Presidenziali Brasile: in gioco la democrazia del Paese e dell’intera America latina

Sull’orlo del baratro. I sondaggi indicano Jair Bolsonaro, candidato dell’estrema destra, come sicuro partecipante all’eventuale ballottaggio. Un commento sulle imminenti elezioni e, a seguire, la riflessione del teologo della Liberazione Leonardo Boff che parafrasa il “socialismo o barbarie” di Rosa Luxemburg

di David Lifodi (*)

A pochi giorni dalle presidenziali brasiliane del 7 ottobre, sono in molti a pronosticare un pericoloso ballottaggio al secondo turno tra Jair Bolsonaro, il militare in pensione esponente del partito di estrema destra Partido Social Liberal e Fernando Haddad, subentrato all’ultimo tuffo al posto Lula, quando il Partido dos Trabalhadores ha capito che la persecuzione giudiziaria contro l’ex operaio metallurgico lo avrebbe definitivamente condannato al carcere.

Bolsonaro è noto per le sue posizioni da ultraconservatore, parla alla pancia delle persone e in molti lo definiscono come il Donald Trump del Brasile. Le sue simpatie per il regime militare che instaurò una lunga dittatura in Brasile (dal 1964 al 1985) sono altrettanto conosciute e questo fa paura in un paese che invoca un’ulteriore militarizzazione a seguito della costante crescita del numero di omicidi, tra cui anche quello dell’attivista Marielle Franco, avvenuto la scorsa primavera. Di fronte al rischio concreto di cadere nell’abisso del fascismo, lo scorso 29 settembre si sono mobilitate le donne di tutto il paese all’insegna dello slogan #EleNão. Bolsonaro non viene nemmeno chiamato per nome, ma con un distante “lui” o addirittura con il dispregiativo nomignolo di “coso”. Il “coso” non può e non deve salire al Planalto, ma impedirglielo non sarà facile, nonostante un fronte ampio di opposizione antirazzista e antifascista che va dai movimenti urbani alle donne, dagli indios ai lavoratori, dai contadini agli studenti fino alla comunità lgbt.

Eppure Bolsonaro, di recente vittima dell’attentato di uno squilibrato in passato appartenente al Psol (Partido Socialismo e Liberdade), su cui l’ultradestra ha speculato con l’appoggio della grande stampa internazionale, fino a sostenere che il mandante era Lula, secondo molti sondaggi non solo è pronosticato come sicuro al ballottaggio, ma sarebbe in testa anche nelle intenzioni di voto dei brasiliani. Attaccare ogni giorno lo stato di diritto e circondarsi di nemici sembra essere una strategia che paga. Dal canto suo, Fernando Haddad ha il compito di calarsi nella vita di tutti i giorni dalla figura di intellettuale che riveste. Pur essendo stato sindaco di San Paolo e da sempre iscritto al Pt, si teme che non riesca ad attrarre le masse delle cinture industriali delle megalopoli brasiliane e nemmeno i milioni di contadini che vivono nei luoghi più abbandonati del paese e che si sentono lasciati a se stessi dallo Stato, non a caso non ha mai avuto uno stretto legame con la classe lavoratrice.

A decidere le presidenziali brasiliane, o quantomeno il primo turno, sarà probabilmente il voto delle donne e quello del grande capitale, non tutto schierato a sostegno di Bolsonaro. In un’intervista rilasciata al sito web Rebelión, Luciano Wexell Severo, docente di Economia, integrazione e sviluppo all’Università federale dell’integrazione latinoamericana (Unila), afferma che una parte di elite appoggia Bolsonaro, così come un buon numero di militari, ma nessuno evidenzia che il candidato alla guida del Brasile “è stato congedato dall’esercito per insubordinazione e indisciplina. Sfortunatamente rappresenta una parte dei brasiliani, non a caso dal 1991 è stato eletto consecutivamente deputato federale per Río de Janeiro, ma le sue campagne di odio contro movimenti popolari, neri, omosessuali, comunità indigene, donne e senza terra lo hanno contrapposto di fatto ad un’ampia parte dell’elettorato”. Bolsonaro cerca di presentarsi come il salvatore della patria ed il timore maggiore è che le persone, di fronte alle scarse o nulle possibilità di vittoria degli altri candidati della destra, dal tucano Geraldo Alckmin alla poco credibile Marina Silva, votino per “coso” per disperazione, osserva ancora Wexell Severo.

Nonostante Alckmin abbia il sostegno dell’ex presidente Cardoso sembra difficile che possa inserirsi nella corsa per la presidenza, pur vantando una grande esperienza nell’amministrazione della cosa pubblica e del resto è da almeno 16 anni che la “socialdemocrazia” (destra liberale) brasiliana perde le elezioni, prima contro Lula e poi contro Dilma Rousseff. Quanto a Marina Silva, presentatasi come alternativa a Lula e al Pt, con il tempo ha finito per legarsi sempre più alle grandi elites transnazionali e a personaggi politicamente assai ambigui, dall’inglese Tony Blair ai Clinton fino all’israeliano Barak. In uno scenario così confuso, Haddad ha già offerto spazio politico, in un suo ipotetico governo, a Ciro Gomes, del centrista Partido Democrático Trabalhista, per il quale sembra propendere non più del 10% dei brasiliani, che toglierebbero però in questo modo voti al delfino di Lula. Difficile capire se la strategia del Pt, volta ad orientare il voto di tutta la sinistra brasiliana su Haddad, avrà successo o meno, anche in considerazione della presenza, a sinistra del Pt, del Partido Socialismo e Liberdade di Guilherme Boulos.

Dall’arrivo del golpista Temer alla presidenza il Brasile si trova immerso in una bolla neoliberista che ha distrutto i più elementari diritti conquistati dai lavori in decenni di lotta. Le stime parlano di 13 milioni di disoccupati, 27 milioni di sotto impiegati e di almeno 5 milioni di persone che hanno rinunciato a cercare lavoro, mentre cresce il lavoro informale e la violenza dello Stato contro le fasce sociali più povere del paese. Ci sarà tempo, dopo le presidenziali, per una riorganizzazione del Pt, se Bolsonaro verrà sconfitto, ma adesso, pur con tutte le contraddizioni del più grande partito dei lavoratori dell’America latina e dello stesso Lula (che insistendo sulla sua sua figura di leader incontrastato e rivendicando le sue politiche sociali spesso più in chiave assistenziale ha sollevato numerose perplessità), ciò che importa è evitare la fascistizzazione del paese.

Di Trump ne basta uno negli Stati uniti, avere un suo clone in America latina rappresenterebbe un duro colpo per ciò che rimane del Sudamerica progressista.

(*) articolo tratto da Peacelink – 3 ottobre 2018

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Democrazia o nazifascismo in Brasile?

di Leonardo Boff (*)

Mai nella nostra storia siamo stati messi davanti a un’alternativa così radicale: l’ex-capitano candidato alla presidenza, Jair Bolsonaro si presenta con tutte le caratteristiche del Nazifascismo che ha fatto milioni di vittime in Europa, durante la Seconda guerra Mondiale; mentre dell’altro, Fernando Haddad non si può negare lo spirito democratico. Bolsonaro stesso ha dichiarato che non gl’importa niente se lo paragonano a Hitler. Si offenderebbe se dicessero che è gay.

Ha usato tanta crudeltà contro le donne, i neri, gl’indigeni, I rifugiati nei quilombos e i LGBT e per di più difendendo apertamente noti torturatori. Ha lasciato intendere chiaramente in dichiarazioni senza scrupoli che intende imporre una politica repressiva contro questi gruppi come politica metodica dello Stato. Non c’è da meravigliarsi che abbia ottenuto il più alto rifiuto nei sondaggi per le intenzioni di voto.

Intendiamo bene l’eco delle sue dichiarazioni, perché non sono pochi quelli che vogliono ordine nella società, a qualsiasi costo che rifiutano tutti i politici in blocco a causa della corruzione che ha corroso questa paese. Sempre alla ricerca dell’ordine senza preoccuparsi della giustizia sociale né di procedimenti giuridici corretti questo è stato l’humus che ha alimentato e alimenta ancora i gruppi da destra e di estrema destra. Così è avvenuto con Hitler: “Ordnung muss sein”:“l’ordine deve imperare”. Ma è un ordine imposto con la repressione e l’invio ai campi di sterminio di Giudei, Zingari e oppositori.

Bolsonaro sfrutta questa ricerca di ordine a qualsiasi prezzo anche con la militarizzazione del governo come già stato pubblicato dalla stampa. Se per caso vince, che il cielo ci scampi e liberi, metterà ai ministeri-chiave generali, generalmente pensionati, ma con una mentalità francamente destrorsa e autoritaria. Propone addirittura un auto-golpe, cioè Bolsonaro come Presidente può convocare le forze armate, può sciogliere il parlamento e instaurare un regime autoritario e altamente repressivo.

Non abbiamo alternative se non quella di unirci al di là degli interessi di partito, per salvare la democrazia e non permettere che il Brasile sia nel mondo intero considerato un paese paria dal punto di vista politico.

Tutto ciò arriverebbe a interessare da vicino gran parte della politica latino-americana, specialmente in quei paesi le cui democrazie sono fragili e sono esposte al fuoco dei pensatori di destra, in crescita nel mondo intero.

Non è da meravigliarsi che i gruppi finanziari che vivono di speculazioni, in combutta con impresari che non hanno nessuna considerazione per il futuro della patria eccetto che per i propri interessi o associati ai burocrati dello Sato affetti da compromessi e intrallazzi costituiscono la base sociale di sostentamento di un tale regime autoritario di stampo nazista e fascista.

Sarebbe una rottura inedita nella nostra storia mai avvenuta prima. I militari e gli impresari che hanno fatto il golpe del 1964 erano per lo meno nazionalisti e esaltavano una crescita economica a costo di strozzare la politica salariale e del controllo rigoroso delle opposizioni, con prigioni, sequestri, torture e assassini, oggi testimoniati perfino da documenti venuti dagli organi di sicurezza della politica estera degli USA.

Il popolo Brasiliano che tanto ha già sofferto sotto il tallone dei padroni di schiavi e, dopo, per il super sfruttamento del capitalismo nazionale, non merita di continuare a soffrire ancora di più. Abbiamo un debito che mai siamo riusciti a saldare e saremo sollecitati a pagare fino al giorno del Giudizio Universale’

Nutriamo la speranza che il buon sensoB senso e la volontà di riconfermare la democrazia da parte della maggioranza dei votanti ci libereranno da questo vero castigo, che non meritiamo davvero.

Traduzione di Romano Baraglia e Lidia Arato

(*) articolo tratto da https://leonardoboff.wordpress.com

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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