Philip Dick, ESEGESI 2

Una filosofia da garage

di Giuliano Spagnul (*)

Come prendere sul serio le indicazioni di Antonio Caronia sul Dick romanziere-filosofo e cioè per restare sull’Esegesi, come approcciarne la filosofia, qui esplicitamente evidenziata senza il consueto travestimento narrativo? Seguendo ancora Caronia un primo modo sarebbe “quello di passare in rassegna tutti i momenti in cui Dick affronta esplicitamente temi filosofici, controllarli se possibile con passi analoghi dell’Exegesis (opera ben più densa al riguardo delle opere narrative), e operare una prima classificazione e confronto fra i temi ‘espliciti’ e quelli impliciti. Il secondo sarebbe quello di identificare gli assi portanti (se si possono individuare) della ‘filosofia’ dickiana. E qui, per esempio, leggere – o rileggere – le intenzioni espresse da Dick confrontate con le realizzazioni. Ora non voglio contraddirmi subito sconfessando quanto ho appena detto. Non voglio, cioè, anticipare alcuna conclusione di una ricerca che (ripeto) è ancora largamente da fare. Ma mi sarà consentito di dichiarare almeno un’impressione, e che cioè, a volte, ciò che Dick dichiara esplicitamente vada preso più sul serio di quanto sinora tutti noi non abbiamo fatto.1 Quindi accettando subito questa contraddizione e facendola anche mia, prenderò sul serio quanto Dick ha dichiarato esplicitamente. Buona, cattiva, grossolana la filosofia di Dick va presa così com’è e non gli farò il torto di passarla al setaccio delle verifiche accademiche. Del resto Erik Davis (457 nota) parla esplicitamente di filosofia da garage descrivendo le “informali discussioni di gruppo fino a tarda notte sotto l’effetto di fumo o droga” tra Dick, Terence e Dennis McKenna2 per tutto il tempo in cui visse a Orange County.” E per la filosofia di Dick potremmo anche parlare di filosofia grossolana, parafrasando un filosofo atipico come Gunther Anders che per tante cose potrebbe essere accostato a Dick. Soprattutto per quel suo tentativo di affiancare al suo filosofare una sorta di forma letteraria definibile come “farsa ontologica”. Il principale studioso della filosofia andersiana, Pier Paolo Portinaro ci spiega come “Nelle vesti di una ‘leggenda molussica’, Anders ci racconta una cosmogonia che ha per protagonista il dio Bamba, principio dell’essere senza fondamento, il quale, non potendone più di silenzio e di eternità, decide di creare il mondo, di collocare nel vuoto illimitato dell’ápeiron il pieno limitato del peras, dando vita a ‘qualcosa di ibrido e di ontologicamente ambiguo, qualcosa tra l’essere e il non essere’, ‘una sorta di colonia divina’, indipendente abbastanza per essere ‘se stessa’, cioè distinta dal suo fondamento, e nel medesimo tempo dipendente da lui, detentore del monopolio dell’essere.”3 Se questo tentativo di narrazione filosofica alla lunga, inframmezzata nei testi più prettamente filosofici risulta un po’ pesante e farraginosa, peraltro testimonia la presa di coscienza di un deficit di immaginazione nella filosofia del Novecento, un deficit che tende a distanziarla sempre più dai problemi concreti della vita del secolo di fine millennio. L’uso che Dick fa della fantascienza è la risposta riuscita a questo tentativo parzialmente fallito di Anders. Dick saprà usare la fantascienza a suo proprio uso e consumo, senza farsi ingoiare da essa ma al contrario ingoiandola, rimasticandola e vomitandola fuori come materia filosofica.4 Avremo modo di parlare ancora di Anders, della sua filosofia in rapporto a quella di Dick, per adesso ci accontenteremo di evidenziarne la comune ricerca verso il compito più importante a cui l’umanità nella nostra ‘tarda’ modernità è chiamata ad assolvere se vuole sopravvivere: “vale a dire vivere senza speranza.5 e cioè imparare a camminare senza il faro all’orizzonte di qualsivoglia utopia.

NOTA 1: A. Caronia, Un filosofo in veste di romanziere, «il manifesto» 1.3.2012. http://una-stanza-per-philip-k-dick.blogspot.it/2016/01/antonio-caronia-un-filosofo-in-veste-di.html

NOTA 2: sulle esperienze dei fratelli McKenna un interessante intervista a Dennis McKenna in http://www.shake.it/index.php?id=608&tx_ttnews%5Bpointer%5D=1&tx_ttnews%5Btt_news%5D=47&tx_ttnews%5BbackPid%5D=234&cHash=c7b32aaa40

NOTA 3: Pier Paolo Portinaro, Il principio disperazione, Bollati Boringhieri, Torino 2003, pp. 51-2

NOTA 4: Per Steve Erickson al contrario è stato Dick ad essere ingoiato dal genere fantascientifico dopo aver ambito, come il suo collega Theodore Sturgeon, al mainstream letterario (vedi nota a p. 238).

NOTA 5: P. P. Portinaro, Il principio disperazione, cit., p. 29

(*) Fra 7 giorni “Esegesi 3 – Perché l’Esegesi?”

 

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