Perù: a 30 anni dal massacro nelle carceri di El Frontón e Lurigancho

di David Lifodi

Il massacro nelle carceri peruviane avvenuto il 19 giugno 1986 è lo specchio della prima presidenza di Alan García, l’uomo che non solo mandò in malora un intero paese in nome della dottrina neoliberista, ma si rese responsabile della morte di centinaia di reclusi che si erano sollevati per protestare contro le condizioni inumane e degradanti in cui erano costretti a vivere.

La mattina del 18 giugno, un gruppo di detenuti del carcere di El Frontón iniziò la protesta prendendo in ostaggio un lavoratore dell’Instituto Nacional Penitenciario per attirare l’attenzione sulle loro richieste. A quei tempi le carceri peruviane erano piene di “terroristi”, così il governo definiva i guerriglieri di Sendero Luminoso e non solo che combattevano contro lo Stato peruviano, ma alla sollevazione parteciparono anche molti detenuti comuni. Dal padiglione azzurro di El Frontón la protesta si propagò velocemente al centro di reclusione di Lurigancho e al penitenziario femminile del Callao Santa Bárbara. Per isolare subito la mobilitazione e impedire al paese di capire ciò che stava succedendo, il presidente Alan García vietò l’accesso alle tre carceri a giornalisti, avvocati e familiari dei detenuti. I militari bloccarono tutte le vie d’accesso, anche al carcere di El Frontón, che si trovava su un’isola e a cui cercarono di arrivare in ogni modo alcuni deputati di Izquierda Unida. Nel frattempo, i vertici dello Stato avevano già deciso per il massacro. Il 19 giugno i ribelli di Lurigancho si arresero, ma era troppo tardi. La Guardia Repubblicana, guidata dal colonnello Rolando Cabezas, fece uscire dal padiglione i 124 ammutinati e li giustiziò con un colpo alla nuca. I detenuti furono uccisi a freddo, come del resto accade ai quattordici tupamaros guidati da Nestor Cerpa Cartolini e ammazzati il 22 aprile 1997 dalla polizia dopo che per mesi avevano tenuto in ostaggio, senza torcere loro un capello, le centinaia di persone che si trovavano all’interno dell’ambasciata giapponese. Tuttavia a El Frontón accadde anche di peggio. La Marina bombardò il padiglione azzurro, che funzionava da dormitorio per i reclusi. In 118 morirono sotto le macerie e coloro che riuscirono a salvarsi furono comunque uccisi nel tentativo di uscire dal padiglione. L’azione fu condotta a termine dal vice ministro dell’Interno, Augustín Mantilla, dal vice-ammiraglio Luis Giampietri e dal capitano Juan Carlos Vega Llona, che comunicavano per radio con il presidente Alan García.  Di fronte ad un intero paese scosso da quanto successo, lo Stato cercò subito di giustificarsi. “Non c’era altra scelta”, attaccò subito l’allora ministro della Giustizia Luis González Posada, in seguito denunciato per il suo ruolo di agente della Cia. Dopo le prime dichiarazioni il presidente García utilizzò invece una strategia più raffinata e subdola, definendo i fatti di El Frontón e Lurigancho come “crimini di stato”. “O se ne vanno loro o me ne vado io”, disse, riferendosi ai ministri e ai vertici militari che avevano coordinato l’operazione. Grazie a questo colpo di teatro non se ne andarono né lui, principale responsabile del massacro che si concluse con un saldo di circa 300 morti, né i vertici del paese. L’unico vero capro espiatorio, alla fine, fu il colonnello Cabezas, insieme ad altri pesci piccoli, che peraltro scontarono pochi anni di reclusione in penitenziari dove vigeva tutt’altro che il carcere duro a cui erano sottoposti i ribelli. Parallelamente, la memoria dei carcerati uccisi fu calpestata anche dopo la loro morte poiché lo Stato continuò a definirli come “pericolosi criminali” per giustificare, una volta di più, l’azione militare. Quel 19 giugno 1986, a Lima, si teneva una conferenza dell’Internazionale Socialista presieduta dallo stesso Alan García che, incurante della presenza di centinaia di dirigenti politici, giornalisti stranieri e capi di stato ordinò quello che la Chiesa peruviana definì Masacre de los penales de Lima in un documento durissimo in cui venivano accusati pubblicamente l’esercito e la Guardia Repubblicana e si contestava il divieto d’accesso alle carceri, dichiarate zonas militares restringidas. Nel 1989 la giustizia militare assolse tutti suoi vertici e nel 2000, a quattordici anni di distanza, la Corte interamericana dei diritti umani condannò lo stato peruviano per la mattanza.

Nel gennaio 2005 il giudice Omar Pimentel Calle aprì un processo contro undici appartenenti alla Marina, ma nessuno ha mai pagato davvero per la repressione di quei carcerati chiedevano dignità, giustizia e contestavano la dura legislazione antiterrorista del regime peruviano.

Le commemorazioni per i caduti di El Frontón e Lurigancho nel 2015

 

COSA SONO LE “SCOR-DATE” – NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche motivo il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente tantissimi i temi, come potete vedere in “bottega” guardando un giorno… a casaccio. Assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Ovviamente non sempre siamo state/i soddisfatti a pieno del nostro lavoro. Se non si vuole scopiazzare Wikipedia – e noi lo abbiamo evitato 99 volte su 100 – c’è un lavoro (duro pur se piacevole) da fare e talora ci sono mancate le competenze, le fantasie o le ore necessarie. Si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allarga.

Avevamo pensato (nel nostro 2015 “sabbatico”) di fare un libro, cartaceo e/o e-book con una selezione delle «scor-date» già apparse in “blottega”. E’ rimasta una vaga idea ma chissà che prima o poi…

Il 12 gennaio 2016 si è concluso il nostro “servizio” di linkare le due – o più – «scor-date» del giorno, riproponendo quelle già apparse in blog/bottega nei 2 anni precedenti; e ogni tanto aggiungendone di nuove. Dal 12 gennaio abbiamo interrotto, salvo rare eccezioni come oggi. C’erano 2 ipotesi per il futuro prossimo. Si poteva ripartire con nuove «scor-date» ogni giorno, dunque programmandole qui in redazione: insomma il volontariato (diciamo stakanovismo?) della nostra piccola redazione e/o di qualche esterna/o. Qui in “bottega” ci sarebbe piaciuto mooooooolto di più ripartire CHIAMANDOVI IN CAUSA, cioè ri-allargando la redazione. Come ripartenza c’eravamo dati il 21 marzo, una simbolica primavera… però il nostro “collettivo” non ha avuto gli auspicati rinforzi. Così vedrete le «scor-date» solamente ogni tanto, anziché ogni giorno come ci piacerebbe. Grazie a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza “ballerina” e sempre più mutevole nel tempo, per inevitabili altri impegni – è all’incirca questa: (in ordine alfabetico) Alessandro, “Alexik”, Andrea, Clelia, Daniela, Daniele, David, Donata, Energu, Fabio 1 e Fabio 2, Fabrizio, Francesco, Franco, Gianluca, Giorgio, Giulia, Ignazio, Karim, Luca, Marco, Mariuccia, Massimo, Mauro Antonio, “Pabuda”, Remo, Riccardo, “Rom Vunner”, Santa e Valentina. Ma spesso nelle «scor-date» ci hanno aiutato altre/i oppure abbiamo “rubato” (citando le fonti) qua e là.

 

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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