Pfangare è possibile

Restituire il sorriso alla fantascienza è nobile (ma non facile) impresa, soprattutto se i punti di riferimento sono il miglior Robert Sheckley, “piè veloce” Fredric Brown o – più vicino nel tempo e nello spazio – alcune pagine di Stefano Benni. Annuncio qui, «erba, urbi et orbi» come direbbe qualche birichino sfumacchiante, che l’impresa è riuscita a Mam, cioè Mauro Antonio Miglieruolo, con il romanzo breve «Oniricon», primo del trittico che compone «La bottega dell’inquietudine» (284 pagine per 14 euri) il quale per la verità è uscito nelle Edizioni Della Vigna ben tre anni fa ma che io ho letto, con ignobile ritardo, soltanto pochi giorni fa. Ignoravo dunque – per mia disgrazia – l’arte di «pfangare», gli equivoci causati da «ipnoistruzione Catostale», i vantaggi del «selettore in antirealtà precostituite»: insomma nulla conoscevo delle «eroicomiche avventure dell’eccellentissimo Magiuk, signore di tutto ciò che è buono».Fra molti sorrisi e qualche mal di pancia da sghignazzo, «Oniricon» pone il serio problema di chi sogna cosa (sapete quella vecchia storia del bruco che si crede farfalla?). Così la seconda parte titola su «Il sig. Miglieruolo svelato nella pedanteria, anche» e va a risolvere alcune questioni complesse anzichenò: per esempio che «il Nulla non è nulla e neanche non nulla; il nulla nega se stesso e il suo stesso negarsi». Sempre ridendo e ululando ci si può avviare verso la terza parte, cioè «Comica finale». Vonnegut? No, sempre Mam che, in tre pagine, spiega qualche segreto delle «olimpiadi dimensionali».

Fornita la prova incontrovertibile del suo talento comico-satirico, nel secondo romanzo breve Miglieruolo ci porta «Nelle nebbie della realtà» ovvero fa i suoi conti con il movimento definito cyberpunk e celebrato in Italia con abusi di champagne. Anche io ho pensato – come Mam – che la gran parte degli scrittori e scrittrici detti Cyber «avessero effettuato un passo indietro (quanto a pregnanza e complessità) piuttosto che uno avanti» rispetto ai meandri esplorati da Philip Dick. Anche Miglieruolo si cimenta, in ritardo, con il sottogenere cyberpunk proponendo un triangolo fra il classico autore, il computer mutante e un editore (in questo tipo di storie inevitabilmente uno stronzo gigante). Siamo in una città costruita a misura di robot: «sembrava che nella medesima misura in cui gli uomini del XXI secolo abbandonavano Dio con i pensieri, lo inseguissero coi manufatti, spingendoli sempre più in alto». E in un tempo dove i tecnorobot evoluti (o mutanti?) cominciano a pensare che «voi uomini siete lo strumento che permette a noi Macchine di affermarci nella Storia».

Fra passaggi drammatici e altri ironici, anche «Nelle nebbie della realtà» gioca fra livelli di realtà che si confondono tra doppi, burle cosmiche, sogni, paradossi, storie capaci di creare mondi che influenzano il racconto nel quale sono nati, complessi tentativi di risalire alla Realtà Primaria. Anche stavolta Miglieruolo – o forse Milland o l’ingegner Baldi o il computer Dostoev o chiunque sia l’autore originario – fa centro.

Chiude questa bella antologia, «Arrivano», un terzo romanzo breve (o racconto lungo, se preferite) quasi del tutto privo dei sorrisi che invece riempivano gli altri due. Lo spunto è classico che-più-non-si-può (gli extra-terrestri stanno per giungere sulla Terra) ma lo svolgimento è quasi tutto interno all’amore ambiguo che l’annuncio del loro arrivo fa nascere tra Costanzo e Annabella, una vicina intraprendente quanto lui è imbranato. Quando la storia sembra incanalata, all’improvviso «Arrivano» svolta in un’altra direzione (che è ovviamente vietato rivelare) con un finale aperto a ogni interpretazione.

E ora un doppio post scriptum.

PS 1

A sentire quelli del latino – o del latinorum – spiegazione non richiesta è (come la “excusatio”) un’accusa manifesta. Dipende. Io a esempio devo informare chi passa da qui per caso che conosco Mauro Antonio Miglieruolo, anzi è spesso qui, lo stimo e gli ho appaltato un settimo di blog (il mercoledì). E lo faccio proprio per giungere al punto dolente del «ah, ma siete amici, allora grazie che lodi il suo libro». A parte che essere amici, conoscersi e stimarsi sono tre concetti diversi, io vorrei ribadire questo criterio: quando recensisco i libri (che mi mandano o che chiedo) ne parlo benino, bene o benissimo solo se mi piacciono. Se non mi garbano – gusti per carità, non Pitagora – taccio: che si tratti di amici, conoscenti o magari premi Nobel. Perchè perdere tempo e spazio a dire non leggete quella roba lì? Uso invece il mio (poco?) tempo per dirvi, a esempio, che «La bottega dell’inquietudine» è un buon libro con punte di ottimo. Lo sosterrei anche se lo avesse scritto Pompurnio Truzzoppoli che mi deve 10 euri e 20 centesimi dal 2004 (anzi colgo l’occasione: allora Pompurnio, vuoi saldare il debito o devo teletrasportarmi lì e romperti il vaso cinese? Per tutti i capperi dell’universo).

PS 2

Visto che ci sono dò conto anche dell’ultimo Urania (340 pagine per 4,50 euri) ovvero «Onryo, avatar di morte» curato da Danilo Arona e Massimo Soumarè con 12 racconti, 6 di italiani (tutti uomini) e 6 di giapponesi (4 donne e 2 uomini). Se vi piacciono le storie di fantasmi questo è il libro che fa per voi: con «Antracite» di Alessandro De Filippi una spanna sopra gli altri 11 mentre la presentazione-introduzione è un po’ troppo strillata per i miei gusti. Per febbraio Urania annuncia il ritorno di Mike Resnick (una piacevole lettura di solito) mentre Collezione Urania propone a gennaio «I due Vorkosigan» di LoisMcMaster Bujold e per febbraio lo stupendo «Dove stiamo volando» di Vittorio Curtoni.

Redazione
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2 commenti

  • Grazie Daniele. Ho apprezzato. Ti credo sincero. Anche perché hai un po’ glissato su “Arrivano” racconto sul quale invece sai che pongo tutte le mie compiacenze. Il tipo di racconto (racconto-romanzo) che giustifica il mio impegno sul fronte della fantascienza. Dare qualcosa al movimento, dandolo alla fanatscienza. Scambierei infatti volentieri un eventuale chimerico premio Strega con la possibilità di essere letto da qualche migliaio in più di persone.
    Capisco la predilezione per “Oniricon”, che all’epoca della prima pubblicazione fece epoca, lavoro scintillante dato molto per ridere, molto anche per sottolineare e rinnovare i luoghi comuni della FS; ma “Arrivano” rappresenta un modello, un racconto – non unico, per fortuna – che inaugura l’uso della fantascienza per fini apparentemente eterogenei, ma che potrebbero diventargli tra i più propri. Questo è l’auspicio, almeno.
    A breve penso di postare, ma ci devo riflettere, due analoghi molto diversi: L’automazione di Detroit e L’Arte del Finale. Racconti con al centro gli operai di fabbrica. Cosa rara nella fantascienza.

  • Sono sempre schietto il che maaaaagari non significa esser chiaro (in primo luogo per la fretta con la quale spesso scrivo). Qui sopra Mam ipotizza che “Arrivano” non mi sia piaciuto… Ci ripenso e ne riscrivo, così chiarisco anche a me stesso. Ho apprezzato “Arrivano” come racconto e per l’intenzione. Ma secondo me fra la prima parte e quella finale c’è uno stacco brusco e questo ne limita la riuscita. Può darsi che Mam abbia voluto mettere TROPPO dentro quelle pagine oppure che strada facendo abbia avuto come un ripensamento. In ogni caso – parlo da semplice lettore – quel finale (che è bello) mi pare stoni con l’insieme. Opinioni di un semplice lettore e nulla più. In ogni caso un bel trittico. Se scrivessi che il romanzo X di Sawyer (o di Ursula Le Guin, Sturgeon, Dick o Evangelisti) mi è piaciuto meno del suo romanzo Y non vorrei dire subdolamente che è brutto.

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