Pianeti da bere e universi fritti

 

«Ho tritato centinaia di pani di sapone militare insieme alle patate al solo scopo di dimostrare che la gente ha gusti filistei e non sa distinguere fra ciò che è buono e ciò che è cattivo». Così ghigna Yossorian, uno dei protagonisti di «Comma 22», splendido romanzo antimilitarista di Joseph Heller. Tutta la squadriglia finisce in ospedale, e Milo replica: «Si è dovuto rendere conto quanto la sua opinione fosse sbagliata». La risposta di Yossorian è secca: «Al contrario, ne divorammo piatti interi chiedendo a gran voce che ce ne portassero ancora»

Ci sarebbe da ricordare, sempre in «Comma 22» che Milo propone alla mensa «cotone (egiziano) ricoperto di cioccolato», cerca di scambiare lenzuola con datteri e soprattutto «compra uova a Malta per 7 cent l’una per rivenderle a Pianosa per 5 cent,guadagnandoci su» che è decisamente il trionfo del fanta-capitalismo.

[…]

C’è il cibo di plastica e quello fantasioso. Di ricette (e di piaceri del palato) ve ne sono per ogni spicchio del pianeta. Persino i luoghi in cui mangiare mutano radicalmente: un racconto di Julio Cortazar ci propone un patibolo come sala da pranzo. Per tacere dei film di Bunuel e Ferreri. In questa parte del mondo si mangiano vacche (a Roma la coda alla vaccinara è considerata una delizia) e certi palati trovano deliziose lumache o rane. Sicuri che cani, iguana, gatti, formiche o cammelli siano meno gustosi? In questa sede è d’obbligo – quanto ovvio – citare Luigi Veronelli e il suo «Vietato vietare: 13 ricette per vari disgusti».

Come è stato già detto in altre relazioni […] il cibo resta un campo di battaglia: per evidenti ragioni di economia e salute; per le imposizioni-sperimentazioni (ogm in testa) a vantaggio di pochi; per antichissime e nuove seduzioni (imperdibile «Come cucinare un marito all’africana», con tanto di ricette, di Calixthe Belala; in certi punti ricorda e amplia il famoso pranzo erotico del film «Tom Jones» di Tony Richardson); e ancora per questioni intricate che si legano a identità, insicurezza e dittatura dell’immagine e si traducono nel dilagare di anoressia e bulimia: per la sacrosanta lotta contro la Cacca-Cola, il Mc-disgusto o i vari Neskifezzè.

Proprio l’anarko-santo Veronelli chiudeva così l’introduzione al volume citato: «Appare costante la volontà di mortificare, costringere, imbrigliare il piacere del corpo. Cioè la sua libertà. E allora: mangia, bevi, fornica quanto e come ti garba. E se vuoi limitarti nell’uno o nell’altro piacere (che può anche essere un modo per intensificarlo) fallo per tua scelta, non d’altri». E allora seguiamo il suo invito a non farci imbrigliare e tentiamo di uscire, grazie alla fantascienza, da questo ridicolo e insignificante pianetucolo per inseguire i piaceri (e i disgusti) del cibo in altre galassie.

Ecco alcune – fra le tante – strade con molte “esse”: suggestioni, sovversioni, sentieri serpentini, sogni stranieri-straniti.

Il primo esempio è problematico, lo trovate in «Mai toccato da mani umane», un racconto di Robert Sheckley. I due protagonisti sono terrestri, naufragati in uno sconosciuto e incomprensibile pianeta. Non hanno più da mangiare e lo cercano in un gigantesco locale cuneiforme abbandonato (perchè?) dagli alieni Helg. Ma come distinguere ciò che è commestibile per gli umani? I due, traducendo a fatica un’etichetta, deducono che il «valkotin, adatto a ogni stomaco» potrebbe fare il caso loro. Errore: appena scartata, la sostanza ridacchia. Più avanti un errore li porta a credere che «tutti bevono Voozy» mentre è da intendersi il contrario («Voozy beve tutti») e si salvano a stento. Inatteso il finale… che qui si tacerà.

Decisamente più allegra – ma lo stomaco sarà d’accordo? – la situazione immaginata da Stefano Benni in un passaggio del romanzo «Terra». Il piatto proposto è il «fungo semipiaci». Il maitre spiega agli avventori che «se voi siete antipatici (al fungo) diventerà verde, grinzoso, molliccio e sarà velenoso come poche cose nell’universo. Se gli piacete si accenderà d’un bel colore rosso e giallo, un boccone squisito». I commensali osservano il fungo che, in pochi attimi, diventa più giallorosso di Totti; ma a ‘sto punto è passato loro l’appetito: come cibarsi di qualcosa che ti ha in simpatia? E cuoco-Benni aggiunge: «per questo semipiaci è un piatto così raro, nessuno lo ha mai mangiato. Quelli che avrebbero voluto non hanno potuto e viceversa».

Complicata la situazione in «Il dono di Farhome» di Ted White, un romanzo quasi per intero consacrato alle alienità alimentari. Se si propone di mangiare insieme scoppia un putiferio: «L’atto di prendere cibo, come ciò che ne consegue, fa parte dell’intimità più stretta e inviolabile di un uomo». E’ solo un assaggio di 150 pagine da divorare (o vomitare), visto che ruotano intorno ai riti e ai pregiudizi del cibarsi.

Non solo può essere osceno il mangiare in pubblico ma il cibo e la stessa parola che lo designa, come nel celebre racconto «C…» di Richard Matheson.

[…]

Gli esempi potrebbero continuare, dalla conversione del cibo in merda (e viceversa) al complesso incontro fra mangiare e civiltà, dalle macellerie del nostro futuro prossimo «sorvegliate come banche» (in «Largo, largo» di Harry Harrison) all’attualizzazione della «modesta proposta» di Swift contro la povertà che forse ricordate: si mangiano i bambini dei poveri et voilà la crisi economica è subito risolta. Ci sono poi invenzioni importanti, come la formula per trasformare le mele in arance che – il citato Shekley – sintetizza: «gusto diviso sapore più la radice quadrata di colore moltiplicato per il quadrato dei semi».

Siamo stati un po’ cauti con il bere che accompagna il nutrirsi, ne parleremo un’altra volta. Però almeno due suggestione da sorseggiare ci vogliono.

La prima è forse antica quanto Noè. Ecco come la riassume il racconto «Torna a casa terrestre» di Mack Reynolds. Bere woji è un’ottima idea, anche se pochi bicchieri fanno star male: «al risveglio, la mattina dopo, vi sentirete in forma perfetta perché contiene un ingrediente che funziona al contrario dell’alcool: si soffrono prima i postumi della sbornia e la mattina dopo ci si sente benone». Un’innovazione che commercializzata in Veneto forse cancellerebbe la Lega Nord in pochi sorsi.

Ecco la seconda suggestione-stranezza sul bere: pensate a un pianeta pieno di acquedotti e con l’acqua che comodamente arriva in quasi tutte le case (almeno nella parte ricca) da comodissimi rubinetti. Una bella utopia, no? Ora immaginate che un gruppo di pazzi inizi a imbottigliare l’acqua, a trasportarla da una parte all’altra (su veicoli inquinanti) per venderla, a caro prezzo, alle stesse persone che potrebbero berla, quasi gratis, a casa loro; provate per un attimo a supporre che i governi li lascino fare e che la gente ci caschi. Impossibile vero?

E adesso immaginate che i corsi organizzati da una multinazionale dell’ingozzarsi (una a caso: Mc-Donald) diventino, in un Paese compiacente (che so? l’Inghilterra) titolo di studio. Vi chiederete quale romanzo di fantascienza sia giunto a tale delirio: forse il meraviglioso «I mercanti dello spazio» di Pohl e Kornbluth, scritto nel lontano 1952? Macchè, è una notizia circolata nel gennaio 2008. Perciò, state accuorti. Del resto Diderot aveva scritto: «i medici lavorano per conservare la salute, i cuochi per distruggerla: ma questi ultimi sono più sicuri del fatto loro». E più avanti il prussiano Bismark si lasciò scappare che non dormirebbero tranquilli i cittadini se venissero a conoscenza di come davvero si fanno le leggi… e i cibi.

 

BOX SUL CONVEGNO (e una breve nota)

Con questo convegno incentrato sulle cucine utopiche cercheremo l’ennesimo ritorno, evitando inutili fermate perbeniste, alla tavola popolare. Una tavola, come hanno dimostrato i precedenti convegni (cucine del Popolo, cucine Letterarie) tutta da riprendere e riproporre nel suo vasto campo d’applicazione: alimentare, visionario, nutrizionale, ecologico. Tale potenzialità risiede nella sua naturale semplicità, mettendo in relazione coerente stomaco e fisico, cuore e cervello. Il suo rapporto col socialismo libertario si è dimostrato indissolubile: le grandi decisioni, le grandi alleanze, le grandi scelte si sono consumate spesso a tavola, in un luogo godibile ed intrigante, stimolo di rapporti sociali, politici ed umani per tutto il movimento operaio. La stessa cucina ricca del padrone è frutto dell’esproprio-mutazione della cucina povera dei lavoratori che devono assolutamente invertire comportamenti, innanzi tutto culturali, per riscoprire l’antico ricettario resistente. La cucina dell’Utopista ci permetterà quindi, al di là delle date ufficiali stabilite dalla storiografia dei vincitori, di ricercare nel passato la tensione utopica per il futuro più prossimo.

La cuoca Rosso-Nera

 

Questo articolo riproduce, in sintesi, la relazione di Daniele Barbieri al convegno internazionale «La cucina dell’utopista: Viaggi, sogni, bisogni e rivoluzioni» a Massenzatico (Reggio Emilia) il 4 e 5 ottobre 2008, «nel ricordo dell’indimenticabile anarch-enologo Gino Veronelli». Il convegno si tiene nella terra di Camillo Prampolini, perché in quella frazione fu costruita, nel 1893, la prima Casa del popolo italiana. Fra i relatori Paolo Nori, Giuseppe Caliceti, Arturo Bertoldi, Stefano Raspini, Carlo Lucarelli, Natalia Caprili (La fame di Spartaco), Michela Zucca (Le ricette delle streghe), Alessio Lega (La cambusa dei pirati), Luisa Cetti, Federico Ferretti, Alberto Ciampi, Franco Schirone (Le mense dei confinati antifascisti), Alfredo Gonzales e Alberto Capatti.

Redazione
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  • Marco Pacifici

    GGGGRRRRRRRRRRRRRRRRR nun se mettono gli articoli in saldo a quest’ora,perchè se sono cosi meravigliosi come sono tutti i tuoi DB, gli shampisti apprendisti a quest’ora non connettono appieno e poi me tocca da stamparmeli per godermeli…GGGGGGGGRRRRR e cmq lo faccio moooolto volentieri…

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