«Philomena» di Stephen Frears

di Fabio Troncarelli

Il 31 agosto 2013 il pubblico, notoriamente insonnolito e distratto, del Festival di Venezia vide per la prima volta Philomena di Stephen Frears. Gli applausi, pur svogliati e distratti non mancarono. Ma la pellicola ottenne solo il premio per la miglior sceneggiatura e qualche altro piccolo riconoscimento, come il premio intitolato al Padre Nazzareno Taddei o il “Queer Lion”, da parte di pochi, ferventi specialisti impegnati nel promuovere film con tematiche morali. Persone animate da buona volontà, che però furono colpite soprattutto dai valori etici o politically correct di una storia, a dire il vero, più malinconica e deprimente che edificante. Poi, come al solito nel caso di Stephen Frears, il film circolò con un discreto successo di pubblico, racimolò qua e là qualche altro riconoscimento, come il secondo Premio al Toronto Film Festival, e fu apprezzato da molti critici.

Tutto bene direte voi. Tutto bene un cavolo, dico io. Per carità: non voglio dire che il film sia stato snobbato. Però un’opera simile, così struggente, tagliente e amaramente piena di pietà… Questo inno d’amore a una povera donna umiliata e cara, tenera, ignorante, disarmante, umanissima… non meritava qualcosa di più? Come meritava qualcosa di più il belllismo «Lady Henderson presenta» dello stesso regista, interpretato dalla stessa grandissima attrice inglese Judi Dench. Come meriterebbe qualcosa in più tutta l’opera di questo autore originale, l’unico figlio legittimo di Checov, gloria del cinema inglese, emblema di tutti gli esseri umani che hanno ancora un briciolo di buona volontà.

Voi penserete che io mi fermi ai contenuti e segua l’esempio di coloro che lodano il film per la sua sommessa ma sostenuta dignità morale. Non è così. Io lodo questo film e gli altri di Frears per il loro stile, sommesso in apparenza e acuminato nel fondo. Per la loro naturalezza. Perché sono opere perfettamente realizzate che mostrano un intreccio finissimo tra contenuto e forma. E anche per lo sguardo del tutto particolare del regista. Lo sguardo di chi conosce e riconosce ogni “eroe per caso” (è questo il titolo di una delle bellissime opere di Frears). Sguardo che ci lascia commossi e stupiti: commossi perché si avvicina agli esseri umani con la tenerezza con cui ci si accosta a una violetta spuntata su un fosso; stupiti perché il mondo – così cinico, così assurdo che ci frastorna ogni giorno con la sua feroce inutilità – ci ha disabituato a questo trepidare, a questo pudore che non si vergogna del pudore altrui e sa sussurrarne la grandezza con parole che sembrano un sospiro.

Di che parla «Philomena»? E’ Ia storia di una donna irlandese ingenua e umiliata, che ci spezza il cuore … per il suo cuore spezzato. Ha avuto un figlio da ragazza, pur non essendo sposata ma le suore del convento, a cui era stata data in affidamento da piccola, glielo hanno sottratto e lo hanno “affidato” a un’altra famiglia formata da coniugi legittimamente sposati. Philomena (Judi Dench), desolata, rassegnata cerca tutta la vita questo figlio desaparecido, con l’aiuto inaspettato di un giornalista “fighetto” a caccia di scoop (Steve Coogan) che l’accompagna di malavoglia e pensa solo di sfruttare la sua disgrazia per fare uno scoop. Il fighetto è a corto di idee. Ha conosciuto Philomena per caso e fiuta l’occasione di fare il colpo grosso. Ma si rende subito conto che la donna non è un animale mediatico, una esibizionista, un’arrabbiata. E che non sarà mai come lui: cioè furba, odiosa, sempre alla ricerca del consenso degli hipster. Irritato, non perde un’occasione di farle rimarcare (acido e sprezzante) quanto è ignorante, sprovveduta, senza malizia. E ricava ogni volta risposte o reazioni così innocenti, così degne dei Fioretti di San Francesco, da essere alla fine travolto dalle qualità di questa donna senza qualità, vergognandosi come un ladro per il suo scherno, per la sua aria saccente, per la sua vita di leccapiedi livido e rabbioso, come si addice a un vero giornalista di oggi, degno erede dei “cortigiani vil razza dannata” di ieri. Philomena è buona e pensa che gli esseri umani siano buoni. Non si lamenta. Non vuole pubblicità. Non vuole punire nessuno. Vuole solo ritrovare quello che ha perduto. E non abbandona mai la sua spontaneità. La sua grande passione sono i romanzi rosa nei quali succede sempre una cosa inaspettata. Come per esempio il fatto che un giovane ricco e bellissimo si innamori di una ragazza povera e bellissima. Philomena non capisce perché gli altri siano così cattivi con lei. E onestamente non lo capiamo neanche noi.

Dopo tante ricerche, la strana coppia arriva finalmente a sapere la verità: e scopre che il ragazzino, sbolognato negli Usa, è diventato un ragazzone gay ed è morto miseramente, spezzando il cuore al suo compagno. La povera donna, che non è certo liberale, né open mind e a malapena capisce che vuol dire la parola gay, prova lo stesso di raggiungere questo compagno disperato, che condivide il suo dolore per la perdita della stessa persona. E alla fine, complici i magheggi del giornalista- leccapiedi redento, riesce a incontrare l’uomo che le racconta una storia straziante, che aggiunge strazio allo strazio materno. Il ragazzo è morto atrocemente di Aids, con il tormento di non sapere chi fosse sua madre, dopo aver tentato in ogni modo di ritrovarla, dopo essere andato perfino in Irlanda, dalle suore che l’avevano venduto per un piatto di lenticchie e avere saputo da quei mostri che la madre era morta, tanti anni prima e che la nostalgia, lo struggimento lo avrebbero accompagnato per sempre, negandogli la pace fino alla morte già pronta a ghermirlo come un avvoltoio.
Tutto questo strazio, tutto questo dolore non uccidono sul colpo la donna già tanto provata dal dolore.

Il regista non lo dice, forse non lo sa, ma Philomena dal nome di martire e di santa, ha invece un nome che somiglia irresistibilmente a Philomela, quello che noi oggi chiamiamo usignolo. E come l’usignolo, secondo il mito, piange in eterno l’innocenza perduta. Philomela… il simbolo, grazie alla Terra desolata di Eliot, di chi è “crudelmente forzata” e violentata.

Philomena-Philomela piange in eterno, a modo suo, attraverso il suo composto silenzio e la sua mai rinnegata innocenza e alla fine, quando il giornalista renderà pubblica l’infamia che ha subìto, continua restare sé stessa, desolata, ma meravigliosa nella sua ingenuità, che non viene scalfita dalla crudeltà degli esseri disumani che si fregiano a torto del nome di umani.

E noi, trattenendo a stento le lacrime agli occhi, le siamo tanto grati (e siamo tanto grati a Frears) per averci fatto incontrare questa figuretta senza età, quest’uccellino un po’ spaurito che somiglia al Passero solitario di Leopardi, che non si duole «del viver che daranno a lui le stelle» e giunto alla sera della sua esistenza continua a cantare – senza mai alzare la voce – la sua storia dolente, la sua strana ninna-nanna per farci addormentare in pace, chissà come, chissà perché; come avrebbe voluto fare col figlio, se avesse potuto incontrarlo prima che ci pensasse la morte ad addormentarlo.

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

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