Perú: solidarietà per Víctor Polay Campos…

… e per tutti i prigionieri politici dell’Mrta

di David Lifodi

Víctor Polay Campos, fondatore del Movimiento Revolucionario Túpac Amaru (Mrta), marcisce  in una cella dal 1992: se tutto va bene uscirà nel 2026, dopo che la sua condanna è stata aumentata da 32 a 35 anni. Le carceri peruviane non sono un luogo per signorine. Lo stato, fin dagli anni ’90, ha voluto annientare la dignità dei prigionieri politici appartenenti alle organizzazioni guerrigliere: i detenuti emmeretistas dovevano essere sepolti vivi, nel senso letterale della parola, e così è stato.

Poco più di un mese fa le giornaliste Annalisa Melandri e Marinella Correggia, che da tempo si occupano del caso, hanno scritto una lettera al quotidiano il manifesto per rilanciare una campagna di solidarietà con il fondatore dell’Mrta: per questo propongono di inviare una mail all’ambasciatore peruviano in Italia che chieda conto di Víctor Polay Campos e degli altri prigionieri politici del movimento guerrigliero che si trovano reclusi nella base militare navale del Callao (nei dintorni di Lima), nota per la sua denominazione di “tomba per esseri viventi”, tanto da guadagnarsi l’inquietante appellativo di “Guantanamo” peruviana. Víctor vi è arrivato nel 1993: l’anno precedente era stato recluso nel carcere di Yanamaio, a Puno, sull’altopiano andino, a 4000 metri sul livello del mare. Yanamaio, in lingua inca, significa “porta del cielo”: l’hanno costruito in quella zona perché sanno che da lì è impossibile fuggire. Nelle celle, scavate sotto terra, non c’è riscaldamento, e nemmeno le finestre, con temperature che in certi periodi dell’anno arrivano fino a 15 gradi sottozero. Nell’aprile 2012 il leader dell’Mrta era stato trasferito insieme ai suoi compagni al penitenziario di Piedras Gordas, a 43 chilometri dalla capitale, ma il 20 marzo scorso è tornato di nuovo al Callao: lì, denunciano le due giornaliste, le sue condizioni di reclusione sono ulteriormente peggiorate, poiché gli vengono negate anche le visite della sua compagna. Le uniche due persone che possono vederlo sono la madre e la sorella. La notte in cui Victor non cantò (Baldini&Castoldi, Milano, 1999), di Claudio Fava, dedicato al compositore cileno Victor Jara, eliminato dal regime di Pinochet, ripercorre la mappa dell’orrore sudamericano, parla di militari e aguzzini che hanno martoriato l’America Latina, ma dedica un capitolo anche alla resistenza e al coraggio di  Víctor Polay Campos. Attraverso la voce della madre, che in un giorno di primavera del 1997 si reca al carcere di Yanamaio, da Lima, per andare a trovarlo, emergono le drammatiche condizioni dei penitenziari peruviani, definiti inumani già dalla Commissione Interamericana per i Diritti Umani. Eccone uno stralcio: “Prima l’hanno portato nella caserma del Callao e l’hanno seppellito sottoterra. Un buco di due metri per due, senza luci né finestre. Solo una fessura di dieci centimetri per far entrare l’aria. La branda era un blocco di cemento. Una volta al giorno gli passavano il rancio attraverso uno spioncino all’altezza del pavimento, così Víctor non avrebbe potuto vedere chi c‘era dall’altra parte: per loro, mio figlio era già morto”. Attualmente, nonostante le richieste da parte delle associazioni per i diritti umani, Víctor e i prigionieri politici dell’Mrta non possono né studiare né lavorare. Ai carcerati è permesso di uscire dalla cella solo per mezz’ora al giorno, individualmente, per evitare contatti tra loro, le visite durano soltanto trenta minuti e non hanno il diritto di accedere a libri o quotidiani. Inoltre, le celle del Callao sono delle vere e proprie grotte sotto terra: i prigionieri sono isolati dal punto di vista fisico, auditivo e visuale. Di recente, proprio per rilanciare la campagna di solidarietà in suo favore, la giornalista Annalisa Melandri ha deciso di pubblicare a puntate, sul suo blog (www.annalisamelandri.it), il libro scritto da Víctor Polay Campos nel 2007 e intitolato En el banquillo. Terrorista o rebelde. “I venti anni di carcere e il libro in italiano possono essere l’occasione per un rilancio della sua campagna in favore dei Túpac Amaru ancora in carcere e di Polay in particolare”, spiegano Melandri e Correggia, sottolineando che in una loro intervista del 2009 al leader Mrta (pubblicata sempre su il manifesto), lo stesso Víctor chiedeva una campagna internazionale per una soluzione politica nel paese andino. Già alcuni anni fa Polay sosteneva che molte delle cause che avevano spinto la guerriglia a combattere armi in pugno sono rimaste, a partire dall’espansione del modello economico neoliberista, ma riconosceva come la strada da percorrere fosse quella di costruire una forza politica in grado di lottare per la trasformazione sociale del paese a livello parlamentare. Effettivamente il movimento politico Patria Libre, nato durante la campagna elettorale del 2011, avrebbe dovuto dare impulso al cambiamento sociale in un paese dove però la giustizia e la democrazia spesso sono messe all’angolo. I giudici sin rostro, incappucciati, che hanno imputato a Víctor una serie impressionante (quanto poco credibile) di trenta omicidi, l’immancabile reato di terrorismo (la parola più associata al nome del leader Mrta, come emerge da una breve ricerca su Google) e il tradimento della patria  rispondono direttamente allo stato peruviano, che vuole fargli pagare le sue attività rivoluzionarie, anche se nel 2009 l’Unione Europea ha rifiutato di inserire i tupamaros tra le organizzazioni terroristiche come chiedevano da Lima e la stessa Commissione per la Verità e la Riconciliazione ha riconosciuto la guerriglia emmeretista come responsabile soltanto dell’1,55% delle morti tra gli anni ’70 e ’80: l’Mrta non ha mai attaccato la popolazione civile.

Qui sotto un possibile testo, suggerito da Annalisa Melandri e Marinella Correggia nella loro lettera a il manifesto, da inviare all’attenzione dell’ambasciatore peruviano in Italia Alfredo Arosemena Ferreyros (Via Francesco Siacci, 2B – 00197 Roma), possibilmente tramite una raccomandata postale perché sarà protocollata e inviata a Lima:

A la atención del Excelentísimo Embajador de la Republica de Perú en Italia.
Asunto: Víctor Polay y demás presos políticos en el Callao
En nuestra calidad de ciudadanos italianos y activistas por la paz y los derechos humanos, pidimos al gobierno de Perú lo siguiente:
1) Que tome en consideración el traslado a una cárcel civil de los presos políticos del Mrta che se encuentran detenidos en la cárcel militar de la base naval del Callao
2) De trabajar por fin por la libertad inmediata de todos los presos políticos de Mrta, ya que ha pasado tanto tiempo y después de haber recorrido un camino bien estructurado y bien analizado por la Comisión de la Verdad y Reconciliación (por lo menos por lo que concierne el Mrta)
Agradeciéndoles por su atención (nome e firma)

Redazione
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Un commento

  • Il Perù, le sue problematiche attuali e la sua storia, restano lontano anche in tempi di internet. Con tutto il rispetto per Il Manifesto e le sue due collaboratrici. In Peru’ e’ all’ ordine del giorno un’ amnistia generale. Una richiesta di amnistia focalizzata sul compagno Victor Polay e sul MRTA rischia di essere perdente o al massimo, se ottenuta, riduttiva. La tematica meriterebbe di essere approfondita e riportata correttamente al di la’ della buona fede e volonta’ di Melandri e Correggia. Colgo l’ occasione per informare della morte domenica scorsa del compagno Javier Diez Canseco un politico di prima linea in difesa dei diritti umani dei detenuti e per il conseguimento dell’ amnistia.

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