Pensieri per i giorni che seguono l’8 marzo

In questo «Ci manca(va) un Venerdì» numero 96 Fabrizio Melodia si azzarda a ragionare di femminismi, di capitale, di ricchezza sociale, di patriarcato e di ambivalenze

«Quello che volevo era che tutte le donne potessero godere dei loro diritti. Ma ci sono cose, dentro al femminismo, che mi ricordano l’intolleranza delle religioni» affermava in un’intervista la ex tennista e attivista femminista statunitense Billie Jean King. Parole che potrebbero essere provocatorie soprattutto a ridosso dell’8 marzo e dello sciopero generale delle donne. Eppure Billie Jean King non è l’unica voce critica a un femminismo “religiosamente” praticato; ecco Marguerite Yourcenar: «C’è un femminismo estremista che non amo. […] Soprattutto per due suoi aspetti. Il primo: l’ostilità verso l’uomo. Mi sembra che nel mondo ci sia già troppo ostilità – bianchi e neri, destra e sinistra, cristiani e non cristiani, cattolici e protestanti – che non c’è bisogno di creare un altro ghetto. […] Il fatto di considerare che sia un progresso per la donna moderna mettersi nella stessa condizione dell’uomo moderno – il manager che fa affari, il finanziere, il politico – senza vedere il lato assurdo e anche inutile di queste attività».

Altra faccia della medaglia è che oggi alcune donne, soprattutto giovani, fanno carta straccia dei diritti, delle lotte e della coscienza politica che altre – prima di loro – hanno portato avanti con lotte durissime. Ma sempre oggi sono tante quelle che, grazie a una coscienza femminista, si impegnano contro il patriarcato, vecchio e nuovo, il pensiero e le pratiche del sessismo, le discriminazioni e la violenza d’ogni giorno che si traducono anche in un numero impressionanti di femminicidi.

La voce di Isabel Allende resta attualissima: «Ho sempre avuto ben chiaro che dovevo lavorare, perché non esiste femminismo che si rispetti che non sia basato sull’indipendenza economica». Le donne andando a lavorare – o meglio a fare un secondo lavoro, oltre quello di “cura” che resta quasi sempre loro relegato – rivendicano le stesse possibilità elargite al maschio ma chiedono anche un mutamento nell’organizzazione del lavoro che non penalizzi più la maternità e la famiglia. Logica vorrebbe che finalmente si attuassero buone politiche di parità mettendo sullo stesso piano anche i maschi, e infatti in alcuni Paesi ormai i permessi parentali sono per ambo i sessi.

Forse i femminismi possibili sono molti. Uno riformatore e uno rivoluzionario oltre a uno, minoritario di certo, con quelle punte integraliste dette sopra. Ma questa discussione, così interessante teoricamente, ha senso nella concretezza di alcuni Paesi – l’Italia in testa – dove siamo ancora al sessismo quasi assoluto con tanto di avallo clericale alla donna geneticamente e/o divinamente inferiore? E dove a parità di lavoro non corrisponde parità di paga?

La tuttora odiatissima – dai clericofascisti – Simone de Beauvoir (*) ha scritto: «Non ho mai nutrito l’illusione di trasformare la condizione femminile, essa dipende dall’avvenire del lavoro nel mondo e non cambierà seriamente che a prezzo di uno sconvolgimento della produzione. Per questo ho evitato di chiudermi nel cosiddetto femminismo». La sovversione dunque dei sistemi di produzione porterà a una vera emancipazione della donna? Proviamo a estremizzare questa tesi rubando una provocazione, non banale, di Piero Angela: «Quando mi capita di partecipare a qualche dibattito sulla liberazione femminile, mi diverto a scandalizzare l’uditorio cominciando con una battuta in apparenza feroce e irriverente: “La liberazione della donna è un sottoprodotto del petrolio”…». Prima di indignarsi con Piero Angela vale riflettere che – riassumo il suo pensiero – è la disponibilità di energia (e di tecnologia) che permette a tutti noi, donne comprese, di uscire dal sottosviluppo, e di accedere a nuovi beni e a nuovi ruoli. Non è una tesi nuova e almeno in parte è surrogata dai fatti. Ma allora ogni emancipazione e liberazione è solo il sottoprodotto dello sviluppo capitalista? Nei suoi punti alti ci sono i benefici, durante le crisi si torna a stringere la cinghia materiale e/o simbolica? Chi sa di storia contemporanea ricorderà che contro questa impostazione l’operaismo italiano degli anni ’70 parlò di “autonomia operaia” rispetto al ciclo del capitale; con il sottinteso che esiste una ricchezza da distribuire e non solo… le briciole. Può valere anche per una “autonomia delle donne” rifiutando cioè la tesi – più o meno esplicita – che esse possano godere di certe libertà solo nei punti alti dello sviluppo capitalista? E’ un discorso complesso e perfino un “astrofilosofo” come me è in imbarazzo di fronte alle tante variabili economiche e politiche… con due catastrofi – quella ecologica e l’altra del riarmo – all’orizzonte. Perciò qui mi fermo e invito alla discussione e allo studio.

A coloro (disinformati o in malafede) che invece temono l’improbabile “vendetta” delle femministe regalo queste recenti riflessioni di Michela Marzano: «Essere dalla parte delle donne non significa sognare un mondo in cui i rapporti di dominio possano finalmente capovolgersi per far subire all’uomo ciò che la donna ha subìto per secoli. Essere dalla parte delle donne vuol dire lottare per costruire una società egualitaria, in cui essere uomo o donna sia “indifferente”, non abbia alcuna rilevanza. Non perché essere uomo o donna sia la stessa cosa ma perché sia gli uomini sia le donne sono esseri umani che condividono il meglio e il peggio della condizione umana. L’obiettivo della donna non è quello di dominare l’uomo, dopo essere stata dominata per secoli, ma di lottare perché si esca progressivamente da questa logica di dominio, senza dimenticare che, nonostante tutto, l’essere umano è (e resterà sempre) profondamente ambivalente».

E già che in questi pensieri sono coinvolto, mi accingo a leggere «Cara Ijeawele: quindi consigli per crescere una bambina femminista» – appena tradotto da Einaudi – della scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie (**) che già ci aveva messo in guardia con il suo perentorio libretto «Dovremmo essere tutti femministi». Magari ci ritroviamo a parlarne un prossimo venerdì.

(*) Se non la conoscete … potete partire da questo post: Scor-data: 9 gennaio 1908

(*) qui in “bottega” cfr «Dovremmo essere tutti femministi» e Dovremmo essere tutti femministi – Chimamanda Ngozi Adichie

L’IMMAGINE E’ DI SILVIA ZICHE

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

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