiarato morto alle 18:10’ del 19 maggio.

L’esecuzione di Walter Barton è stata l’unica negli Strati Uniti nel corso dell’attuale pandemia.

Un altro omicidio di stato portato a termine frettolosamente, senza esaminare ulteriori prove, mettendo a rischio di contagio persone partecipanti al lugubre rito in un momento di drammatica pandemia negli USA e in Missouri in particolare. L’omicidio di un uomo probabilmente innocente. Ancora una volta ci chiediamo sgomenti: “Cui bono?”

 

INDENNIZZATI DOPO AVER PASSATO DECENNI IN CARCERE NELL’OHIO

Un certo numero di milioni di dollari possono compensare decenni passati ingiustamente in carcere?

Kwame Ajamu, Wiley Bridgeman e Rickey Jackson

Tre ex condannati a morte che, a causa della malvagia condotta della polizia, hanno trascorso decenni in carcere per un omicidio non commesso hanno vinto una causa civile contro lo stato dell’Ohio. I tre riceveranno complessivamente un indennizzo di 18 milioni di dollari.

I neri Kwame Ajamu, Wiley Bridgeman e Rickey Jackson erano stati condannati a morte nel 1975 per la rapina e l’uccisione del bianco Harold Franks sulla base della falsa testimonianza di Eddie Vernon, un ragazzo di 12 anni costretto a mentire dalla polizia. La polizia, oltre a costringere il ragazzo, utilizzò false prove a carico e nascose prove di innocenza.

I tre furono processati quattro mesi dopo l’omicidio, ma la loro assoluzione ha richiesto quattro decenni.

Vernon, il testimone chiave, ha ritrattato e ha testimoniato che la polizia aveva minacciato di mandare in prigione i suoi genitori se non avesse collaborato. All’epoca delle minacce della polizia, la madre di Vernon era affetta da cancro.

Quando furono processati, Ajamu aveva 17 anni, Jackson ne aveva 18 e Bridgeman ne aveva 20. Nessuna prova fisica li collegava all’omicidio.

I tre uomini furono condannati a morte. Le sentenze capitali di Ajamu e Bridgeman furono commutate nel 1978 quando la pena di morte dell’Ohio fu dichiarata incostituzionale per come era amministrata allora.

Ajamu fu liberato sulla parola nel 2003.

La condanna di Jackson fu annullata nel 2014 ed egli fu liberato: al momento del rilascio, Jackson aveva trascorso in carcere 39 anni, tre mesi e nove giorni.

L’indennizzo è il più elevato mai concesso per la cattiva condotta della polizia dell’Ohio. Jackson riceverà il 40% dell’indennizzo, Bridgeman e Ajamu si divideranno il resto. Quando è stato raggiunto l’accordo, Ajamu ha detto: «Il denaro non può comprare la libertà e il denaro non è il riconoscimento dell’innocenza» ma ha spiegato che lui e gli altri si sono accordati perché non c’era altro modo di «dire al mondo che è stato fatto un torto a tre ragazzi neri 45 anni fa».

La causa civile e il risarcimento mettono in rilievo la cattiva condotta della polizia, che ha fabbricato prove false, ha nascosto prove di innocenza e poi ha costretto Vernon a mentire sul banco dei testimoni al processo.

Il dipartimento di polizia di Cleveland riceve continuamente accuse di cattiva condotta. Tra il novembre 2014 e il febbraio 2017, sono stati pagati 26 risarcimenti per un totale di 13,2 milioni di dollari.

 

CONDANNATO A MORTE IN GEORGIA LIBERATO DOPO 43 ANNI DI DETENZIONE

Uno strano patto stipulato con lo stato della Georgia ha consentito al detenuto Johnny Lee Gates di tornare in libertà dopo 43 anni di detenzione, 26 dei quali nel braccio della morte. Gates – pur senza ammettere la sua colpevolezza – ha riconosciuto che la Georgia aveva abbastanza prove per condannarlo.

Johnny Lee Gates

È tornato in libertà dopo aver passato 43 anni in prigione, dei quali 26 nel braccio della morte, il georgiano Johnny Lee Gates.

Johnny Gates fu condannato a morte nel 1977, in un processo durato solo 3 giorni, per lo stupro, la rapina a mano armata e l’omicidio di Katharina Wright, una 19enne arrivata dalla Germania 12 giorni prima per far visita a suo marito, un militare di stanza a Fort Benning. Nel 2003 Gates fu riprocessato e condannato all’ergastolo senza possibilità di uscita sulla parola.

Appena tornato in libertà, il 15 maggio, Gates ha dichiarato: «Ho lottato per 43 anni perché si avverasse questo giorno. Ho sempre avuto fiducia che questo giorno sarebbe arrivato. Sono innocente. Non ho commesso quel crimine. Quello che mi è successo è qualcosa che non dovrebbe accadere a nessuno. Ma non sono amareggiato. Ringrazio Dio di essere qui, e sono felice di essere in libertà».

Gates aveva appena concluso uno strano patteggiamento detto “Alford plea” durante il quale, pur non ammettendo di essere reo dell’omicidio di Katharina Wright, ha ammesso che lo stato della Georgia aveva abbastanza prove per condannarlo.

Sulla base del patteggiamento, Gates è stato condannato a 40 anni di detenzione per omicidio colposo. Avendone già scontati 43, è tornato in libertà.

Gates a suo tempo confessò alla polizia di aver commesso l’omicidio ma i suoi avvocati hanno contestato il fatto che egli fu costretto a confessare. Nel corso del processo l’accusa sostenne che egli aveva legato strettamente la sua vittima con una cravatta e con la cintura di un accappatoio, prima di ucciderla.

Si interessarono al caso di Johnny Lee Gates sia l’associazione Georgia Innocence Project che il Southern Center for Human Rights.

Nel 2015 da una serie di test del DNA risultò che sulla cravatta e sulla cintura con le quali era stata uccisa Katharina Wright c’era il DNA di 5 persone ma non quello di Johnny Gates.

Ciò portò il giudice John Allen, colui che aveva chiesto i test del DNA sui corpi del reato, a chiedere un nuovo processo per Gates. Nel chiedere un nuovo processo il giudice Allen contestò anche l’esclusione dalla giuria di potenziali giurati di colore da parte dell’accusa.

La procedura innescata dal giudice Allen arrivò fino alla Corte Suprema della Georgia. Il 13 marzo scorso tale corte ha scritto che «le prove del DNA ora disponibili per Gates pongono significativi dubbi riguardo alla teoria dello stato secondo cui Gates fu il perpetratore del delitto». Ora l’ “Alford plea” ha chiuso il caso.

PRESENTAZIONE DEL NUOVO NUMERO DEL «FOGLIO DI COLLEGAMENTO» (A SEGUIRE IL SOMMARIO)

Questo numero rispetto al precedente si occupa meno del Coronavirus che sembra sfumare nei fatti e nella percezione della gente.

Il primo articolo parla comunque del Coronavirus che il Missouri ha ignorato portando a termine l’esecuzione di Walter Barton, probabile innocente. Costui è morto dopo aver detto: «Io, Walter ‘Arkie’ Barton, sono innocente e stanno mettendo a morte un uomo innocente!».

Svariati milioni di dollari possono costituire un congruo indennizzo per decenni passati ingiustamente nel braccio della morte? I tre detenuti dell’Ohio che li hanno ricevuti non ne sono convinti.

Uno strano patto stipulato con lo stato della Georgia ha consentito a Johnny Lee Gates, che si è sempre dichiarato innocente, di tornare in libertà dopo 43 anni di detenzione, 26 dei quali nel braccio della morte. Gates – pur senza ammettere la sua colpevolezza – ha dovuto dichiarare che la Georgia aveva abbastanza prove per condannarlo!

In questo numero si parla di ciò che accade oggi e di quello che è accaduto nel passato in vari paesi del mondo. Ci sono buone notizie ma anche terribili cronache di quello che fanno gli stati e di quello che fanno coloro che poi vengono condannati a morte.

Vi ricordo che gli articoli comparsi nei numeri precedenti del Foglio di Collegamento, ai quali rimandano le note in calce ad alcuni articoli di questo numero, si trovano nel nostro sito www.comitatopaulrougeau.org

Giuseppe Lodoli, per il Comitato Paul Rougeau

FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO DEL COMITATO PAUL ROUGEAU: numero 271 – Maggio 2020

SOMMARIO

Nonostante il Covid-19 ucciso in Missouri un probabile innocente

Indennizzati dopo aver passato decenni in carcere nell’Ohio

Condannato a morte in Georgia liberato dopo 43 anni di detenzione

“Sono entrato nel braccio della morte, quello che ho visto mi ha fatto star male”

USA: un altro passo verso la ripresa delle esecuzioni federali

Perdonati dai figli di Khashoggi gli assassini sauditi del padre

Abolita la pena di morte in Ciad

In Bangladesh incombe l’esecuzione di ATM Azharul Islam

Torture ed esecuzioni di streghe in Inghilterra

Notiziario: Corea del Nord, Iran, Ohio, Somalia

Scriveteci all’indirizzo paulrougeau@tiscali.it per comunicarci il vostro parere su quanto scriviamo, per chiederci ulteriori informazioni riguardo ai temi trattati, per domandarci dell’andamento delle nostre campagne in corso, per esprimere il vostro accordo o il vostro disaccordo sulle posizioni che assumiamo.

Pagina Facebook: Amici e sostenitori comitato Paul Rougeau contro la pena di morte

Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 31 maggio 2020

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È di vitale importanza per il Comitato potersi giovare dell’entusiasmo e delle risorse personali di nuovi aderenti. Pertanto facciamo affidamento sui nostri soci pregandoli di trovare altre persone sensibili alla problematica della pena di morte disposte ad iscriversi alla nostra associazione.

Cercate soci disposti anche soltanto a versare la quota sociale.

Cercate soci attivi. Chiunque può diventare un socio ATTIVO facente parte dello staff del Comitato Paul Rougeau.

Cercate volontari disposti ad andare a parlare nelle scuole dopo un periodo di formazione al seguito di soci già esperti.

Cercate amici con cui lavorare per il nostro sito Web, per le traduzioni. Occorre qualcuno che mandi avanti i libri in corso di pubblicazione, produca magliette e materiale promozionale, organizzi campagne e azioni urgenti, si occupi della gestione dei soci, della raccolta fondi ecc.

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