andava con le braccia a penzoloni,
voleva che il ruscello fosse un fiume,
il fiume fosse una corrente,
e questa pozzanghera il mare.
non sapeva di essere bambino,
tutto era per lui animato,
e tutte le anime erano una.
non aveva opinione su niente,
non aveva abitudini,
sedeva spesso a gambe incrociate,
e di colpo cambiava posizione,
aveva un vortice nei capelli
e non faceva facce da fotografare.
era il tempo delle seguenti domande:
Perché io sono io e perché non tu?
Perché io sono qui e perché non là?
Quando è iniziato il tempo e dove finisce lo spazio?
È forse la vita sotto il sole nient’altro che un sogno?
Ciò che vedo, sento e odoro
è forse solo l’apparenza di un mondo di fronte al mondo?
Esiste realmente il male e persone che sono veramente cattive?
Come può essere, che io, che sono,
prima di essere, non ero,
e che io, che sono, un giorno
non sarò più quello che sono?
si strozzava con gli spinaci, i piselli, il riso al latte,
e con il cavolfiore bollito.
E adesso mangia tutto ciò, e non solo per necessità.
si svegliò una volta in un letto sconosciuto
e ora succede sempre così,
molte persone gli sembravano belle
e ora solo in qualche caso fortunato,
si immaginava chiaramente il Paradiso
e ora ne ha solo il presentimento,
non poteva pensare al nulla
e oggi rabbrividisce al solo pensiero.
giocava con entusiasmo
e ora è tutto immerso nella cosa come allora solo
quando questa cosa è il suo lavoro.
gli bastavano per nutrirsi mela, pane,
ed è ancora così.
le bacche gli cadevano in mano, come solo le bacche sanno cadere
e ora è ancora così,
le noci fresche gli raspavano la lingua
e ora è ancora così,
aveva su ogni montagna
la nostalgia di una montagna sempre più alta
e in ogni città
la nostalgia di una città sempre più grande,
prendeva sulla cima di un albero le ciliegie tutto euforico,
come è ancora oggi,
aveva timore verso ogni straniero
e ne ha tutt’ora,
aspettava la prima neve,
e la aspetta ancora.
lanciava un bastone contro l’albero come una lancia,
e ancora oggi continua a vibrare.
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(*) così si presenta franz (rigorosamente minuscolo): «Ah, i libri! Sono bottiglie lanciate in mare, come nei film di pirati, i migliori sono mappe del tesoro, solo bisogna saper leggere quello che qualcuno, che non ci conosceva, ci ha donato. Credo davvero che quanto più s’allarga la nostra conoscenza dei buoni libri tanto più si restringe la cerchia degli esseri umani la cui compagnia ci è gradita. Noi siamo come nani sulle spalle di giganti e la lettura di tutti i buoni libri è come una conversazione con gli uomini migliori dei secoli andati. Una cosa è necessaria: non leggete come fanno i bambini per divertirvi o, come gli ambiziosi, per istruirvi. No, leggete per vivere. Risponde qualcuno alla domanda sugli scrittori del momento: “Non so niente della letteratura di oggi, da tempo gli scrittori miei contemporanei sono i greci”. I libri non si scrivono sotto i riflettori e in allegre brigate, ciascun libro è un’immagine di solitudine, un oggetto concreto che si può prendere, riporre, aprire e chiudere e le sue parole rappresentano molti mesi, se non anni, della solitudine di un uomo, sicché a ogni parola che leggiamo in un libro potremmo dire che siamo di fronte a una particella di quella solitudine. Un libro è uno specchio. Se ci si guarda una scimmia, quella che compare non è evidentemente l’immagine di un apostolo».
il cielo sopra berlino