Presidenziali El Salvador: vince la sinistra per un soffio

di David Lifodi

Ballottaggio al cardiopalma quello che domenica scorsa, in El Salvador,  ha sancito il successo di Salvador Sánchez Cerén, il candidato del Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional (Fmln), sul rivale arenero Norman Quijano, già sindaco della capitale San Salvador, ma lo strettissimo margine tra i due sfidanti ha consigliato prudenza al Tribunale Supremo Elettorale. Al momento in cui sto scrivendo, ancora non è stato proclamato ufficialmente il vincitore ufficiale.

L’efemelista Sánchez Cerén ha ottenuto il 50,11% dei voti rispetto al 49,89% di Norman Quijano, in corsa per l’Alianza Republicana Nacionalista: in molti hanno parlato di una sorprendente rimonta di Arena, dopo che al primo turno l’Fmln si era fermato ad un passo della vittoria con quasi il 49% delle preferenze, il successo in 13 dipartimenti su 14 del paese,  la vittoria in 185 municipi su 262 e perfino il trionfo tra i salvadoregni residenti all’estero. In realtà, anche se non in queste proporzioni, c’era da aspettarsi una crescita dell’elettorato arenero. È vero che il partito di ultradestra scontava i ricorrenti episodi di corruzione che hanno coinvolto molti esponenti di primo piano della sua dirigenza e doveva far fronte alla scissione derivante dal passaggio di un cospicuo numero di suoi quadri nelle file di Unidad, la coalizione che al primo turno candidava l’ex presidente Tony Saca, ma pensare che gli elettori di destra, pur delusi da Arena e divenuti simpatizzanti per Saca alla prima tornata elettorale, lasciassero via libera all’Fmln sembrava poco probabile. Pur di giocare un tranello ad Arena e presentarsi come destra moderata sotto la più conciliante e rassicurante coalizione Unidad (che raccoglieva al suo interno, tra gli altri, il Partito di Conciliazione nazionale e la Gran Alleanza per l’unità nazionale), Saca era disposto a tutto, tanto da lasciare libertà di voto ai suoi elettori: del resto, tutta la campagna elettorale è stata caratterizzata da uno scontro frontale tra le due destre. Al tempo stesso, i dirigenti del Frente assicuravano che la sinistra salvadoregna non avrebbe dovuto temere un accordo con Unidad, utile per puntellare una maggioranza non proprio stabile in Parlamento e che a questo punto rischia di divenire quantomeno traballante a seguito dell’exploit arenero. Lo scopo dell’Fmln era di scongiurare il ritorno di quell’estrema destra oligarchica che ha già invitato il suo elettorato a rimanere sul piede di guerra. In attesa del verdetto ufficiale del Tribunale Supremo Elettorale, che non arriverà prima di quattro o cinque giorni, Quijano ha già dichiarato che non intende riconoscere la vittoria efemelista. Il mancato riconoscimento del risultato uscito dalle urne era già nell’aria ancora prima che fosse reso noto lo strettissimo margine di vantaggio di Sánchez Cerén, penalizzato anche dalla maggior affluenza di votanti rispetto al primo turno: si sono recate ai seggi oltre 290mila persone in più, buona parte delle quali, probabilmente, schierate a destra. La strategia di Arena non sorprende: Quijano ha cercato di cavalcare in ogni modo gli scontri di piazza in Venezuela causati dall’opposizione golpista organizzata da gruppi neofascisti per evidenziare che un’eventuale vittoria di Sánchez Cerén avrebbe significato avere un Hugo Chávez anche in patria. Il voto di El Salvador è molto più importante di quanto si pensi. Si tratta del pulgarcito (pollicino) dell’America Centrale, certo, e nemmeno dispone di particolari risorse naturali, ma vanta una base militare in una posizione strategica, quella del Golfo de Fonseca, e serve per mantenere sotto controllo l’intera regione centroamericana. Ciò che succede in Venezuela potrebbe ripercuotersi in El Salvador, ha sottolineato più volte Quijano, sia per recuperare la parte più reazionaria dell’elettorato sia per cogliere i frutti di un eventuale golpe a Caracas: del resto, i colpi di stato susseguitisi in Honduras e Paraguay negli ultimi anni non sono certo casuali. Inoltre, c’è il timore che Arena possa mettere in atto azioni volte a destabilizzare il paese proprio come l’ultradestra di Voluntad Popular sta facendo in Venezuela: per questo motivo sarebbe stato importante che l’Fmln avesse vinto con un margine tale da sotterrare il desiderio di rivolta degli areneros. Gli efemelistas avevano chiamato al voto rojo para aniquilar a la derecha retrógrada e lo stesso Sánchez Cerén, artefice degli accordi pace che avevano posto fine ad una guerra civile durata dodici anni (1980-1992), si augurava che El Salvador non fosse più il paese che è stato finora, caratterizzato cioè da una forte polarizzazione di classe. Al contrario, non era così automatico, come forse anche i dirigenti efemelistas immaginavano, che i voti degli elettori di Unidad andassero necessariamente a sinistra, nonostante tra Arena e il partito di Saca in questi ultimi anni siano volati gli stracci, fino all’espulsione di Saca da Arena avvenuta nel 2009. Da questa situazione di incertezza Arena ha tutto da guadagnare: Quijano continua a proclamarsi vincitore e dipinge Sánchez Cerén come il male assoluto, quando in realtà il futuro presidente frentista, pur provenendo dalla comandancia storica della ex guerriglia, si porrà nel solco del socialdemocratico Funes, suo predecessore, che ha fatto molto a livello di piani sociali e per quanto riguarda la lotta alla criminalità, ma è rimasto sempre fedele ai dettami delle istituzioni finanziarie  e dei mercati. Nel suo primo discorso dopo la proclamazione dell’esito elettorale, Sánchez Cerén ha promesso che El Salvador lavorerà per rafforzare gli organismi di integrazione latinoamericana e ridurre l’ancora alto tasso di povertà presente nel paese. Inoltre, nella campagna elettorale per il ballottaggio, il neopresidente di El Salvador aveva garantito la sospensione dell’estrazione mineraria di fronte alla Mesa Nacional frente a la Mineria Metálica: si tratterebbe di un passaggio molto importante, soprattutto perché alle imprese minerarie non sarebbero più consegnate le licenze estrattive.  El proceso de cambio prosegue, ha confermato Sánchez Cerén, auspicando inoltre un dialogo con un’opposizione che, almeno finora, sembra intenzionata a non riconoscere l’ex guerrigliero del Frente come il nuovo presidente del paese e, in questo senso, preoccupa anche il silenzio della missione dell’Organizzazione degli Stati Americani (Osa), che ancora non si è espressa in merito alla giornata elettorale.

In attesa del verdetto ufficiale, i media salvadoregni hanno evidenziato che il voto si è svolto in maniera tutto sommato regolare, anche se il sito ufficiale dell’Fmln ha riportato alcuni episodi di violenza in cui sono stati coinvolti esponenti di Arena, che hanno violato le regole della propaganda murale nelle strade e, di fronte ad alcuni seggi, si sarebbero vestiti di rosso, il colore efemelista, per confondere la popolazione. Molto probabilmente Sánchez Cerén sarà il nuovo presidente del paese, già il Frente parla di altri cinque anni alla guida del paese, ma non c’è da fidarsi troppo sia del Tribunale Supremo Elettorale, che in paesi come Honduras e Messico ha certificato delle gigantesche frodi elettorali, sia delle tante trappole di Arena, che potrebbe creare condizioni simili a quelle venezuelane o paraguayane per far cadere Sánchez Cerén.

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