PER CAMPARE (di Pabuda)

cosa non si fa

per campare…

si dice.

ma si dovrebbe

dire:

che si fa?

si fa, si fa, si fa.

si fan cose turpi

per campare.

roba, per intenderci,

come

il lavoro impiegaticcio:

proprio così:

non è un refuso:

(porca l’oca, non mi son confuso!)

è lavoro ripiegato

su scrivania minima

che lascia soltanto,

a fine giornata,

rifugio

nel sonno umidiccio:

un sonno senza sogni

di gloria:

al massimo, si sogna,

vado a memoria,

d’aver miracolosamente

smaltito la pancetta,

d’aver fatto saltare

con ordigno artigianale

delle fatture

un archivio enorme,

monumentale.

ci son poche consolazioni:

due, per essere schematici,

sintetici:

primo: un pensierino da pensare

al mattino e alla sera

dedicato ai compagni

che lavorano in miniera.

secondo:

un altro pensierino

da pensare

una volta la sera

e una volta

al mattino

dedicato ad alcuni

colleghi di una volta

che del lavoro ripiegato

fecero trampolino

o, forse, piattaforma

spaziale

per scagliare il cervello

su, in orbita,

verso

qualcosa di bello:

che so:

verso un verso,

verso un poema, uno scherzo,

oppure in direzione

d’un romanzo disperso

o, più modestamente,

del racconto d’una metamorfosi,

dell’incubarsi d’un incubo,

l’ingarbugliarsi d’un processo

senza

vergognarsi di confessare

il proprio pio desiderio

d’un indiano diventare

 

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Pabuda
Pabuda è Paolo Buffoni Damiani quando scrive versi compulsivi o storie brevi, quando ritaglia colori e compone collage o quando legge le sue cose accompagnato dalla musica de Les Enfants du Voudou. Si è solo inventato un acronimo tanto per distinguersi dal suo sosia. Quello che “fa cose turpi”… per campare. Tutta la roba scritta o disegnata dal Pabuda tramite collage è, ovviamente, nel magazzino www.pabuda.net

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