Presidenziali Ecuador: Lenín Moreno ( Alianza País) sfiora la vittoria al primo turno

Il ballottaggio con il candidato delle destre, Guillermo Lasso, si terrà il 2 aprile. Al referendum contro i paradisi fiscali si afferma ampiamente il “Si”

di David Lifodi (*)

 

Lenín Moreno è andato vicinissimo a conquistare Palacio de Carondelet al primo turno: è stato solo un leggerissimo scarto percentuale ad impedirgli di succedere a Rafael Correa e a confermare la supremazia della coalizione Alianza País alle presidenziali tenutesi poco più di sette giorni fa in Ecuador. Per vincere al primo turno, il sistema elettorale ecuadoriano prevede che tra i primi due candidati ci debbano essere almeno dieci punti percentuali di scarto, ma a partire dal raggiungimento del 40% dei consensi. È così che Lenín Moreno, indicato da tutti come vincitore pressoché certo della contesa elettorale, ha si ottenuto un ampio margine sul candidato delle destre Guillermo Lasso, ma si è fermato al 39,3% rispetto al 28,1% del rivale. Tutto ciò ha reso necessario lo svolgimento del ballottaggio, in programma il prossimo 2 aprile.

Il vantaggio del candidato di Alianza País sembra rassicurante e pare difficile una rimonta di queste proporzioni da parte di Lasso, ma non bisogna dimenticare che la destra ecuadoriana ha cercato in tutti i modi di riproporre il clima che ha portato al successo di Mauricio Macri in Argentina e al golpe di Michel Temer in Brasile. Questo è il motivo per cui l’appuntamento elettorale ecuadoriano era particolarmente temuto alla vigilia del primo turno: la vittoria, o comunque un buon risultato di Lasso, avrebbe finito per assestare un altro duro colpo al cosiddetto socialismo del XXI secolo. Da qui al 2 aprile sarà una battaglia, perché le destre utilizzeranno tutti i mezzi in loro possesso per evitare il consolidamento della Revolución Ciudadana che, sotto la presidenza Correa, ha restituito  uova dignità all’Ecuador, non più terra di conquista per banche e grande capitale, ma uno stato in grado di riappropriarsi della propria sovranità, ad esempio cacciando gli Stati uniti dalla base militare di Manta. Insieme al suo vice, Jorge Glas, Lenín Moreno ha la possibilità di mantenere l’Ecuador nel campo progressista latinoamericano. Guillermo Lasso, al pari di Cynthia Viteri, altra esponente delle destre rimasta fuori dal ballottaggio e che ora promette di aiutare il candidato delle destre, rappresenta gli interessi di quell’oligarchia che ha prosperato sulle disuguaglianze economiche, sulla povertà e sull’esclusione sociale di un paese che è sempre riuscito a resistere grazie alla forza dei movimenti sociali, a partire da quello indigeno e contadino. Atilio Borón, a proposito delle presidenziali in Ecuador, aveva definito la competizione tra Moreno e Lasso come la battaglia di Stalingrado: troppo importante la vittoria della coppia Moreno-Glas, che fin dall’inizio hanno capito quanto fosse alta la posta in gioco, tanto da percorrere senza sosta tutte le province del paese, comprese quelle più remote.

Come al solito, il terrorismo mediatico della destra ha cercato di creare il caos fino alla fine, anche nei tre giorni in cui il paese, con il fiato sospeso, è rimasto in attesa del risultato finale delle presidenziali, da cui potevano derivare la vittoria definitiva di Lenín Moreno al primo turno o il ballottaggio, accusando irresponsabilmente Alianza País di aver messo in atto una poco credibile frode elettorale. L’intento della destra era quello di creare le condizioni per l’ingovernabilità, teoria assai cara anche agli oppositori di Maduro in Venezuela. Intervenuto al programma Enclave Política su Telesur, l’economista spagnolo Alfredo Serrano ha denunciato come la destra continui a gridare alla frode nel tentativo di estromettere Alianza País,  Lenín Moreno e Rafael Correa dalla contesa politica e andare al potere senza seguire la via elettorale, ma utilizzando questo escamotage tipico dei golpes suaves che si sono verificati in Honduras, Paraguay e Brasile nel corso degli ultimi anni. Lasso ha sostenuto di avere dalla sua parte almeno il 70% della popolazione, ha invocato quella “governabilità democratica” che ha permesso a Mauricio Macri di andare al potere in Argentina e ha cercato di dare scacco matto alla  Revolución Ciudadana, giunta al decimo anno. Prima di Correa, ben tre presidenti sono stati cacciati con la forza dalle organizzazioni popolari. Per dieci anni, con Correa alla guida, l’Ecuador ha riacquistato un ruolo di prestigio sullo scenario mondiale e se il rapporto con le organizzazioni indigene non fosse lacerato soprattutto per via di una visione assai diversa della questione ambientale, indirizzata a favore dell’estrattivismo da parte governativa, per la destra lo spazio sarebbe ancora minore. Tuttavia, come ha scritto il sociologo statunitense James Petras, “Correa ha fatto cose molto positive, malgrado alcuni errori che potranno essere corretti dal prossimo governo”, auspicando il successo di  Lenín Moreno.

Se Alianza País dovrà fare in modo di non farsi sfuggire la vittoria a così pochi metri dal traguardo (augurandosi che non avvenga l’imponderabile), un primo risultato l’ex presidente Rafael Correa e la sua coalizione lo hanno già raggiunto: l’Ecuador proibirà ai funzionari pubblici di mantenere beni o capitali in paradisi fiscali. Questo è il risultato scaturito dal referendum svoltosi contemporaneamente alle elezioni presidenziali.

Fortemente voluto dal presidente uscente Correa, il referendum, che ha ottenuto l’appoggio personalità, istituzioni e intellettuali in tutto il mondo, sancisce l’obbligo, per i servitori pubblici e i candidati agli incarichi di governo e nella legislatura che abbiano conti in paradisi fiscali, di far tornare i capitali ed i beni entro un anno in territorio nazionale. Il 55% degli ecuadoriani, favorevoli al referendum contro i paradisi fiscali, ha assestato un altro colpo alla destra, che ha sempre contestato questa consultazione popolare, lanciata da Correa con il nome di “Patto etico” a seguito dello scandalo dei Panama Papers. Inoltre, in sede Onu, l’Ecuador si è fatto portavoce della necessità di dar vita ad un organismo intergovernativo impegnato sul fronte della giustizia fiscale globale. Proprio pochi giorni prima del referendum e delle elezioni, a Quito si era tenuto il seminario “Verso un agenda fiscale internazionale basata sui diritti umani”.

La prosecuzione dell’impegno dell’Ecuador sul tema dei paradisi fiscali dipenderà, ovviamente, anche dal futuro presidente del paese. Correa termina ufficialmente il suo mandato il prossimo 24 maggio e il suo successore dovrà decidere se proseguire o meno con l’impegno del presidente uscente. Considerando che Guillermo Lasso tiene gran parte del suo immenso capitale economico nei paradisi fiscali e che si è opposto al referendum, ritenendolo addirittura contro di lui, è evidente come ci sia un ulteriore motivo in più per auspicare la vittoria di Lenín Moreno al ballottaggio del prossimo 2 aprile.

(*) tratto da Peacelink – 27 febbraio 2017

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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