Pig Iron, un libro fotografico…

… per le comunità del Nordest brasiliano

di David Lifodi

Pig Iron, il volume fotografico di Giulio Di Meo, ha almeno due pregi: il primo è mettere a nudo la multinazionale mineraria Vale SA, la  “peggior impresa del mondo”  come ha deciso “Public Eye Award 2012”; il secondo è restituire dignità e giustizia alle comunità del Pará e del Maranhão, nordest del Brasile, costrette a convivere con l’impatto socialmente e ambientalmente devastante prodotto dalla Vale.

La rete Justiça nos Trilhos (Sui Binari della Giustizia), nata per iniziativa dei missionari comboniani (fra cui padre Dario Bossi), ha contato subito sull’appoggio di Giulio di Meo, che ha compiuto un vero e proprio viaggio fotografico tra assentamentos, baracche e villaggi testimoniando le speranze, i sogni e le lotte delle comunità del nord del Brasile, le cui vite sono state stravolte quando, nel 1980, fu costruita la ferrovia che da allora avrebbe permesso il trasporto su rotaia del ferro. Il titolo del libro, del resto, non è casuale: la traduzione di Pig Iron è “ferro dei porci”, perché, come scrive Giulio Di Meo, “produrlo inquina e questo non è degno dei <<Paesi sviluppati>>, dove arriva tutto pulito”.  Vale guadagna cifre esorbitanti grazie all’esportazione di più di 100 milioni di tonnellate di ferro all’anno: “Questa emorragia” denuncia il fotografo “nasconde impatti violenti sulle comunità, e le macchie di questo sviluppo non si possono cancellare: devastazione delle foreste, inquinamento e lavoro schiavo provocati dal ciclo del carbone per la siderurgia, che è la prima lavorazione grezza del ferro”. È il prezzo del cosiddetto sviluppo che sono obbligate a pagare le comunità, si tratti di una miniera o di una diga in costruzione, come accade in uno dei casi più conosciuti, quello della centrale idroelettrica di Belo Monte, anch’essa nel Pará. Maggior produttore mondiale di minerali, il Brasile, negli ultimi anni in piena espansione economica, ha visto crescere la Vale da piccola impresa (quale era nel 1911) a una multinazionale leader nell’estrazione del ferro, e così quelle stesse comunità che già avevano dovuto subire un impatto ambientale fatto di inquinamento ed emanazione di ogni tipo di rifiuti (dalle scorie di carbone alle polveri sottili), sono state ridotte in schiavitù dall’impresa mineraria, costrette a guadagnarsi da vivere nelle carbonaie dove viene effettuata la lavorazione del ferro. Una parte del ricavato di questa pubblicazione fotografica sarà destinata a un progetto per la realizzazione di un centro di ricerca e comunicazione teatrale gestito dai giovani di Açailândia (città del Maranhão), nel nordest del Brasile. Il teatro, scrive padre Dario Bossi, come la fotografia, “può essere un mezzo per informare e rendere coscienti le persone rispetto ai conflitti sociali, uno strumento di cambiamento personale, sociale e politico”. È in questo contesto che il progetto di Giulio di Meo si caratterizza anche a livello teatrale. La compagnia Juventudes pela Paz, composta dai ragazzi di Açailândia, ha infatti organizzato uno spettacolo teatrale  sulla vita delle comunità in lotta con il ciclo di produzione del ferro e sulla storia della Ferrovia del Carajás. I giovani, sottolinea padre Dario Bossi, hanno visitato le comunità e cercato di comprendere le loro storie, un po’ come ha fatto Giulio Di Meo girando negli accampamenti e condividendo il loro vissuto quotidiano. Il teatro, al pari della fotografia, è servito per raccontare alla popolazione il saccheggio minerario in corso in Brasile. Francesco Gesualdi, la voce più conosciuta del Centro Nuovo Modello di Sviluppo, nel suo saggio “Il dominio delle multinazionali e gli oltraggi della Vale”, contenuto all’interno del volume fotografico, scrive che “le imprese di ghisa dislocate lungo la Ferrovia del Carajás, bruciano ogni anno tre milioni di tonnellate di carbone… e la deforestazione selvaggia ha già spazzato via chilometri e chilometri quadrati di foresta amazzonica”. La gente delle comunità è stanca di sopportare tutto questo e giura che, fino a quando non saranno rispettati i diritti basilari, non si darà pace: le foto di questo libro raccontano le loro storie di quotidiana resistenza, affinché un’economia di sfruttamento non prenda il sopravvento.

Nell’introduzione, padre Dario Bossi ha scritto che le miniere a cielo aperto della Vale rappresentano le nuove vene aperte dell’America Latina (“le vene aperte dell’America latina” era il titolo di un famoso libro di Eduardo Galeano)  a cui si contrappongono i volti e i racconti delle persone in carne e ossa delle comunità: è a loro che è dedicato questo libro fotografico.

Pig Iron

Giulio Di Meo

GDM Photo, 2013, pagine 190, euro 25,00

Il libro può essere acquistato contattando direttamente l’autore Giulio Di Meo (info@giuliodimeo.it), ma anche in alcune librerie indipendenti e sulla piattaforma produzioni dal basso (http://www.produzionidalbasso.com/pdb_1801.html), o visitando il sito www.pigiron.it

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