Perché una canonizzazione non si riduca a un francobollo

A proposito della proclamazione come Santo di Mons. Romero

di Maria Teresa Messidoro (*)

I Ministeri di Relaciones Exteriores e di Gobernación di El Salvador presentarono il 3 ottobre, pochi giorni prima della proclamazione come Santo di Mons. Romero, i francobolli commemorativi, affinchè “si promuova, nei 192 paesi in cui può essere recapitata la posta spedita dal piccolo paese centroamericano, il messaggio dell’Arcivescovo ucciso quasi quarant’anno fa dagli squadroni della morte”.

Gothy López, la pittrice salvadoregna che vive da anni in Italia, ha dedicato al “Santo dei poveri” questo toccante quadro, che insieme ad altre opere compone la mostra “Romero nell’Arte”, inaugurata pochi giorni fa a San Salvador.

Ed oltre alle cerimonie ufficiali a Roma, i numerosi incontri con testimoni salvadoregni svoltisi anche in Italia nel mese di ottobre, gli articoli di approfondimento apparsi su siti, giornali e riviste, mi hanno colpito le semplici commemorazioni di Mons Romero nelle comunità rurali salvadoregne, in cui la sua testimonianza è viva e ben presente.

Ma se non vogliamo che il messaggio storico dell’Arcivescovo, martire per il suo popolo, si riduca ad un francobollo o ad un quadro, è opportuno riscattare ad esempio la sua ferma denuncia dei mali strutturali di El Salvador: ciò che in una delle sue Carte Pastorali definiva come “violenza strutturale, radice di altri tipi di violenza.”

Le poche famiglie che tuttora concentrano nelle proprie mani quasi la totalità delle ricchezze del paese, continuano ad adorare ciò che Romero chiamava “Gli dei del potere e del denaro”

Nonostante ultimamente poco se ne parli, escluso alcuni analisti, economisti e responsabili di movimenti sociali, il problema esiste, anzi si è aggravato, perché “i ricchi più ricchi di El Salvador”, parafrasando Roque Dalton, sono oggi i padroni incontrastati della finanza, quindi del destino di un popolo che continua a subire disuguaglianze strutturali ogni giorni più grandi.

Anche in El Salvador, come altrove in America Latina ed anche nella nostra Europa, aver imposto mediaticamente il discorso dell’anticorruzione, la necessità dell’antipolitica, un nuovo generazionismo di belle presenze senza contenuti sociali rilevanti ma al servizio dei poteri forti neoliberisti internazionali, è stata ed è una vittoria dell’ideologia della destra salvadoregna.

Chi crede in un “pensamento critico” ha il dovere di smontare questo modello imperante, facendo propria la capacità di Mons. Romero di analizzare criticamente la realtà nazionale, per poi combatterne i mali, a partire da quelli strutturali.

Tutto ciò avrebbe un impatto enorme sulla situazione attuale, con la conseguente costruzione di un progetto di nazione completamente distinto da quello ora esistente, sicuramente più giusto ed inclusivo..

El Salvador sta ancora aspettando un cambiamento radicale socio-culturale, un cambiamento capace di superare la cultura neoliberista globalizzata imperante, con le sue radici autoritarie e conservatrici, per permettere la nascita, o la rinascita, di una matrice culturale umanista, libera, che si assuma la responsabilità del bene pubblico e agisca in politica in funzione del benessere collettivo, non di una minoranza. In questa direzione, anche le prossime elezioni presidenziali, che si svolgeranno nei primi mesi del 2019, potranno assumere un altro significato.

Soltanto se il popolo salvadoregno smetterà di farsi trasportare e cullare in un modello imposto, dimostrerà di aver veramente assimilato e fatto proprio il testamento di Mons. Romero.

Sono convinta che ci riuscirà, con fatica, forse non domani, forse nemmeno dopodomani, ma algo cambierà

(*) vicepresidente Associazione Lisangà culture in movimento

 

Fonti:

https://www.alainet.org/es/articulo/195798

https://rree.gob.sv/gobierno-de-el-salvador-lanza-sello-postal-alusivo-a-la-proxima-canonizacion-del-beato-monsenor-romero/

Teresa Messidoro

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