Non voterò nemmeno Movimento 5 stelle

Perché non voterò nemmeno Movimento 5 Stelle?

Perché Grillo, deus del movimento, pur facendo e dicendo alcune delle cose che dovrebbero essere dette e fatte, non si impegna, non è sua facoltà, su ciò che possiamo definire il cuore del problema: il problema del potere. Il problema della politica non è sostanzialmente che questo: la lotta per determinare le porzioni di potere decisionale che spettano ai vari settori del capitale (o al Capitale nel suo insieme); nonché i residui che possono essere lasciati alle masse, purché le masse si organizzino per rivendicarle.


Nessuna illusione dunque sulle possibilità che si hanno in regime capitalistico di poter contare sulle decisioni fondamentali (illusione che purtroppo Grillo, ma non è il solo, nutre): queste decisioni, chiunque sia chiamato a prenderle, o sono subordinate agli interessi di breve e medio termine del capitale finanziario (oggi dominante l’insieme della formazione capitalista) o non è concesso a nessuno di governare: di governare a lungo.
Nessuna illusione allora sulla possibilità di entrare nella stanza dei bottoni; né rimpianti per questa relativa impossibilità di entrarvi. Qualsiasi tentativo di pigiarli in un senso favorevole ai lavoratori risulterebbe più che inefficace: metterebbe in crisi l’intera società. Costruita appunto per regolare e ampliare il meccanismo dell’accumulazione, meccanismo che trascende i singoli protagonisti (sarebbe come pretendere di volare usando una bicicletta) e che non ammette altro che se stesso. È su tale illusione che si sono infranti i sogni di cambiamento di intere generazioni, che ha contribuito a rendere vani gli eroici sforzi di milioni di comunisti. Ed è sempre basandosi su tali illusioni che il togliattismo, sostenuto dallo stalinismo (Amendola prima ancora che Cossutta), ha potuto volgere la spinta al cambiamento delle masse prima in direzione socialdemocratica (una socialdemocrazia di effettiva opposizione) e poi all’integrazione completa del partito quale agente di fiducia del capitale (DS-PD).
Non nego la sostanziale utilità del Movimento 5 Stelle. Nego che possa svolgere il ruolo di cui le masse hanno oggi bisogno; di cui ha bisogno la fase; di cui ha bisogno il sentimento comunista per riprendere vigore e tornare a avere un ruolo nella dinamica politica. Il primo ed essenziale punto per poter pensare il pensabile del compito necessario alla nascita dei tempi nuovi è partire dal rifiuto dell’esistente, a partire dal rifiuto dell’attuale proposta politica. In prospetta occorre entri nel senso comune la consapevolezza della necessità di costruire tutt’altra macchine per la gestione dell’esistente, una struttura per la gestione del potere diversa e alternativa all’attuale. Farsi illusioni sulla modificabilità di questa macchina e del sistema che sostiene vuol dire ipso facto, in tempi più o meno lunghi (oggi prevedibilmente molto corti) approdare alla completa subordinazione alle esigenze strategiche (e tattiche) della borghesia; equivale a impedirsi persino di pensare, bloccati come si sarebbe dalle inevitabili questioni di compatibilità che ogni riforma radicale subito propone, iniziative a favore delle masse; equivale a disarmarsi ideologicamente nella battaglia con ideologi liberisti e non, i quali subito getterebbero sul tavolo l’argomento del sabotaggio, gli inceppamenti che i provvedimenti medesimi produrrebbero all’insieme della “società civile”, con danni immediati per le masse medesime: proprio quelle che occorrerebbe difendere. Da cui la necessità di avere costantemente in mente la prospettiva di una differente struttura di potere (che poi in prospettiva non sarebbe una struttura di potere, ma amministrativa) e alla necessità della stessa di educare le masse. Non con prediche, ma attivando pratiche democratiche alternative (è soprattutto nella pratica che si educano le masse, per arrivare all’autoeducazione delle masse). Non più dunque la politica delle persone, il personaggio onesto a cui affidare i propri destini. Al suo posto la crescente consapevolezza da parte dei lavoratori di doverli prendere nelle proprie, anche se in dipendenza del principio di rappresentatività, dovrà transitoriamente affidarla a altri: a persone che vogliono e sanno porsi al servizio della stragrande maggioranza e non degli interessi della stragrande minoranza; personaggi dunque che riconoscano il carattere pernicioso del dominio borghese e abbiano seria volontà di contrastarlo.
Nel Movimento 5 Stelle esistono e vengono perseguiti con notevole coerenza elementi che procedono nella direzione indicata. O sembrano affacciarvisi. Esempio, il rifiuto di burocratizzarsi, le aspirazioni alla democrazia diretta, l’affermazione del principio del salario operaio per la remunerazione degli eletti negli organismi rappresentativi, le ricerca di altre regole con cui giocare il gioco della politica, l’allergia all’inciucismo e ad alleanze che passano sopra la testa delle masse ecc. ecc. È assente però il momento decisivo, quello chiave: l’elemento che impedisce a ogni appello al popolo di diventare “populismo” (eventualità perniciosa); e ai rappresentanti di diventare “cinghia di trasmissione” della volontà dei settori dominanti della borghesia. Questo elemento è dato dalla formazione politica (cosa che è molto più importante della pur utile controinformazione); la quale formazione si ottiene attraverso il serrato dibattito politico, mediante il confronto organizzato e sistematico delle diverse posizioni, la ricerca della sintesi, base per ulteriori confronti e ulteriori sintesi; in un processo interminabile, teso a contrastare il sistematico contrattacco ideologico della borghesia, che tende a portare indietro i livelli di coscienza nel frattempo acquisiti, a seminare dubbi e a demoralizzazione: che tende soprattutto a diffondere false credenze sull’essere della politica, sul ruolo dei politici e delle istituzioni. La posta in gioco è la mente delle persone, la spoliticizzazione: senza un certo grado di spoliticizzazione nessun regime fondato sull’antagonismo tra le classi può reggersi. Per i gruppi al potere è essenziale (in particolare) siano misconosciuti i meccanismo reali che guidano l’economia, la politica, il funzionamento degli apparati di repressione. La natura delle ideologie messe in campo, le tendenze oggettive che muovono la realtà. Private di tali conoscenze qualsiasi movimento di base, a parte pur importanti traguardi conseguiti nell’immediato, nel medio termine è destinato a scomparire e a veder riassorbiti i risultati raggiunti. Sedimentare coscienza è l’imperativo primo per chi voglie effettuare una fattiva, coerente opposizione. La semplice denuncia essendone solo la permessa, premesse sterile se rimane senza la conseguenza di elevare il livello della partecipazione.
Il che in altri termini, equivale a porsi il problema delle caratteristiche che deve avere il militante; e, quale riverbero di tali caratteristiche, avere la masse. Militante è colui che in possesso di informazioni e di formazione (coscienza globale) pari a quella di qualsiasi dirigente; che è dirigente non perché “ne sa una più del diavolo” (una più della sua base), ma in conseguenza di una maggiore disponibilità personale e di tempo, perché dotato di particolare spirito di sacrificio e specifica attitudine al lavoro politico (naturalmente in prospettiva, ma una prospettiva praticata). In mancanza di tale lavoro, la strumentalizzazione dell’entusiasmo e dello spirito di sacrificio delle masse (strumentalizzazione che dà luogo al leaderismo, fenomeno decisamente deteriore) diviene fatto inevitabile. Strumentalizzazione che i richiami all’esistenza di pratiche e regolamenti ultrademocratici non servono a eliminare: servono a nascondere. Nessun regolamento interno, nessuna pratica politica, non fondata sulla capacità delle masse di decifrare i messaggi che arrivano e le conseguenze delle stesse iniziative che da loro partono, non può che portare alla degenerazione dell’istituto rappresentativo al quale tutti assistiamo.
Accanto a questa capacità e corollario di questa capacità è la fondazione di valori condivisi (ideologia del cambiamento in embrione), che costituiscono lo strumento indispensabile con il quale valutare e selezionare il “personale politico”. È l’esistenza di questi comuni valori che costituisce la base delle determinazione dei “dirigenti” a battersi. Quel che alimenta il coraggio e depista la inevitabile domanda che, in determinate circostanze, ognuno si fa (che l’ideologia dominante induce a farsi): chi me lo fa fare? È la presenza di questi valori, il sapere che altri, tanti altri si battono per i medesimi valori, determina la volontà di resistere alle enormi pressioni che chiunque abbia fatto politica sa di dover subire (a volte pressioni immateriali, contumelie, seduzioni, isolamento, minacce, ma anche fisiche, fino al limite della tortura) se vuole mantenersi nel suo. In assenza di questi valori, oppure se non si è riusciti a interiorizzare in profondità questi valori, si incappa nei medesimi meccanismi che hanno travolto Rifondazione. In quell’oscillare (scellerato) tra estremismo, inutili, vuote e vane minacce alla borghesia (anche i ricchi piangono); e opportunismo, l’appiattimento al meno peggio, all’altrimenti è peggio, se molliamo la destra è dietro l’angolo: con il risultato di preparare il terreno a una più ampia e completa vittoria delle destra.
L’essenza delle consapevolezza di tale necessità e quindi dell’avvio di un lavoro in questa direzione (a Grillo sembra che basti la registrazione dei livelli di sdegno esistenti) è il motivo per cui già all’esordio dei primi successi, si avvertono scricchiolii e appaiono preoccupanti divisioni all’interno del movimento (scricchiolii e divisioni sui quali si affrettano a precipitarsi gli avvoltoi di regime nella speranza di averne in dono la carogna). E come potrebbe essere diversamente in un movimento eterogeneo quale quello del Movimento 5 Stelle, che per altro neppure sospetta la necessita di una omogeneizzazione? Fosse restato un movimento, i limiti di queste scelte avrebbero tardato a manifestarsi; ma muovendosi come un partito politico (sebbene non lo si voglia ammettere, questo sta diventando il movimento di Beppe Grillo), le domande non poste si pongono da se stesse, ma si pongono criptate: si manifestano tramite la degenerazione delle pratiche politiche relative alle risposte che, in assenza delle giuste domande, non vengono a loro volta formulate.
Qualsiasi unità e coerenza di propositi, a meno non si tratti di unità mafiosa, soggezione autoritaria, esige un certo livello di intesa nella base. Un’intesa che vada oltre gli obiettivi immediati, che sia fondata su una (tendenzialmente) convergente visione del mondo, una comune visione del divenire della società.
Qualsiasi organizzazione che pretenda di muoversi senza avere alle spalle una tale opera (sia pure embrionale) di costruzione di un terreno ideologico comune, nonché di distillare forme organizzative in grado di centralizzare (coordinare e dirigere) le lotte, è avventurismo politico; lo steso avventurismo di qualsiasi esercito che si inoltri in territorio nemico senza lasciare alcun raggruppamento alle spalle. L’accerchiamento e la distruzione diventano inevitabili.
Giunti a questo punto ritengo che più d’uno si chiederà il “che fare” specifico in tale congiuntura. In piena sincerità l’aver posto le condizioni minimi dell’approccio alla politica è il tutto che in questo momento mi sento di poter proporre.
A meno di non rifugiarsi nel buon senso e proporre l’ancor più minimo che è possibile proporre. Una organizzazione degna di fiducia e intenzionata a procedere in armonia con tali premesse non esiste, o almeno io non conosco. Non rimane allora, per non astenersi, e un comunista normalmente non si astiene, che scegliere nella coorte di strani soggetti che pullulano sulla scena politica il soggetto meno indecente. Non solo perché rifugge dalla marioleria imperante, ma perché bene intenzionato a fare anche qualcosa per la “povera gente”, cioè in difesa dei lavoratori in attività (precari totali e precari a metà) e pensionati.
Poco, oltraggiosamente poco, lo riconosco. Ma oggi non credo si possa procedere con la speranze più in là di questo minimo. Ma potrebbe essere invece che qualcuno, supportato dall’intelligenza e dalla fantasia congiunte, invece più oltre abbia saputo andare.
Si faccia avanti, allora. Sarà il benvenuto. È certo che troverà orecchi attenti e mente aperte disposte a ascoltare.
Mauro Antonio Miglieruolo

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

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