Pietraperzia: dopo gli spari al Centro di accoglienza

“Non possiamo aiutare nessuno, se prima non torniamo a vivere, e per vivere occorre ammettere di essere malati”: le riflessioni di Angelo Maddalena nel paese degli emigrati

Mercoledì 7 febbraio ero anch’io in Chiesa Madre di Pietraperzia, per assistere a un incontro pubblico in cui il vescovo Rosario Gisana spiegava alla comunità pietrina i motivi dell’imminente arrivo di 20 persone provenienti da Paesi africani e dal Bangladesh, e che abiteranno nella “casa canonica” a partire dall’8 febbraio. Mi sento chiamato in causa in quanto appartenente a questa comunità pietrina, e mi trovavo per caso in paese per alcuni giorni.

I fatti sono questi: il vescovo è venuto su invito di un gruppo dell’opposizione che voleva comunicare e “preparare” la comunità pietrina circa l’arrivo delle 20 persone di cui si era parlato la scorsa estate; poi la cosa era sfumata ma qualche giorno fa il Prefetto aveva contattato il vescovo Gisana per comunicargli l’arrivo imminente “per una emergenza improrogabile”.

Questa comunicazione “tempestiva” ha dato fastidio e fatto scattare l’allarme: “dovevano avvisarci prima”, dicevano alcuni al vescovo. La tristezza viene dal fatto che i “dovevano pensarci prima” e i “però le associazioni speculano sui migranti e guadagnano sulla loro pelle” – così a Pietraperzia come in altri luoghi e periodi (più o meno recenti) – non si capisce bene se siano sinceri e solidali, anzi: il ragionamento (spesso fomentato da parti politiche e da molta stampa allarmista e disonesta, oltre che da social e bufale varie) non esprime una solidarietà, della serie: “se le associazioni speculano, vigiliamo affinché ciò non avvenga”, oppure: “cerchiamo di capire chi davvero ci specula e chi invece no o molto meno di altri”. No no, il ragionamento si chiude così: dato che c’è chi specula non li facciamo venire, come gettare via l’acqua con tutto il bambino; e purtroppo qui ci sarebbe tanto orrore di bambini veri che muoiono nelle acque del Mediterraneo, senza metafora.

Un articolo pubblicato un mese fa sulla rivista Italia Caritas, parla di “informazione come prima forma di solidarietà”. Giorni fa parlavo con una mia compaesana e citavo l’esperienza di Petruro Iripino, un paese spopolato in provincia di Avellino: 200 abitanti, dove sono arrivati 20 profughi con un progetto mirato gestito dalla Caritas e dal Comune,: hanno ridato vita all’economia locale. La compaesana ha risposto così: “queste cose non le dicono mai, si parla delle malefatte e non di questi esempi positivi”. La prima forma di solidarietà è l’informazione: solidarietà nei confronti di ognuno di noi, che anziché avvelenarsi di notizie false o comunque distorte, dovrebbe ricevere informazioni corrette (Roberto Saviano ha scritto su questo argomento ne l’Espresso del 4 febbraio).

Pietraperzia – come tanti altri Comuni della provincia di Enna, Caltanissetta e Agrigento – è un luogo dove la maggior parte degli abitanti, negli ultimi 70 anni, ha preso la via del Belgio, del Nord Italia, della Germania e continua ancora oggi a partire. Memoria storica cancellata o comunque disgregata, perché senza raccontare le storie perdiamo la memoria. E soprattutto senza elaborare le esperienze perdiamo l’umanità. Qualcuno ha detto che non è importante tanto l’esperienza in sé, quanto il “cosa ne facciamo di questa esperienza: come la raccontiamo, come la gestiamo”. Credo poi che questa “crisi voluta” abbia riportato indietro le lancette della civiltà, per permettere ai grandi gruppi finanziari mondiali di riorganizzarsi scaricando sui diseredati e sui disperati (fomentando la guerra fra di loro) le responsabilità economiche dei grossi gruppi industriali e finanziari che hanno avvelenato e continuano ad avvelenare, a licenziare e a trattare da carne da macello milioni di operai e lavoratori.

Intanto i ragazzi sono arrivati a Pietraperzia, il futuro è qui: la speranza di far rivivere i paesi abbandonati è disperatamente appesa a questi nuovi arrivi: dovunque nel nostro Occidente e Mediterraneo, loro ci possono aiutare a ritrovare un’umanità e una memoria perduta.

E non direi neanche che possiamo aiutarli “a casa loro”, perché dopo secoli di colonizzazione continuiamo a saccheggiare (le “nostre” grandi imprese e le potenze occidentali) le loro risorse, vendiamo armi e tutto il resto; quindi adesso tocca a loro “salvarci”.

Un esempio che ci può illuminare e far sentire la grettezza e la tristezza del nostro animo occidentale è quello di ragazzi africani che spesso vendono gli ombrelli all’uscita della metropolitana, due o tre uno accanto all’altro, cosa che a noi fa pensare: “ma così non si fanno concorrenza? perché stanno vicini?”. Una volta io l’ho chiesto a un ragazzo senegalese e lui mi ha risposto: “stiamo vicini perché mentre vendiamo parliamo tra di noi e scherziamo”. Insomma per loro prima viene l’umanità, poi il commercio. Per noi “occidentalizzati”, è il contrario: prima calcoli, affari e scambio di voti, poi – se rimane tempo ed energia – un po’ di umanità;  o neanche quella: solo tristezza, vergogna e delirio.

La notte fra mercoledì 14 e il giovedì 15 febbraio qualcuno ha sparato colpi di fucile contro una delle finestre della casa canonica di Pietraperzia dove erano ospiti da meno di una settimana venti migranti di cui 10 bengalesi e 10 africani. Un paio di giorni prima su La Sicilia un articolo parlava di un comitato “spontaneo” costituito a Pietraperzia (alcuni degli esponenti del comitato fanno parte della coalizione di minoranza): “Il disagio del nostro paese non ci spinge all’accoglienza”: questo il titolo. Nell’articolo c’è una risposta di Agostino Sella, presidente dell’associazione Don Bosco 2000 che gestisce il Centro di accoglienza di Pietraperzia. Sella dice una cosa che è stata tristemente profetica: “Questo atteggiamento di chi propone di non accogliere i migranti strumentalizzando il disagio socio economico di una comunità locale può portare a una nuova Macerata”. Purtroppo ci è mancato poco che a Pietraperzia – la notte fra il 14 e il 15 – ci fossero persone ferite o peggio ammazzate dai colpi del fucile a pallettoni che hanno colpito la finestra della casa canonica rompendo i vetri e scheggiando una porta interna.

Si conferma una miseria recente ma coltivata negli anni e nei decenni. L’Occidente sta allungando i suoi tentacoli di tristezza, vergogna e deliri. Pensatori come Leopardi, Cioran e Schopenauer direbbero che il progresso della storia coincide con la sua decadenza. Ribaltiamo le cose: non possiamo aiutare nessuno, se prima non torniamo a vivere, e per vivere occorre ammettere di essere malati, se non addirittura morti: “L’Occidente è un cadavere profumato” ci ricorda Emil Cioran.

 

Redazione
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Un commento

  • da decenni ci si stupisce per la contraddizione fra un’Italia con un passato di emigrazione, di angherie, umiliazioni, razzismo ecc. e l’Italia di oggi spesso razzista e violenta contro gli immigrati. Ma cari amici, non è una questione di memoria “cancellata” o “disgregata” o altro ! Semmai c’è un rovesciamento della memoria nel senso che questi italiani razzisti di oggi sono in realtà i “parvenus”, cioè quelli che ora -consapevolmente o inconsapevolmente- vogliono “rifarsi” sulla pelle degli ultimi arrivati. Tutta la stroia delle migrazioni mostra che c’è sempre un terribile meccanismo di gerarchizzazione della società per cui chi ci riesce tende ad assoggettare chi è nell’ultimo rango della gerarchia sociale. Non dimentichiamo che nei ranghi dei leghisti -sin dall’inizio- ci sono tanti “terroni del Sud e terroni del nord” così come nei ranghi dei lepenisti in Francia ci sono tanti vecchi immigrati italiani e di altre origini … inoltre la costruzione europea e il neoliberismo hanno fomentato l’idea di dover proteggere i nostri privilegi -reali o presunti- che sarebbero minacciati da immigrati o dalla “miseria del mondo” … insomma non si tratta di decandenza ed è inutile piangere per un andamento storico che contraddice l’illusione di un progresso lineare verso la pace ecc. … bisogna riconoscere che la storia politica riproduce sempre autoritarismo e momenti di democrazia, violenze e momenti di mediazione, … ergo si tratta sempre di una questione di rapporti di forza e oggi i dominanti godono di un’asimmetria di potere spaventosa …

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